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"Ho sempre rivolto a Dio una preghiera, che e' molto breve: 'Signore, rendete ridicoli i miei nemici'. E Dio l'ha esaudita." (Voltaire, lettera a Damilaville) HOME STOREFRONTRSS FEED
[Dall'uscita di Manituana abbiamo discusso e lavorato con Max Casacci dei Subsonica e le diverse band dell'etichetta/laboratorio Casasonica di Torino. L'idea era di comporre, incidere e mettere on line una delle possibili "colonne sonore" del romanzo. Un contributo musicale che sottolineasse la dimensione contemporanea del libro anziché quella "d'epoca".
Sette band di Casasonica ( Gatto Ciliegia, Sikitikis, LNRipley, Postalmarket, Steela, Petrol e Cinemavolta) + gli stessi Subsonica hanno scritto e registrato un brano a testa, e ora esiste questa compilation gratuita, Manituana: A Soundtrack, da qui a poche ore scaricabile dal sito dell'etichetta.
Il progetto verrà presentato venerdì 11 maggio, h.19 alla Fiera del libro di Torino. Saranno presenti Max Casacci e Ninja (Subsonica, LNripley), WM2, WM3, il giornalista Luca Castelli e i Petrol al completo, che suoneranno dal vivo il loro pezzo, "Cherry Valley".
L'ultimo numero della video-zine ufficiale dell'etichetta, Newsonica, contiene un'intervista sul progetto a WM1, WM2 e WM3 (voce off, nessuna comparsa dei nostri brutti musi, of course).
Quella che segue è una breve descrizione del progetto, scritta da WM2 per l'inserto Torinosette del quotidiano La Stampa]
Musica e narrazione sono sorelle da sempre. Dall'Australia alla Finlandia, passando per la Grecia, miti e leggende sono nati nel canto, prima di essere racconti e scritture.
Che c'è di nuovo, allora, se un'etichetta musicale sforna la colonna sonora di un romanzo?
Nel caso di Manituana c'è un progetto ambizioso, l'idea di raccontare storie con ogni mezzo necessario, partire dal romanzo per esplorare un universo narrativo e renderlo accessibile da diversi sentieri: non solo il libro, ma anche fumetti, video, musiche, pagine web. Su www.manituana.com, chi ha letto il romanzo viene invitato a discuterne, scrivere parti mancanti, disegnare illustrazioni, proporre musiche per le diverse atmosfere. Molto diverso, in questo, dai siti internet di certi film, dove magari si trovano suoni, immagini, testi, videogiochi, ma il tutto è confezionato dalla casa di produzione e i fan, se vogliono interagire, devono organizzarsi per conto proprio e magari evitare gli strali di chi ha il copyright per storie e personaggi.
Su questo terreno entra in gioco Casasonica. Max Casacci decide di raccogliere la sfida e propone ai gruppi che incidono per l'etichetta di leggere il romanzo, scegliere un capitolo, o magari un personaggio, e musicarli a modo loro. Nascono così queste 8 tracce tutte scaricabili gratuitamente dalla Rete: la prima, tra molte possibili, colonna sonora di Manituana.
Chi lo desidera, potrà ascoltarla mentre legge i capitoli dai quali è scaturita. Qualcuno potrà suggerire nuovi abbinamenti. Altri potranno giocare la stessa partita, magari in tutt'altra direzione, chitarra acustica e voce, violino e frullatore, remix. Infine, chi ritiene che ognuno dovrebbe immaginare da solo i suoni di un romanzo, potrà ascoltare i brani tenendo chiuso il libro. Uno dei principi della narrazione transmediale è che ciascuna tessera del mosaico possa essere autonoma, un gioiello da rimirare sul palmo della mano, anche senza collocarlo nell'intero disegno. [WM2]
[Quest'anno la Fiera del libro di Torino è dedicata al tema dei "confini". Il Corriere della sera ci ha chiesto un contributo sull'argomento da inserire in un inserto speciale dedicato all'evento, che dovrebbe essere in edicola oggi con il quotidiano. Ecco il testo che abbiamo scritto.]
Prima della Rivoluzione Americana, la regione dei Grandi Laghi e la costa atlantica erano separate da una linea - gli inglesi la chiamavano Proclamation Line - che riassume in sé tutte le contraddizioni e le ambiguità contenute nell'idea di confine.
Re Giorgio l'aveva istituita nel 1763 e i suoi agenti avevano raccontato ai nativi che si trattava di una barriera. Le colonie dei bianchi non potevano superarla: la terra a ovest del fiume Unadilla sarebbe rimasta per sempre nazione indiana.
In realtà, nelle intenzioni della Corona si trattava piuttosto di una dogana, tracciata allo scopo di esigere un dazio e stabilire un monopolio. Nessun privato cittadino poteva acquistare terre, né tanto meno insediarsi oltre quel limite senza il permesso di Sua Maestà e l'intercessione dei suoi rappresentanti.
Ai sudditi delle colonie, il nuovo confine venne presentato come frontiera. Per vivere in pace nel Nuovo Continente bisognava tenere separati bianchi e selvaggi, civiltà e barbarie. La diplomazia londinese avrebbe poi spostato quella linea sempre più a Ovest.
Tra gli americani, non pochi si sentirono sollevati da quell'idea. Poter collocare altrove ciò che è diverso e straniero infonde nei popoli un senso di sicurezza, un muro a cui appoggiarsi.
Altri decisero che la frontiera doveva obbedire ai principi del libero mercato. Non si doveva affidare al tiranno il diritto esclusivo di ridisegnarla. Ogni individuo doveva essere libero di plasmarla, portare la civiltà fin dove le forze, il fucile e il desiderio riuscivano a spingerlo.
Gli storici più attenti sostengono che ci sia anche questa, tra le molte ragioni che portarono le Tredici Colonie a ribellarsi alla Madrepatria. Un bisogno che gli Stati Uniti si portano dietro ancora oggi, come un'eredità genetica: esportare sé stessi sempre più lontano.
Spesso i confini geografici sono all'origine di situazioni assurde e dolorose. Popoli divisi tra più stati, deportazioni di massa, convivenze forzate.
Nel nostro caso, la Proclamation Line tagliava in due la Lunga Casa, il suolo ancestrale delle Sei Nazioni irochesi, una grande confederazione di tribù indiane. Il territorio dei Mohawk si sovrapponeva così alla colonia di New York, il confine tra le due era un limite tendente a zero, e tutto era doppio: leggi, consuetudini, religioni giustapposte l'una all'altra (o una dentro l'altra, come bambole russe), cristiani e pagani, animisti che partecipano all'Eucarestia. Alcuni indiani studiavano le lingue europee, traducevano testi sacri e preghiere, servivano agli ospiti il tè e la pipa tradizionale. D'altra parte, i coloni irlandesi e scozzesi si tatuavano il petto e le guance, si dipingevano il volto di vermiglio e nerofumo, parlavano i dialetti irochesi, ballavano le danze gaeliche accompagnati dai tamburi tribali. Nascevano figli meticci ed erano britannici per eredità paterna , ma allo stesso tempo indiani mohawk, dato che l'appartenenza al clan si trasmetteva per via matrilineare.
In un contesto del genere la contaminazione - concetto caro alla cultura postmoderna - era un puro pleonasma. Un modo di leggere il confine che ci sembra più fecondo di quelli visti fin qui: barriera, dogana, frontiera. Gli individui non vivevano a cavallo del limite, ma portavano in sé una doppia identità e ne giocavano una piuttosto che l'altra a seconda delle situazioni.
Racconta un aneddoto che il grande capo dei Mohawk, Hendrick Tiyanoga, si presentò un mattino alla dimora di William Johnson, commissario britannico del Dipartimento Indiano, che gli irochesi avevano adottato col nome di Warraghiyagey, Conduce Buoni Affari.
- Questa notte ho fatto un sogno - gli disse - Ci incontravamo qui e tu mi regalavi un mantello di stoffa rossa.
William Johnson si fece portare una coperta di lana pregiata e la donò al sachem. Per gli indiani è fondamentale onorare i sogni: trascurarne le indicazioni può portare malattia e sciagure.
Il mattino dopo, Warraghiyagey si presentò alla fattoria di Hendrick (non una tende di pelle di bisonte, ma una casa vera e propria, coi vetri alle finestre e i maiali nel porcile).
- Questa notte ho fatto un sogno - gli disse - Ci incontravamo qui e tu mi donavi le terre a nord del fiume, fino alle pendici dei Monti Allegheny.
Erano 200 ettari di prati e boschi, ma Hendrick li cedette senza batter ciglio.
Il mattino dopo, si dice che il capo indiano tornò da William Johnson.
- Warraghiyagey, ho fatto un sogno - gli disse - Ho sognato che smettevi di sognare.
PRESENTAZIONI GIUGNO-LUGLIO 2007
In linea di massima, questo è lo scheletro del calendario di giugno-luglio. C'è ancora qualche "buco", ci saranno integrazioni e aggiornamenti, quindi va tenuta d'occhio l'apposita pagina su manituana.com. Ricordiamo che il calendario di maggio si trova qui.
8 giugno - LUGANO, CH
h. 21:00, Centro sociale "Il Molino"
Area ex Macello, Viale Cassarate 8
Info: olmo@autistici.org
4 luglio - VERBANIA (VB)
Biblioteca civica "Pietro Ceretti"
Via Vittorio Veneto 138
Info: 0323/401510
6 luglio - VIAREGGIO
Dettagli da confermare
14 luglio - MODENA
Dettagli da confermare
18/19 luglio - FIRENZE
Italia Wave
Reading WM2 + ElSo sulla rivolta
di Pontiac, dettagli da confermare
COMMENTI, SCOMUNICHE, SUONI, VISIONI, CAPOGIRI
LIVELLO 2 ED EPILOGO 2. Alla data di oggi il Livello 2 di manituana.com ha all'incirca 650 iscritt*. Oltre ai dibattiti in corso (area "Conversazioni"), la novità più recente è la pubblicazione (nell'area "Diramazioni") di un secondo epilogo al romanzo, scritto da Moniq, da collocare dopo l'epilogo che abbiamo scritto noi. Il punto di vista è quello di Esther Johnson, che guardacaso è - insieme a Philip Lacroix Ronaterihonte - il personaggio di cui sta discutendo di più.
[Sono gli unici due personaggi completamente inventati da noi. Qualcosa vorrà pur dire.]
SAVIANO SU MANITUANA. La notizia si è diffusa tra un Giap e l'altro e non c'è stata occasione di segnalarla prima. Due settimane fa L'Espresso ha pubblicato una lunga recensione di Manituana scritta da Roberto Saviano.
Pare che questo pezzo abbia fatto uscire dai gangheri taluni detracteurs nostri e/o di Saviano, causando mini-uragani Katrina nel mondo di navi in bottiglia conosciuto come "blogosfera letteraria". Bah. Saviano ha altri nemici di cui occuparsi, e ben più degni di nota. Quanto a noi, continua a far fede la frase di Voltaire che figura in calce a ogni numero di Giap :-)
Lunghi estratti dalla recensione di Saviano si trovano qui.
"ESSERE COME I WU MING": UN RIMBROTTO. Curiosità: nella sua recensione, invero molto densa, Saviano ha tirato in ballo Adorno [al quale WM1 dedicò tempo fa una canzoncina, un "centone" sull'aria di Bombolo: "Era calvo così, era torvo così, si chiamava Ado-orno / Lo citavan di qua, lo citavan di là, t'era sempre atto-orno", poi proseguiva, ma non è questa la sede]
Mal gliene incolse, al collega, perché si è beccato un divertente rimbrotto che, per dirla col proverbio cinese, "colpisce il gallo per spaventare la scimmia"... forse. In realtà non si capisce tanto bene. Però fa ridere, o meglio, a noi ha fatto ridere.
Si intitola "Essere come i Wu Ming (e sapere cosa fare del lemma transeunte".
IL SOL DELL'AVVENIRE. Da alcuni giorni portiamo in giro, come un fiore all'occhiello, la recensione di Manituana apparsa il 28 aprile scorso su L'Avvenire [per chi non lo sapesse: è il giornale ufficiale dei vescovi, capeggiati dal siòr Bagnasco] a firma del collega Giuseppe Bonura.
Il titolo è un accattivante quesito: "Wu Ming: quattro cervelli ne fanno uno?". Graaan pezzo! Gli abbiamo dato un posto d'onore in rassegna stampa e, complice il magnetico quesito di cui sopra, è una delle pagine più visitate del sito.
Ricordiamo che su Giuseppe Bonura ha scritto cose molto belle Valerio Evangelisti. L'erudito saggio s'intitola Creative Writing. Lo stile letterario di Giuseppe Bonura.
CAZZO C'ENTRA LA TURCHIA? La ghenga teatrale che noi ci collaboriamo sempre, i lezzoni sguanati della Compagnia Fantasma, han preso due capitoli da Manituana, dove starnazzano quegli altri malcichi con la fissa degli indiani, dopodiché, polleggiatissimi, li hanno letti. Li han letti alla radio, e se uno non ci capisce sono due belle sleppe. Roba da devasto.
Che poi non si può dire che non sono entrati nella parte, come se c'eran dei dubbi: hanno già di per loro delle biffe che spaventano i cinni anche da dietro, e delle ciangotte che te le raccomando, per non dire delle catramelle che gli fumigano fuori dai trugli, roba che non gli puoi andare vicino...
Nella sezione Suoni di manituana.com.
EPIDEMIA DI PASSAPAROLA. Non sono pochi i lettori di libri che hanno un blog, e negli ultimi giorni sono apparse svariate recensioni di Manituana, approfondite e appassionate, talora sorprendenti.
Il passaparola, quello strong, comincia adesso. Lo avevamo detto: è un libro da leggere con calma, senza foga né prescia. Quando tutto accade veloce, impara a essere lento. L'acquolina va bene, la bava alla bocca no.
[In realtà tutti i libri andrebbero letti così. Ma è un approccio che pochi addetti ai lavori possono permettersi, in affanno come sono per le scadenze di consegna sempre più irrazionali, pressati come sono dalle "novità" che si affastellano sulle loro scrivanie. A un'industria editoriale incontinente, non può che corrispondere una macchina di recensioni bulimica. Rileggere quest'ultima frase per capire meglio di quale "ciclo" stiamo parlando, e di quale "pietanza".
Coi lettori è ben altra questione, non c'è l'ansia di render conto a chicchessìa di tutto-quanto-esce, né la frenesia di restare "in pari" con un'ipotetica "concorrenza"... Le recensioni - positive o negative che siano - hanno come movente primario la soddisfazione dell'aver compiuto un viaggio.]
La prima recensione che segnaliamo è apparsa sul blog Amazing Readers. Contiene riflessioni molto interessanti e chiude con una critica molto precisa al libro, onesta e puntuale. Uno dei passaggi più importanti, a nostro avviso, è questo:
I Wu Ming hanno realizzato [...] un notevole gioco di simmetrie e contrapposizioni: la più ovvia è adulti (Joseph e Philip) vs giovani (Peter e Esther), ma ce n'è almeno un’altra, meno apparente che contrappone chi è votato a un obiettivo più alto, più importante di sé stessi [...] a chi invece, conscio della confusione, dell’assurdità si può dire, di quel che lo circonda è più ripiegato sull’interiorità [...] I Wu Ming non prendono posizione, non dicono quali di questi due atteggiamenti sia più giusto, probabilmente perché non ritengono che la verità possa stare solo da una parte: il loro romanzo non è un’opera ideologica che vuole condurre il lettore a farsi delle idee determinate, ma uno strumento che dia consapevolezze, lasciando però a noi il compito di trovare delle risposte.
La seconda recensione è apparsa sul blog Immaginaria, firmata con un nomignolo che omaggia il collega e antenato Philip K. Dick.
Non c'è una netta separazione tra riassunto e commento, il punto di vista del recensore è sminuzzato e spruzzato tra una frase e l'altra. P. segue i personaggi uno per uno e coglie il fatto che ciascuno "ha il suo ruolo, cresce, matura, diventa un capo o un guerriero". Il lettore, percorrendo i sentieri di Manituana, "sente i profumi delle foreste, la voce del vento ed i rumori della terra attraverso Molly e Philip [...]; scorrendo le pagine vede le battaglie, cruente, senza censure, gli uomini scalpati, il sangue che scorre a fiumi, il dolore portato da un fronte all'altro". Nel riferimento - evidenziato col grassetto - a "guerra civile... eccidi... stupri etnici", ci è parso di cogliere un riferimento alle guerre jugoslave.
La terza recensione è apparsa sul blog di Paco, dal masochistico nome Cose che nessuno leggerà. Invece noi l'abbiamo letta. Un'interpretazione di Manituana in chiave marxista-leninista, intitolata "Affinità e divergenze tra il compagno Wu Ming e me". Inizia, infatti, con uno stralcio dal primo capitolo del Manifesto di Marx ed Engels.
Avete presente il padre del protagonista in Ti ricordi di Dolly Bell di Kusturica, interpretato da un grandissimo Slobodan Aligrudic? Ecco, siamo in quei paraggi. E noi cantiamo: "Con ventiquattromila baaaaaciii..."
La quarta recensione è apparsa sul blog Detourned Life, gestito da uno che si firma "Sleeping Creep" [Espressione che ha tanti significati: 1) Potrebbe venire dal videogame WarcraftIII, dove i creeps sono creature diurne ostili, innocue di notte perché in stato di sonno; 2) "Sleep creep" è uno che dorme in modo nevrotico e agitabondo, parlando nel sonno, sudando in eccesso, sonnambulando etc.; 3) "Creep" è anche uno che dà fastidio, che non ha tatto, che si fa detestare. Una testa di cazzo, insomma. Quindi: "testa di cazzo dormiente". Quale dei tre significati è quello giusto? Sarà mica un altro che si autodenigra?]
La voglia di comprare il libro è venuta a Sleeping Creep vedendo il trailer. La recensione è asciutta, diretta. Dopo un breve sunto, si fa immaginifica, ci dice che le campane della libertà "sono state fuse per farne proiettili. La violenza genera violenza, la vendetta genera vendetta. Ma non c'è solo un eterno ritorno dell'identico, poiché niente dura per sempre". Alla fine, esorta a procurarsi il libro in qualunque modo, anche rubandolo (se proprio dovete farlo, aggiungiamo noi, non fatelo nelle piccole librerie, ci rimette chi le manda avanti facendosi un mazzo così).
La chiusura è d'effetto: "In tempi come questi, dove ci s’impone di trovare la parte del Bene, è utile leggere di qualcuno che si sforza di capire quale sia la parte del giusto".
Sul blog Buonipresagi l'arguto Scott Ronson, come ogni mese, propone la sua multi-recensione degli ultimi libri letti. Manituana è il titolo rosso fiammante, quello che spicca, il pugno nell'occhio.
In perfetta sintonia con quel che pensiamo del nostro lavoro, Ronson scrive: "La semplicità è una delle cose più difficili da ottenere, quando si scrive. Quello che a un lettore appare semplice ha probabilmente comportato un gran lavoro di lima a chi l'ha scritto. A essere oscuri e prolissi sono bravi tutti."
Molto gradito - perché pertinentissimo - l'accenno alla premessa vergata da James Ellroy per American Tabloid ("L'America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall'inizio.")
Quello è il libro che ci ha flashati per sempre, anche se l'influenza di Ellroy sulla nostra scrittura si è fatta col tempo più vaga, entrando in risonanza con altre non meno decisive.
Sul blog Ridiamocisopra (nella cui testata campeggia Corto Maltese) il Dottor Troy scrive che in Italia non c'è più l'abitudine a romanzi come Manituana. Pone l'accento sulla "ucronia implicita" che si legge nel libro, definisce - con grande efficacia - i Mohock di Londra "un gruppo di morti di fame, tagliagole da strada che accampano presunte discendenze dinastiche dai Mohawk d'oltreoceano", e trova "musicale" la loro parlata ("forse difficilmente comprensibile", ma è sottaciuto un bel "chissenefrega!").
OCCHIOSOLO FRED, SLOWDRINK E BOTTIGLIE DI GRAPPA. Tre maggio 2007, ore 19:30. Finisce la presentazione di Manituana al circolo ARCI "Stranamore" di Pinerolo. Si avvicina un tizio e dice: - Quando ho letto che cosa bevono alla taverna di Occhiosolo Fred [un mescolone di melassa, sciroppo di menta e rum, N.d.R.], ho pensato che dovevo regalarvi una bottiglia di questa, una delle cose più buone che si possano bere.
E tira fuori dallo zainetto una scatola oblunga di color écru. La scritta dice: "Mazzetti d'Altavilla. Distillatori dal 1846". Dentro c'è una bottiglia di grappa aromatica con miele e mentuccia! Il tizio si chiama Simone, e di nuovo lo ringraziamo.
[La bevanda è di quelle che stroncano, poiché il miele la fa sembrare quasi analcolica, e invece ha 40 gradi...]
Due giorni dopo ci arriva una mail di Elisa, che ha come oggetto "L'Autarchico". Qui è necessario un antefatto: l'Autarchico è un long drink inventato dal non-ancora-WM5 nell'estate del 1999, come risposta al Cuba Libre. E' composto di grappa Julia e chinotto. E' disgustoso.
Com'è diventata pubblica questa faccenda? Semplice: sul Livello 2 di manituana.com è possibile ascoltare l'audio di alcune nostre riunioni. In una di queste, mentre si discute della taverna di Occhiosolo Fred, viene brevemente ricordato l'intruglio pedriniano. Ed ecco la mail:
Ciao, sono una di quelli che durante il 25 aprile a Felina ha offerto a 2 e 5 beveroni vari contenenti liquirizia: stiamo portando avanti un progetto - per ora su carta si chiama Slowdrink - per "il recupero degli antichi sapori contro l'omologazione del gusto delle solite bibite multinazionali". Presìdi tutelati: chinotto, cedrata, spume varie, l'acqua d'orcio che 2 e 5 hanno avuto il piacere di assaggiare eccetera...
Questo cosa vuol dire? Vuol dire che ascoltando il file del Livello 2 con la lettura del capitolo su Gwenda ho sentito un momento di fratellanza estrema, alla citazione dell'Autarchico, grappa Julia e chinotto.
Già, perché per noi il cocktail di riferimento è il cobralibre, rum e chinotto, geniale invenzione di capola (quella citata su Giap a riguardo delle "assurde basette di wu ming 1"), e sue eventuali varianti: il guaralibre (col guaranito al posto del chinotto, per quando ci si sente molto equosolidali) e - ancora in fase beta - lo spumalibre (con la spuma bianca. A me personalmente ha provocato una crisi di pianto isterico e credo non ripeterò l'esperienza).
Urge gemellaggio e bevuta collettiva.
WU MING 1, LEZIONE SU 300 (introdotta da cenni di autocritica della mitopoiesi wuminghiana)
[WM1:] Il 2 maggio scorso, su invito del docente di storia del cinema Giaime Alonge (già organizzatore di quel convegno su Cary Grant che etc. etc. etc.), ho tenuto una lezione al DAMS di Torino, Palazzo Nuovo, aula 37.
La lezione riguardava il film 300, la graphic novel da cui è tratto, l'ideologia di Frank Miller, il ricorso al mito per fini politici e il rapporto tra "vecchio" e "nuovo" mondo.
Ho parlato per quasi un'ora e un quarto, avendo "ruminato" quel film per più di un mese, ed essendomi riletto i libri sul mito di Furio Jesi, Joseph Campbell, George Mosse, Jean-Pierre Vernant e Andrea Carandini.
Rendere disponibile questa lezione è anche un'occasione per ridefinire/rifinire la poetica della "mitopoiesi" di Wu Ming, fare un'autocritica, distinguere con forza l'uso del mito praticato nella nostra stagione più "militante" in senso stretto da quello che Jesi chiamava il "mito tecnicizzato", ossia l'evocazione forzosa del mito a supporto di un gesto politico-ideologico contingente (es. la romanità rivisitata dal fascismo, con tutti i cialtroneschi riferimenti alla "riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma", per giustificare l'invasione dell'Abissinia).
O meglio: l'esigenza è quella di dare una sterzata, "spurgare" ogni elemento di mito tecnicizzato (di attitudine "alla Sorel ") dalla nostra idea di mitopoiesi, e riconnettere quest'ultima al discorso sul mito "genuino" di cui parlava Jesi in Letteratura e mito.
Il mito tecnicizzato rimane falsa coscienza, anche quando lo si usa "a fin di bene". Il problema è quello del superamento. Jesi si domandava: "Com'è possibile indurre gli uomini a comportarsi in un determinato modo - grazie alla forza esercitata da opportune evocazioni mitiche -, e successivamente indurli a un atteggiamento critico verso il movente mitico del loro comportamento?". E si rispondeva: "Non sembra praticamente possibile".
Nel periodo del movimento globale (fine 1999 - fine 2001) noi abbiamo occupato lo spazio tra l'avverbio ("praticamente") e l'aggettivo ("impossibile"), cercando di usare il primo per forzare il secondo. Ritenevamo la risposta di Jesi troppo perentoria. Credevamo che "aprire l'officina", mostrare come avviene il recupero e l'utilizzo dell'immagine mitica, fosse sufficiente a fornire gli strumenti della critica. Il "giusto distacco" era la chiave: non tanto vicini da subire il mito in preda allo stupore (che, ammoniva Spinoza, ha la stessa radice di "stupido"), non tanto lontani da non percepirne più il fascino. Equilibrio ben difficile da mantenere, e che infatti non abbiamo mantenuto.
Alla fine, non siamo stati che "funzionari all'evocazione del mito", figure separate e quasi-specialistiche all'interno del movimento, agit-prop o poco più. Certo, un testo come il "Proclama dalle moltitudini d'Europa", soprattutto se declamato dalla nostra amica Anna Rispoli (vedi nella nostra audioteca), faceva cantare i nervi, faceva venire la fotta di andare a Genova, ma una volta là? Il superamento non aveva possibilità di realizzarsi in quelle strade, e la repressione subita c'entra fino a un certo punto. C'entra molto di più il fatto che persino movimenti più esperti e scafati abbiano vacillato sul baratro del mito che avevano evocato, figurarsi un movimento più giovane e ingenuo, un movimento che di lì a poco avrebbe commesso errori ben più banali e marchiani, lasciando che i media lo caricaturizzassero a morte ("no global").
L'alternativa è: continuare a esplorare il mito, restare in ascolto, avere un approccio non strumentale, trarre lezioni dal mito senza evocarlo a forza, senza ridurne la complessità, senza testarne un'aerodinamicità direttamente politica nella "galleria del vento" delle coincidenze tra passato e presente.
Messa così, me ne rendo conto, è una questione densa e difficile, ma la lezione riguarda altro, riguarda l'uso del mito tecnicizzato in chiave americo-fascista, e mi sembra molto comprensibile. L'ho messa on line in diverse versioni mp3, per tutte le connessioni e le abitudini d'ascolto: tutta intera ad alta resa sonora; tutta intera a bassa resa sonora; divisa per capitoli ad alta resa sonora; divisa per capitoli a bassa resa sonora. L'unica conditio sine qua non per ascoltarla è: aver visto 300. Nelle prime 48 ore ha avuto circa 800 download. Eccola qui, e anche qui. Buon ascolto.
THE OLD NEW THING
[WM1:] C'è stato un po' da aspettare, ma è arrivata, e già da qualche giorno. Parlo della compilation (2 cd + libro) The Old New Thing che ho curato per l'etichetta Abraxas un anno e mezzo fa. Da un po' di notti a questa parte, Pino Saulo di Radio 3 (che è anche autore della prefazione al libro) ne sta passando dei brani a Battiti. Ricevo domande da giornalisti di siti e riviste jazz. Ok.
Chi segue Giap sa già di che si tratta (telegraficamente: un remix di brani di artisti ESP, l'etichetta più oltranzista del free jazz degli anni Sessanta, con un lungo saggio introduttivo).
D'ora in avanti, la sezione del nostro sito dedicata a New Thing ospiterà materiali sulla compilation, e il vecchio forum è a disposizione di chi volesse discuterne.
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