Giap #20, VIIIa serie - Liberarsi della mentalità del ghetto - 11 febbraio 2008 |
LIBERARSI DELLA MENTALITÀ DEL GHETTO L'Italia è un ghetto, gated community, galera della mente. Negli sguardi il mondo è assente. Provincialismo, campanilismo, familismo, visioni sempre più anguste. Le lingue inciampano sugli idiomi forestieri, i media ufficiali alzano muri, presidiano i confini, fanno entrare in prevalenza fesserie, propaganda, mode effimere e gossip. Dentro, poi, è una nube perenne di gas, "l'onorevole ha dichiarato... il senatore ha detto... la coalizione... le riforme...". Non-eventi, commenti sui commenti, dibattiti dementi. La Rete permette di comunicare col mondo, ma nessuno insegna a usarla al meglio, in modo conscio e responsabile, e anche lì si formano ghetti, énclaves, circuiti di celle di clausura in cui s'amplifica il provincialismo. Tra gli italiani che vanno all'estero, molti transumano in ulteriori ghetti, villaggi-vacanze, luoghi plasticosi dove si spaparanzano, senza mai conoscere nulla della società che sta intorno, finché attentati o guerre civili non fanno irrompere l'odiata realtà, e allora l'anno prossimo si cambierà destinazione, si troverà una nuova bolla in cui parlare solo italiano, tra italiani, e lamentarsi di come vanno le cose là a casa, inveire contro i negri, gli zingari, i Comuni che lasciano costruire le moschee. Tra quelli messi peggio c'è persino chi finge di andare in vacanza, saluta i vicini e si chiude in casa, finestre sprangate, scorta di viveri, due-tre settimane modello bunker, poi "torna" con racconti di fantasia. "Vacanze-talpa", le chiamano. Metafora perfetta, in un paese di politica da talpe, informazione per talpe, incontri tra talpe, vite da talpe. E il peggio è che ci si abitua. Si abituano anche i migliori, cedono al disincanto, all'abitudine, alla sconfitta. Si china la testa e si va avanti, magari si tira qualche bestemmia ogni tanto, ma non si va oltre. La vita da talpe diventa normalità, corso delle cose. Fuori il mondo collassa e preme, ma le talpe se ne accorgeranno solo all'ultimo momento, quando un disastro interromperà il tran tran. E intanto: centrosinistra, centrodestra, centrosinistra, il PIL cresce dello 0,1%, il PIL cala dello 0,1%, e leggi elettorali chiamate con nomignoli, e la Confindustria dice, e l'onorevole dichiara... La mentalità del ghetto è il peggior nemico. La mentalità del ghetto ottunde e disarma, distrugge le difese. Torna attuale, oggi più che mai, uno scritto di Bruno Bettelheim (1903-1990), celebre e controverso psicologo ebreo. Non è un testo clinico, ma una riflessione storico-politica. Si intitola "Liberarsi della mentalità del ghetto", e chiude la raccolta di saggi La Vienna di Freud (Feltrinelli, 1990). Bettelheim si interroga sui motivi per cui gli ebrei d'Europa opposero così poca resistenza al loro sterminio, anzi, moltissimi "marciarono consenzienti verso la propria morte", e alcuni addirittura collaborarono con zelo al disegno dei carnefici, ad esempio denunciando i tentativi di evasione dai lager o consegnando alle SS leader della resistenza come Yitzhak Wittenberg. E non si parla di perfidi kapò, ma di vittime, persone avviate alla morte, tanto fatalisticamente rassegnate da vedere nella resistenza altrui un inaccettabile affronto al destino, al corso delle cose. "Si comportavano così", scrive Bettelheim, "perché avevano rinunciato alla volontà di vivere e si erano lasciati invadere dalle loro tendenze distruttive. Di conseguenza, ormai si identificavano con le SS, che si erano poste al servizio di tali tendenze, più che con i compagni che ancora rimanevano attaccati alla vita, e che per questo riuscirono a eludere la morte." Bettelheim parte da una constatazione di Raul Hilberg sul "ruolo che gli ebrei ebbero nel proprio sterminio", cita diversi episodi, e da essi risale al comune denominatore: la mentalità del ghetto (ghetto thinking). Furono la chiusura mentale delle comunità ebraiche (soprattutto dell'Europa orientale), il loro asfissiante conformismo, l'obbedienza al dogma religioso e la costante fuga dal mondo a impedire di capire per tempo cosa stava per accadere, quando invece era evidente a chiunque altro, in primis agli ebrei che avevano lasciato i ghetti e tagliato i ponti e si erano messi al riparo prima del punto di non-ritorno. A scanso di equivoci: non sto aderendo alla tesi di Bettelheim (e Hilberg), che ha scatenato polemiche e accuse postume. In generale mi suona plausibile, gli esempi sono numerosi e mi è parso di trovare conferme negli studi di altri autori. E' vero tuttavia che Primo Levi, nel capitolo "Stereotipi" de I sommersi e i salvati, imposta la questione in modo molto diverso. Se mi azzardassi ad approfondire finirei fuori strada e nel mezzo di un ginepraio; lascio dunque a chi legge la libertà di confrontare i due punti di vista e trarre le proprie conclusioni. Non intendo nemmeno operare una reductio ad hitlerum. Paragonare qualunque crisi sociale a quella che portò al nazismo e alla Shoah è uno sport fin troppo - e sempre più - praticato. Non coltivo l'osceno proposito di stabilire similitudini tra le "forze sane" (o sanabili) di questo Paese e gli ebrei sterminati nei campi. Chiunque di noi è sideralmente lontano dal subire alcunché del genere. Quel che mi interessa è il "ghetto" come metafora utile a capire la situazione italiana, con particolare riferimento a due fenomeni interdipendenti: la "fuga dei cervelli" e il restringersi degli orizzonti. Scrive infatti Bettelheim: Per almeno tre generazioni, tutti coloro che non erano più disposti a sottomettersi a condizioni di vita che non consentivano il minimo di rispetto di sé necessario a confrontarsi col mondo moderno, se ne andarono dal ghetto. Così come se ne andarono tutti coloro che di quel mondo volevano fare parte e tutti coloro che volevano combattere per la libertà, propria e altrui [...] E' difficile valutare quali effetti abbia su un popolo il fatto che per tre generazioni i suoi membri più attivi, quelli il cui ideale era combattere per la libertà, se ne siano andati, e siano rimasti soltanto quelli a cui mancano il coraggio e l'immaginazione per concepire un modo di vivere diverso. Il piccolo gruppo di ebrei che tanto si distingue nella vita culturale americana, per esempio, si era allontanato da almeno un secolo dalle comunità ebraiche dell'Europa orientale. Ci sono due modi di andare oltre la mentalità del ghetto. Il primo consiste appunto nel sottrarvisi. Esodo, emigrazione. Per fare un esempio, l'Italia ha un mondo accademico che aborre il ricambio e sfrutta, umilia, devasta dottorandi e ricercatori. I concorsi sono truccati, i posti sono bloccati, nemmeno leccare culi dà più garanzia di alcunché. Andarsene all'estero è un'opzione giusta, perché libera gli individui e sprigiona energie, ma a lungo termine le conseguenze sul luogo abbandonato possono essere molto negative, se non catastrofiche. Con il brain drain il panorama culturale italiano si impoverisce, cala il numero di sinapsi attive, il livello medio si abbassa sempre di più. Si potrebbe riporre qualche speranza negli immigrati, o meglio, nel desiderio dei loro figli e nipoti di abbandonare i nuovi ghetti, le ennesime gated communities, le isole di conformismo e paranoia, ma non ci riusciranno se la situazione del Paese continua a peggiorare. Il circolo è vizioso. L'altro modo è sfumare la distinzione fra chi parte e chi rimane, creando intersezioni, figure ed esperienze di sintesi, e soprattutto circoli virtuosi. Da un lato, chi se ne va e riesce a lavorare bene dovrebbe compiere ogni sforzo per avere un'influenza positiva sulla situazione che si è lasciato alle spalle. Dall'altro, ed è questo l'aspetto più importante, chi rimane deve contrastare le spinte alla chiusura, resistere a provincialismi e nuovi razzismi, guardare fuori e cercare di guardare l'Italia da fuori, con occhi non velati dalla pigrizia, senza dare niente per scontato o "naturale". Sforzarsi di studiare le lingue, "pensare extra-italiano", auto-educarsi a un uso della rete e delle reti che proietti l'immaginazione oltre le obsolete frontiere nazionali. Chi ha la possibilità di farlo deve tenere un piede fuori dall'Italia, spostarsi, viaggiare, fare periodi di lavoro e studio all'estero, approfittare di ogni progetto, partenariato, stage, borsa di studio, Erasmus, Leonardo, Comenius, quel cazzo che vi pare ma fatelo, andateci. [NOTA BENE. Uno dei sintomi più evidenti della chiusura italiana è proprio il fatto che, dall'anno accademico 2003-2004, il numero degli universitari che effettuano soggiorni Erasmus è in calo anziché in crescita. Nel 2006, soltanto un misero 6,2% degli iscritti agli atenei italiani ha preso parte al programma. Questa percentuale esprime la media nazionale: la situazione al Nord è leggermente migliore (7,1%), mentre al Sud è decisamente peggiore (3,5%). E' vero, c'è un problema di classe sociale, le borse di studio di cui parliamo ammontano a cifre ridicole e non bastano al sostentamento dello studente, quindi chi viene da una famiglia o da una zona più povera ha maggiori ostacoli di fronte a sé... ma questo era vero anche prima, è sempre stato vero, di per sé non basta a spiegare un simile rattrappimento. Anche perché parliamo del 94% degli universitari italiani, cioè - nell'anno accademico 2005-2006 - oltre duecentottantamila persone. Ritengo improbabile che siano tutti figli di poveri. No, il punto è un altro: conosco persone che hanno fatto l'Erasmus negli anni Novanta, da studenti-lavoratori, lavando piatti in ristoranti tedeschi o distribuendo volantini a Londra, di fronte alle fermate del Tube. Io stesso mi sono pagato il Leonardo in Inghilterra facendo lavori improbabili. Se uno desidera andare all'estero ci va anche facendosi il culo. Se non ci si va è perché quell'opzione non è più nell'orizzonte, non viene presa in considerazione, costa troppa fatica mentale. Il problema è culturale, il Paese si imbozzola nell'abitudine, vinto, impaurito.] Ripropongo il duro monito di Bettelheim, che risale al 1962 ma sembra scritto domani: Per molti versi, il mondo occidentale stesso sembra avviato ad abbracciare la filosofia di vita del ghetto: non voler sapere, non voler capire che cosa accade nel resto del mondo. Se non stiamo attenti, l'Occidente dei bianchi, che già costituisce una minoranza, si murerà in un ghetto di sua stessa creazione, fatto dei cosiddetti deterrenti nucleari. Molti, dentro tale cintura di protezione, che è anche una cintura di costrizione, già si preparano a scavarsi i loro rifugi. Come per gli ebrei che restarono nei ghetti d'Europa anche dopo l'arrivo dei nazisti, si direbbe che per noi conti soltanto poter continuare il lavoro nel nostro enorme shtetl, e che importa ciò che succede nel resto del mondo? Occupiamoci del mondo, allora, perché noi siamo il mondo. Vanno bene anche piccoli "esercizi spirituali", giochi per forzare l'immaginazione e corteggiare l'inatteso, come leggere ogni tanto un quotidiano giamaicano, o del Belize, o della Guinea. Ricordarsi che ci sono tante e diverse comunità di umani, là fuori, tanti mondi, tanti piani di realtà. Senza questo, tutto diventa merda: il sociale, la politica, le arti... persino l'amore, perché anche la famiglia diviene un fortino armato contro l'esterno, tana di talpe dove i "cazzi nostri" contano più di tutto, e a tutto si è disposti per difenderne il primato. Come hanno fatto Olindo Romano e Rosa Bazzi, perfetta coppia di arci-italiani. Perché un intero paese non si riduca come loro, guardiamo al di là dei nostri nasi. [WM1] |
POSTILLA SU UNA COMMEDIA DEGLI ERRORI ** Cfr. l'episodio "Sì, buana" del film Dove vai in vacanza?, 1978, con Paolo Villaggio e Anna Maria Rizzoli. |
LETTERA DAL CAVALLO DI TROIA Il 2007 di Manituana. Prime considerazioni. Come siamo soliti fare da quando pubblichiamo, presto aggiorneremo i lettori sui dati di vendita dei nostri libri. Lo abbiamo spiegato diverse volte: comunichiamo questi dati in nome della trasparenza, ed è una prassi coerente con uno degli aspetti del nostro lavoro, quello di inchiesta militante sull'industria culturale, l'editoria e il mercato dei libri, con puntuali resoconti, dispacci inviati alla nostra comunità. Appunto, lettere dal cavallo di Troia. Anticipiamo qui il "succo" di quanto abbiamo appreso nei giorni scorsi. Nel periodo marzo-dicembre 2007, Manituana ha venduto 52.178 copie. All'arrivo della notizia siamo rimasti sbigottiti: il nostro intuito, una ragionevole cautela e alcune proiezioni empiriche avevano impresso in mente il numero "quarantamila", e già così sarebbe stato il nostro record (ne parliamo tra un momento), ma un risultato del genere è [inserire roboante aggettivo a scelta] e si spiega solo con il "combinato disposto" di lunga attesa + passaparola + lavoro su questo sito + un tour di presentazioni da mozzare il fiato + non ultima, la campagna estiva di sconti (-30%) sul catalogo Stile Libero Einaudi. E' di gran lunga il nostro record, nessun altro nostro libro ha venduto così tanto nel primo anno di presenza in libreria (anzi, nei primi dieci mesi scarsi). Nel periodo marzo-dicembre 1999 Q aveva venduto 31.469 copie. Nel periodo marzo-dicembre 2002 54 ne aveva vendute 29.198. Significa che l'ingresso in classifica in una posizione mai toccata prima non era un isolato fuoco di paglia, ma il manifestarsi di una tendenza solida, che non si è mai fermata. Ma il bello deve ancora venire, perché si tratta di un record triplice. Sulle ali dell'effetto-Manituana, infatti, si sono alzati in volo anche Q e 54. Attendiamo ancora i numeri definitivi, ma possiamo anticipare che, dopo il 1999, in nessun anno di presenza in libreria Q aveva mai venduto tante copie come nel 2007. Il libro dovrebbe aver registrato un balzo in avanti di quasi diecimila copie (!) rispetto al miglior risultato precedente. Stessa cosa vale per 54 dopo il 2002: quest'ultimo libro ha addirittura raddoppiato il proprio record e appare in grande crescita. Si vede che, alla buon'ora, è entrato nei radar di alcuni "duri e puri" che prima vedevano soltanto Q :-) E man mano che la realtà italiana insegue e imita il libro, forse si capisce meglio cosa volessimo dire con un romanzo sui dolori e le delusioni degli anni Cinquanta. Ad ogni modo, prima o poi si dovrà fare un'attenta riflessione sulla longevità di Q, un libro uscito ormai da nove anni che vende incessantemente grazie al passaparola, senza più alcun ruolo giocato dai media ufficiali, dalla critica (che anzi lo ammanta di silenzio), dalle forze tradizionali del "campo letterario". Secondo noi tra i grandi PR di questo libro si distinguono i signori Bagnasco, Ruini e Ratzinger: più costoro si sforzano di fomentare la guerra di religione, e più il nostro romanzo viene letto "fuor di metafora". Più la Chiesa reagisce alla propria crisi storica agitandosi, inveendo, spintonando, re-invadendo con esagerato dispiegamento di forze territori da cui si era parzialmente ritirata, e più si fa attuale un romanzo sull'eresia, la ribellione, la resistenza alle inquisizioni. Sono le infinite chances dell'allegoria: oltre ai tanti "sensi figurati", vi sono momenti in cui torna buona anche l'interpretazione letterale, e il Papa altri non è che... il Papa. Del resto, Ratzinger è stato a lungo capo del Sant'Uffizio, fondato da quel Carafa il cui nome appare ossessivamente nel romanzo. Un altro dato importante, e questo è già certo e indiscutibile: nel 2007, complessivamente, abbiamo venduto quasi un terzo dei libri venduti da quando pubblichiamo, cioè dal 1999. Poiché il 2008 sarà per noi un anno di ulteriore e decisa offensiva, ci sforzeremo, pur in uno scenario devastato e di grande scoramento, di alzare ulteriormente il livello della battaglia culturale, continuando a fare rapporto dal "ventre della Bestia". Intanto, beh, cazzo... Grazie a tutti. N.B. Puoi commentare questo testo nel forum del Livello 2 di manituana.com |
POST-SCRIPTUM |
COSA NON FUNZIONA NEGLI AUDIOLIBRI Da qualche tempo, grosse case editrici e quotidiani nazionali si stanno interessando agli audiolibri: romanzi, racconti e storie che usano voci (e musiche) come (principale) mezzo di trasmissione. A quanto pare, però, siamo ben lontani dai dati di vendita di altri paesi, Stati Uniti e Germania sopra tutti, e ancora non si registra un boom paragonabile a quello di un altro ibrido, l'ormai imprescindibile graphic novel. Di solito in Italia certi esperimenti editoriali funzionano così: 1) C'è un prodotto di nicchia: alcuni piccoli soggetti ci lavorano da anni e si dividono il relativo mercato. 2) In un paese estero (meglio se gli Stati Uniti) il prodotto di nicchia comincia a registrare un incremento di vendite costante. 3) Un grosso soggetto italiano fiuta il business e ci prova, di solito cercando di puntare su un prodotto poco caratterizzato, generalista, con un grosso nome che faccia da traino. 4) Se le voci di corridoio dicono che il grosso soggetto ha fatto la mossa giusta e l'esperimento sembra avere un margine di successo, molti altri grossi soggetti del settore si buttano a imitarlo. Spesso la corsa scatta anche in maniera automatica: come la squadra di calcio X che compra l'oggetto del desiderio della squadra Y solo per tenerlo in panchina e non farlo giocare con Y. Per non arrivare tardi, l'editore X fa la stessa mossa dell'editore Y, buona o cattiva che sia. 5) A questo punto può succedere che a) Buona parte dei grossi soggetti registrano risultati apprezzabili, oppure b) Non c'è spazio per tutti, la nicchia non si allarga abbastanza, il mercato si satura, i risultati non sono immediati, bisogna investire, farsi venire nuove idee, scommettere su un prodotto davvero interessante, più che sul "grosso nome". 6) Di conseguenza: a) Si apre ufficialmente un nuovo settore di mercato, oppure b) Si decreta ufficialmente che "il prodotto in Italia non vende", "il pubblico non è pronto", "Non siamo in America" e l'offensiva in grande stile diventa presto una ritirata strategica. Restano sulla piazza, non sempre con un vantaggio, i piccoli soggetti degli inizi. Con l'audiolibro mi pare che stiamo più o meno tra la fase 4 e la 5b. Così, prima di giungere all'ovvia conclusione che "Il prodotto non funziona" vorrei dire cosa, secondo me, non funziona e cosa, invece, potrebbe funzionare molto meglio. Il problema principale è che il 99% degli audiolibri non sfrutta le specificità del mezzo. E' come se l'adattamento cinematografico di un romanzo consistesse nelle riprese dell'autore che scrive e poi legge l'opera o nel filmato di un'attrice che sfoglia le pagine pensierosa. Finora il coraggioso esperimento editoriale si è ridotto quasi esclusivamente a due schemi: 1) L'Autore di successo legge la sua opera, oppure: 2) Il Grande Attore legge il Grande Classico con l'accompagnamento del Grande Musicista Nello schema 1 rientra, ad esempio, Sandro Veronesi che legge Caos Calmo (12 CD a 21 euro e 90). Ottima idea per chi fatica a leggere, per chi fa lunghi viaggi in auto, per qualche maniaco del genere. Ma gli altri? Cosa trovano di nuovo rispetto al romanzo scritto, che magari hanno già acquistato? L'investimento creativo e produttivo è pari a zero, ci si limita a tradurre il testo in un formato diverso. Perché dovrei spendere una cifra considerevole per acquistare qualcosa che alla casa editrice e all'autore non è costato (quasi) nulla? E poi: quale mostruosa hubris spinge un editore a pubblicare DODICI compact disc, in un'epoca dove il suono è sempre più svincolato dal supporto fisico e le etichette musicali faticano a vendere i loro dischi? Infine, per quanto riguarda chi ha problemi di vista: non sarebbe più civile concedere i diritti di riproduzione audio, purché non a scopo di lucro, alle tante associazioni che si occupano di non lasciare queste persone senza storie? Non è spremendo il sangue dalle rape che si fa uscire un prodotto dalla sua nicchia. Da questo punto di vista lo schema 2 fa un passo in più, introducendo la musica come ingrediente della torta. In effetti, un audiolibro senza musica è come un film senza colonna sonora. Purtroppo in molti casi l'interazione tra voce e strumenti è poco più che un collage, un'occasione per mettere in copertina un nome in più e attirare così un ulteriore fetta di pubblico. L'investimento si riduce nel chiedere a qualcuno di suonare un sottofondo adatto. Come pretendere di fare world music catapultando nello stesso studio un cantante di qawwali, due tenores della Barbagia e un virtuoso giapponese di koto. Che fare allora? In parte la risposta esiste già, basta spulciare i cataloghi di autori ed editori che l'idea degli audiolibri se la sono fatta venire per passione, e non solo per marketing. Alcuni esempi, tra quelli che conosco meglio. Nel lontano 1997, Stefano Tassinari inaugurava per la Moby Dick di Faenza la collana "Carta da Musica", che da allora ha fatto una lunga strada, sposando in maniera creativa musica, poesia, racconti, testi teatrali. Più di recente, la Black Candy Records ha pubblicato Nessuno lo saprà di Enrico Brizzi e Frida X, "concerto per voce e rock'n'roll band", tratto dal romanzo omonimo. L'album "54" degli Yo Yo Mundi, sempre con lo zampino di Tassinari, andava in una direzione molto simile. E certo non si possono relegare in un ambito solo musicale i Massimo Volume o gli Offlaga Disco Pax, con il loro spoken rock, sempre all'incrocio tra musica, racconto e forma canzone. Non a caso, il reading da "La notte del Pratello" di Emidio Clementi (ex-voce dei Massimo Volume), è forse il più riuscito che mi sia capitato di vedere dal vivo. Ora, rispetto a tutte queste produzioni, vorrei sottolineare due aspetti. Il primo è che, a fronte di un contenuto ibrido, l'oggetto partorito è sempre un CD. Ci si concentra sul versante audio e si affida a un piccolo booklet l'aspetto letterario e libresco. Al contrario, guardando i prodotti di questo tipo pensati per bambini - sul genere Fiabe Sonore, per intenderci - mi sono convinto che anche in un audiolibro "per grandi", la pagina deve essere valorizzata e non sacrificata. Magari con delle illustrazioni, come ha fatto Mondadori con le "Storie del Bosco Antico", lette da Mauro Corona e disegnate da Alessandro Baronciani (tra le altre cose, cantante dei pesaresi Altro). Libro e CD a sedici euro: sicuramente l'esperimento più interessante uscito per una major negli ultimi anni. Seconda osservazione: negli audiolibri "musicati", l'aspetto narrativo è quasi sempre o assente (poesie) o parziale (pezzi di romanzo) o ridotto (racconti brevi). Difficile trovare l'equivalente di un concept album, dove i diversi brani raccontano una storia completa, dall'inizio alla fine. Un passo in questa direzione dovrebbe farlo Massimo Carlotto, che il 5 aprile uscirà con "Cristiani di Allah", libro più CD per le edizioni e/o e spettacolo in giro per l'Italia. Per parte nostra, tra meno di un mese, metteremo on-line la registrazione in studio di Pontiac - Storia di una rivolta, il reading concerto collegato a Manituana che abbiamo già presentato in una dozzina di date. Insieme all'audio in formato mp3, ci saranno testi, note e 12 tavole in bicromia realizzate da Giuseppe Camuncoli & Stefano Landini. Il tutto rigorosamente autoprodotto, perché di editori pronti a scommettere su un progetto del genere al momento non se ne vedono e forse se ne può pure fare a meno. Staremo a vedere e vi terremo aggiornati. [WM2] |
LE PROSSIME USCITE. Il racconto lungo scritto per la collana "Verdenero" delle Edizioni Ambiente sarà in libreria il 19 febbraio. Si chiama Previsioni del tempo. Ricordiamo che si svolge nello stesso mondo di Guerra agli Umani di Wu Ming 2, è uno dei possibili sequel di quel romanzo, ma è leggibile anche da chi non conosca le vicende precedenti. Il libro sarà su carta riciclata e conterà 192 pagine, impaginate pensando a ipovedenti e persone di una certa età (almeno crediamo che il motivo sia quello :-)). € 10. Segue qualche cenno sulla trama: Broker di rifiuti, mediatore finanziario, campione di ascetismo edonistico, l'uomo al vertice dell'organizzazione ha un'idea precisa di cosa sia un cattivo maestro. È quello che ti fa vedere chiaramente tutto quello che non si deve fare, tutto quello che non bisogna essere. Sembra un'operazione di routine, ma la strada non può essere anestetizzata: il passato riaffiora. Qualcuno in alto dovrà sporcarsi le mani? Un viaggio lungo mezza Italia, dentro la pancia putrida del paese. Dopo un intenso lavoro di verifica e riscrittura, finalmente Wu Ming 4 ha consegnato all'Einaudi il suo romanzo solista, Stella del mattino. Dovrebbe uscire a fine aprile, sperando sia passato il post-election blues. A questa nostra uscita teniamo moltissimo. E' la nostra uscita del 2008. Ne parleremo. Il cavaliere è vestito di bianco e nessuno può vederlo in volto. Ha il potere di distruggere ciò che tocca e il dono di essere ovunque. Nessuno sa dove si nasconda, appare e scompare, il deserto è la sua casa, le rocce il suo cibo. E' come l'aria, è il vento che soffia. Un giorno attraversa il Grande Nefudh, il giorno dopo si bagna nel Mar Morto. Il suo nome vola da un'oasi all'altra. I pellegrini in viaggio verso la Mecca lo avvistano nelle tempeste di sabbia e lo chiamano Iblis, il Diavolo. Tutti lo temono. Anche tu. Il "diario canadese" di WM3 e WM5 (sui luoghi di Manituana e non solo) uscirà nella seconda metà di maggio (Rizzoli). L'antologia Crimini 2 uscirà a giugno per Einaudi Stile Libero, e conterrà un nostro racconto. PREMIO SALGARI. Manituana è entrato nella terzina finale del Premio Salgari 2008. Gli altri due libri sono La Strategia dell'Ariete dei nostri "cugini" Kai Zen (piccolo il mondo, nevvero?) e I miei mari di Folco Quilici. A noi, nel 2007, Gianni Minà ci ha consegnato il Premio Sergio Leone. Folco Quilici, lui, nel 2007 ha vinto il Premio Hemingway. Ma quelli meglio introdotti sono i Kai Zen: se date un'occhiata alla loro pagina su MySpace, tra i loro amici spiccano Samuel Beckett, Carmelo Bene, John Fante, James Joyce, Walter Benjamin, Ludwig Wittgenstein, Aldous Huxley, Akira Kurosawa, Glenn Miller e molti altri... Questi sono una potenza, ci fanno il culo a tutti! ASOR ROSA. Ad ogni modo, anche senza tutti quegli amici illustri, dopo un decennio di attività abbiamo fatto capolino nell'enciclopedia della Letteratura italiana Einaudi, curata da Alberto Asor Rosa (nuova edizione allegata a Repubblica). Ventesimo volume, spezzone N-Z del "Dizionario degli autori": Wu Ming (in cinese "anonimo") E' la firma di un gruppo di narratori, costituitosi a Bologna nel 2000 a seguito dell'analoga esperienza di scrittura collettiva da cui è uscito, firmato "Luther Blissett", Q (Einaudi, Torino 1999), appassionante "proiezione" del sovversivismo contemporaneo nell'Europa della Riforma protestante. A W. si devono 54 (ibid. 2002), ambientato nel dopoguerra dei blocchi contrapposti, e Manituana (ibid. 2007), storia di una tribù indiana coinvolta nella rivoluzione indipendentista americana. C'è un precedente: due anni fa sul Bollettino di Italianistica ("Rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica diretta da Alberto Asor Rosa") è apparso uno dei testi critici più interessanti scritti sul nostro conto. Si intitolava (e si intitola) "La narrazione come mitopoiesi secondo Wu Ming". Autore: Marco Amici. PDF qui. NEW THING IN BRASILE. Dopo l'uscita in Francia e in attesa dell'uscita in Spagna (purché se m... ooops!), nel mezzo New Thing di Wu Ming 1 esce in Brasile, per i tipi di Conrad Editora. Il traduttore si firma, nientepopodimeno, Stanley Kubrick. E' vero, è omonimo del noto regista, ma è un caso. "Stanley Kubrick" è un tipico nome brasiliano. Lo sapete quanti "Stanley Kubrick" ci sono sull'elenco telefonico di San Paolo? Così, per puro sfizio, l'incipit: Prólogo. 12 de abril de 1967 O coro ensaia na sala de uma escola primária. Nada de testes, qualquer um pode entrar. Sabe cantar? Vai cantar. É desafinado? Pode ficar ouvindo, tomar café, olhar os desenhos das crianças nas paredes. Esta noite há muita gente nova. Apresentações, apertos de mão. Esta é a sala de aula do meu filho. O bedel é meu primo. No banheiro está o rabisco que fiz aos sete anos com um prego. Anita sorri para todos, ouve as vozes, divide as pessoas em três grupos e as faz sentar em círculo. No quadro-negro, a letra de um spiritual. Anita canta os primeiros versos, testando a entonação num piano vertical. Ensina as vozes, faz cantar uma seção por vez. Alguns cantam baixo, outros alto demais, vozes falham, acessos de tosse, risos. Anita explica os rudimentos: “Segunda voz”, “Canto e resposta”... Xícaras de café passam de mão em mão. E agora, todos juntos. Um garoto se senta ao piano, Anita canta. |
I BISCOTTI DI ROSSANA "Come diavolo fate a scrivere in cinque?" In quasi dieci anni di attività abbiamo risposto centinaia di volte a questa domanda e alle sue diverse declinazioni, di solito tirando in ballo il metodo ("Allora, inizia tutto con una specie di jam session..."), la familiarità ("Tieni conto che facciamo cose insieme dai tempi del liceo...") o le prove concrete (scambi di e-mail, audio di riunioni). Tutto questo per mascherare il vero collante del nostro sodalizio, un segreto del quale noi stessi, fino a poco tempo fa, avevamo una conoscenza molto parziale e che tuttora non smette di inquietarci. Si tratta di un composto psicotropo, fortemente empatogeno, consumato in dosi massicce durante le riunioni del collettivo, specie nel periodo 1998 - 2003. Come nel caso dell'ayahuasca, gli ingredienti di base di questa ricetta, se presi separatamente, non producono effetti degni di nota, cosa che invece accade se li si mescola secondo una particolare procedura. Fino a quest'estate, l'unica persona in grado di preparare la sostanza in maniera efficace era la zia di Wu Ming 2, Rossana Cattabriga, classe 1930, ex-insegnante di scuola media e agitatrice culturale wuminghiana nel difficile milieu degli ultrasessantenni. Pur avendo iniziato il nipote ai misteri della gastronomia, e in particolare dei prodotti da forno, Rossana si era sempre mostrata reticente circa i suoi famigerati "Biscottini alle uvette", noti nel lessico familiare col nome di "Pocloccli". Soltanto la sua recente dipartita per i Felici Territori di Caccia, ha consentito ai parenti di accedere a un prezioso scrigno di ricette che conteneva, tra mille altre, anche la scheda del meraviglioso additivo. Ve la proponiamo qui, certi che Rossana approverebbe, poiché cucinare per gli altri e contagiarli con la propria passione, è uno dei modi più dolci di guadagnarsi l'eternità. Ingredienti 500 gr di farina "00" - setacciata Mescolare in una terrina farina setacciata e lievito, fare la fontana, rompere al centro le uova, insieme a olio e latte. Impastare aggiungendo lo zucchero e alla fine le uvette, badando di non schiacciarle troppo. Dividere l'impasto in alcune palle e dare a ciascuna la forma di un serpentello, spesso quanto un mignolo, che poi va tagliato in pezzi lunghi circa 5 cm. |
VARIE ED EVENTUALI Chi ha seguito su Giap la storia della nostra collaborazione con gli Yo Yo Mundi (et al.) per il cd 54 sa bene chi era (chi è) Dario Berveglieri. Per chi non lo sa: abbiamo raccontato tutto due anni fa e speriamo che quel testo continui a essere letto. Bene, l'Associazione Dario Berveglieri ha curato, in collaborazione con il Comune di Argenta (FE), una nuova edizione della mostra "Dario Berveglieri. Percorsi di fotografia 1989-2003", arricchita di una nuova sezione, dedicata ai servizi svolti da Dario nell'ambito della rassegna ferrarese di concerti "Ferrara sotto le Stelle". Lo spazio espositivo è quello del Centro Culturale Mercato, in Piazza Marconi. La mostra rimarrà aperta fino al 24 febbraio, tutti i giorni tranne il lunedì. L'orario è dalle 9 alle 19, tranne il sabato e la domenica, quando l'apertura è alle 15. Info: 800.111.760 oppure www.associazionedarioberveglieri.it UN CARTELLO ALLA SAPIENZA. Giulio Fermetti ci segnala che, durante la recente mobilitazione anti-Papa alla Sapienza di Roma, è spuntato un cartello con un certo slogan in una lingua suppostamente morta e che comunque il Pontefice conosce... La foto in alto a destra è di Flavia Grossi. Per ingrandirla, cliccare. La location romana ci ha fatto tornare in mente che Omnia sunt communia è pure il titolo di una canzone dei Rancore, band capitolina il cui album Rifiuto (Autoprod./Raged Records 2005) si conclude con una ghost-track. Una voce femminile recita un frammento di WM5: "Nulla di ambiguo, come vedete. Scrivo per far cadere la pioggia. Scrivo per bandire le guerre. Parole per scacciare i fantasmi, per riempire il ventre, per dichiarare senza paura ciò che si ama e si odia." Il testo della canzone si trova qui. ALICANTE. Luther Blissett trafuga la bandiera spagnola dal castello di S. Barbara ad Alicante, Spagna, e la sostituisce con la bandiera dei pirati. Articolo in spagnolo qui. THE DISNEY TRAP. Nell'ottobre 2006 contribuimmo a diffondere urbi et orbi un video di Monica Mazzitelli de iQuindici. Si intitolava e s'intitola The Disney Trap: How Copyright Steals our Stories. L'effetto virale è stato incredibile. Lemme lemme, pare che l'han visto tutti. Su YouTube, nel momento in cui scriviamo, risulta che sia stato visto un milione e settecentoquattromilasettecentonovantasei volte. Lo ripetiamo perché fa una certa impressione: un milione e settecentoquattromilasettecentonovantasei volte. Suona bene, no? Proviamo ancora: "un milione e settecentoquattromilasettecentonovantasei volte" |