Indice di /Giap/#5 IIIa serie - Per non essere travolti dall'onda - 10 ottobre 2002
0. Preambolo/pezza d'appoggio/citazione di fronte al pericolo
1. Copyright e maremoto - di WM1
2. Parte l'esperimento dei "lettori residenti"
3. Oi! The Cockney Kids Are Innocent! (di WM1 & WM5) + News
4. L'ultima presentazione di "54"?
5. Una lettera di Bifo sul divorzio tra capitale e intelligenza
6. Risposta di WM4 a un lettore sui prezzi dei nostri libri
7. Bookcrossing e copyleft: una sintesi? + risposta di WM2
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Soffiano venti lerci di guerra, piove acqua pesante, si rovesciano a terra cattivi presagi... e noi lì a parlare di copyright, di letteratura, di crisi dell'autoimpresa culturale...?!
Beh, sì. E' innegabile.
E l'impegno degli intellettuali? Voi non li fate, i girotondi? Non lo scrivete, un /Giap/ speciale sullo sciopero del 18? Non dite niente sul Forum Sociale Europeo, le sparate dei "portavoce" etc. etc.?
Noi lottiamo e parliamo del conflitto, che è ovunque lo stesso conflitto, ma lanciamo l'offensiva dal nostro campo d'azione diretta. Dal nostro sapere pratico. Solo in questo modo siamo parte del movimento, non un movimento particolare, ma un avanzare reale e globale, che abolisce lo stato di cose presente.
<<...Gli intellettuali hanno preso l'abitudine di lavorare non nell'"universale", l' "esemplare", il "giusto ed il vero per tutti", ma in settori determinati ed in punti precisi in cui li collocavano le loro condizioni professionali di lavoro e le loro condizioni di vita (l'abitazione, l'ospedale, il manicomio, il laboratorio, l'università, i rapporti familiari o sessuali)...
Dal momento in cui la politicizzazione si opera a partire dall'attività specifica di ciascuno, la soglia della scrittura, come segno sacralizzante dell'intellettuale, scompare...
Si può dire che il ruolo dell'intellettuale specifico deve diventare sempre più importante, in proporzione alle responsabilità politiche che, volente o nolente, è obbligato a prendere in quanto scienziato atomico, genetista, specialista dell'informazione, farmacologo etc. Sarebbe pericoloso squalificarlo nel suo rapporto specifico ad un sapere locale, col pretesto che sono questioni da specialisti che non interessano le masse (il che è doppiamente falso: esse ne hanno coscienza e in ogni modo vi sono implicate), o che egli serve gli interessi del Capitale e dello Stato (il che è vero, ma allo stesso tempo evidenzia la posizione strategica che occupa)... La lotta locale o specifica che conduce porta con sé degli effetti, implicazioni che non sono semplicemente professionali o settoriali...
Il ruolo dell'intellettuale non è più di porsi "un po' avanti e un po' a lato" per dire la verità muta di tutti; è piuttosto di lottare contro le forme di potere là dove ne è al contempo l'oggetto e lo strumento: nell'ordine del "sapere", della "verità", della "coscienza", del "discorso". E' in questo senso che la teoria non sarà l'espressione, la traduzione o l'applicazione di una pratica, ma una pratica essa stessa.>>
Montaggio da: Michel Foucault, Microfisica del potere. Interventi politici, Nuovo Politecnico Einaudi, 1977
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COPYRIGHT E MAREMOTO
di Wu Ming 1
Un esteso movimento di contestazione e trasformazione sociale è oggi attivo in gran parte del pianeta. Ha smisurate potenzialità costituenti ma non ne è ancora del tutto consapevole. Pur venendo da molto lontano, si è manifestato solo di recente, salendo più volte sulla ribalta mediatica eppure lavorando nel quotidiano, lontano dai riflettori. E' fatto di moltitudini e di singoli, di reticoli capillari sul territorio. Cavalca le più recenti innovazioni tecnologiche. Gli vanno strette le definizioni coniate dai suoi avversari. Presto sarà inarginabile, e nulla potrà la repressione.
E' ciò che il potere economico chiama "pirateria".
E' il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.
Da quando - non più di tre secoli or sono - si è imposta la credenza nella proprietà intellettuale, i movimenti underground e "alternativi" e le avanguardie più radicali l'hanno contestata in nome del "plagio" creativo, dell'estetica del cut-up e del "campionamento", della filosofia "do it yourself". Procedendo a ritroso si va dall'hip-hop al punk al proto-surrealista Lautreamont ("Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Stringe da vicino la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un'idea falsa, la sostituisce con l'idea giusta.").
Oggi quest'avanguardia è di massa.
Per decine di millenni la civiltà umana ha fatto a meno del copyright, come ha fatto a meno di consimili falsi assiomi, quali la "centralità del mercato" o la "crescita illimitata". Se fosse esistita la proprietà intellettuale, l'umanità non avrebbe conosciuto l'epopea di Gilgamesh, il Mahabharata e il Ramayana, l'Iliade e l'Odissea, il Popol Vuh, la Bibbia e il Corano, le leggende del Graal e del ciclo arturiano, l'Orlando Innamorato e l'Orlando Furioso, Gargantua e Pantagruel, tutti felicissimi esiti di un esteso processo di commistione e ricombinazione, riscrittura e trasformazione, insomma di "plagio", nonché di libera diffusione e performance dal vivo (senza l'interferenza degli ispettori SIAE).
Fino a poco tempo fa, le palizzate delle enclosures culturali imponevano una visuale angusta, poi è giunta Internet. Ora la dinamite dei bit per secondo fa saltare quei recinti, e possiamo intraprendere avventurose escursioni in foreste di segni e radure illuminate dalla luna.
Ogni notte e ogni giorno milioni di persone, da sole o collettivamente, aggirano/violano/contestano il copyright. Lo fanno riappropriandosi delle tecnologie digitali di compressione (MP3, Mpeg etc.), distribuzione (reti telematiche) e riproduzione dei dati (masterizzatori, scanner). Tecnologie che aboliscono la distinzione tra "originale" e "copia". Usano networks telematici peer-to-peer (decentrati, "da pari a pari") per mettere in condivisione i dati dei propri dischi rigidi. Aggirano con astuzia qualunque ostacolo tecnico o legislativo. Prendono in contropiede le multinazionali dell'entertainment erodendone i sinora smodati profitti.
Com'è naturale, creano grosse difficoltà agli enti che amministrano il cosiddetto "diritto d'autore" (in che modo lo amministrino ce lo ha mostrato Bernardo Iovene nella sua inchiesta per la trasmissione Report del 4 ottobre 2001, il cui testo è disponibile all'indirizzo <http://www.report.rai.it/2liv.asp?s=82>).
Non stiamo parlando della "pirateria" gestita dal crimine organizzato, sezione di capitalismo extralegale non meno spiazzata e annaspante di quella legale dall'estendersi della "pirateria" autogestita e di massa. Parliamo di una generale democratizzazione dell'accesso alle arti e ai prodotti dell'ingegno, processo che scavalca le barriere geografiche e sociali. Diciamolo pure: barriere di classe (devo proprio snocciolare qualche dato sui prezzi dei CD?).
Questo processo sta cambiando i connotati dell'industria culturale mondiale, ma non si limita a questo. I "pirati" indeboliscono il nemico e allargano gli spazi di manovra delle correnti più politiche del movimento: ci riferiamo a quanti producono e diffondono il "software libero" (programmi "a sorgente aperta" liberamente modificabili dagli utenti), a coloro che vogliono estendere a sempre più settori della cultura le licenze "copyleft" (che permettono la riproduzione e distribuzione delle opere purché esse rimangano "aperte"), a coloro che vogliono rendere di "pubblico dominio" farmaci indispensabili alla salute, a chi contesta l'appropriazione, la registrazione e la frankensteinizzazione di specie vegetali e sequenze genetiche etc. etc.
Il conflitto tra anti-copyright e copyright esprime nella sua forma più immediata la contraddizione di base del sistema capitalistico: quella tra forze produttive e rapporti di produzione/proprietà. Giunto ad un certo livello, lo sviluppo delle prime mette inevitabilmente in crisi i secondi.
Le stesse corporations che vendono campionatori, fotocopiatrici, scanner e masterizzatori, controllano anche l'industria globale dell'entertainment che si scopre danneggiata dall'uso di tali strumenti. Il serpente si morde la coda, poi aizza i parlamenti perché legiferino contro l'autofagia.
La conseguente reazione a catena di paradossi ed episodi grotteschi ci fa comprendere che è finita per sempre una fase della cultura, e che non serviranno leggi più dure a fermare una dinamica sociale già avviata e travolgente. Quello che va modificandosi è l'intero rapporto tra produzione e consumo nella cultura, il che allude a questioni di ancor più vasta portata: il regime proprietario sui prodotti dell'intelletto generale, lo statuto giuridico e la rappresentanza politica del "lavoro cognitivo" etc.
Ad ogni modo, il movimento reale punta a superare l'intera legislazione sulla proprietà intellettuale, a riscriverla da capo. Sono già sul terreno le pietre angolari su cui riedificare un vero "diritto degli autori", che tenga davvero conto di come funziona la creazione, vale a dire per osmosi, commistione, contagio, "plagio". Sovente, legislatori e forze dell'ordine inciampano in quelle pietre, sbucciandosi le ginocchia.
L'open source e il copyleft si estendono ormai ben oltre la programmazione del software: le "licenze aperte" sono dappertutto, e in tendenza possono divenire il paradigma di un nuovo modo di produzione, che liberi finalmente la cooperazione sociale (già esistente e visibilmente dispiegata) dal controllo parassitario, dall'esproprio e dalla "rendita" a favore di grandi potentati industriali e corporativi.
La potenza del copyleft deriva dal suo essere un'innovazione giuridica dal basso che supera la mera "pirateria", ponendo l'accento sulla pars construens del movimento reale. In pratica, le vigenti leggi sul copyright (uniformate dalla Convenzione di Berna del 1971, praticamente il Pleistocene) vengono pervertite rispetto alla loro funzione originaria, e anziché ostacolarla diventano garanzia della libera circolazione. Wu Ming contribuisce a questo movimento inserendo nei suoi libri la seguente dicitura (di certo migliorabile): "E' consentita la riproduzione parziale o totale dell'opera e la sua diffusione per via telematica ad uso personale dei lettori, purché non a scopo commerciale". Vale a dire che tale diffusione deve rimanere gratuita... pena il pagamento degli spettanti diritti.
Per chi volesse saperne di più, un ottimo quadro della situazione è quello recentemente fornito dalla rivista New Scientist (trad. it. su <http://www.internazionale.it/copyleft.html>), in un lungo articolo a sua volta pubblicato sotto una "licenza aperta".
Cancellare un'idea falsa, sostituirla con quella giusta. L'avanguardia è un salutare "ritorno all'antico": stiamo abbandonando la "cultura di massa" dell'era industriale (centralizzata, standardizzata, univoca, ossessionata dall'attribuzione autoriale, regolata da mille cavilli) per addentrarci in una dimensione produttiva che, a un livello di sviluppo più alto, presenta non poche affinità con quella della cultura popolare (eccentrica, difforme, orizzontale, basata sul "plagio", regolata dal minor numero di leggi possibile).
Le vigenti leggi sul copyright (tra cui la pasticciatissima legge italiana del dicembre 2000) non tengono in alcun conto il "copyleft": al momento di legiferare, il Parlamento ne ignorava del tutto l'esistenza, i produttori di software libero (a rigore, accomunati sic et simpliciter a "pirati") ne hanno avuto la conferma durante incontri con diversi onorevoli.
Com'è ovvio, vista l'attuale composizione delle Camere, non vi è da attendersi altro che il diabolico perseverare nell'errore, nella stoltezza e nella repressione. Lorsignori non si avvedono che, sotto quel mare in cui essi vedono solo pirati e navi da guerra, i fondali già si spalancano.
Anche a sinistra, quanti non vogliono aguzzare la vista e le orecchie, e propongono soluzioni fuori tempo, da "riformismo" pavido (diminuire l'IVA sui prezzi dei CD etc.), potrebbero accorgersi troppo tardi del maremoto, ed essere travolti dall'onda.
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Dopo una discussione a tratti effervescente a tratti lutulenta - con diverse e contrastanti proposte tutte accomunate dal fumus boni iuris - è finalmente periclitabile un indirizzo e-mail pubblico de "i Quindici" (che in realtà sono venti), vale a dire i "lettori residenti" che, eroicamente, si smazzeranno la lettura di romanzi e racconti inediti pervenuti a Wu Ming, dando a chi scrive ciò che vuole (un parere) e gavignando noialtri per levarci dal mezzo della procella. Noialtri, sagrificati quali siamo, avremmo peccato d'oscitanza (poffarbacco!).
Orbene, l'indirizzo è
<manoscritti_ai_15@yahoo.it>
Abbiamo già ricontattato quanti, di remoto e di recente, ci avevano spedito le loro prove d'autore, esortandoli a rispedirle ai Quindici o a darci licenza di spedirle noi. Esortiamo anche altri/e /Giapsters/ a far vivere questo esperimento.
Tenete conto di quattro cose:
- sulla prima pagina del testo vanno riportati nome e indirizzo e-mail dell'autore.
- zippare ciò che è zippabile.
- i Quindici fanno anche altre cose (ahiloro!): gli autori non si aspettino una risposta prima del tempo dei fichi.
- gli autori non intasino l'indirizzo di solleciti.
Forwaerts, kamaraden!
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Sull'ultimo numero de il Mucchio Selvaggio EXTRA ("trimestrale di approfondimento musicale"), in edicola dal settembre scorso, c'è un lungo articolo retrospettivo sul cosiddetto Oi!, il "punk rock operaio" nato nelle città del Regno Unito, per pregiudizio ritenuto patrimonio esclusivo della sottocultura skinhead.
Una doverosa riconsiderazione, a firma "Wu Ming 1 e Wu Ming 5", del sotto-genere rock'n'roll più calunniato e vilipeso di tutti i tempi.
L'articolo è ora disponibile sul nostro sito, all'URL:
<http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/oi_per_extra.html>
Ad ogni modo, per chi puote, consigliamo l'acquisto della rivista, anche per il CD live di Sid Griffin incluso nel prezzo, e anche perché il direttore e' un celebre omonimo di WM4 :-)
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Novità sul sito in diverse lingue:
Nuove foto nella galleria di immagini su "Asce di guerra" (un compadre spagnolo ci ha spedito quattro belle immagini a colori sugli scontri antifascisti del 13/05/2000 a Bologna)
<http://www.wumingfoundation.com/gallery/galleriaadg.htm>
La traduzione portoghese de "Gli astronauti di chi?"
<http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/astronautas_portugues.html>
Nuovi articoli e recensioni di Q in tedesco:
<http://www.wumingfoundation.com/italiano/rassegna/Qquerschnitt.html>
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Un reminder: negli ultimi giorni di ottobre sarà in libreria il libro di Patrick Symmes Sulle orme del Che (Einaudi Stile Libero), traduzione e post-fazione di WM1. Libro altamente consigliato. Ecco uno stralcio della post-fazione:
<<E' necessario ripartire da La Higuera, dove - come ha scritto il poeta Enrique Lihn - il Che "ha stabilito post mortem il proprio quartier generale", per scavare nel mito guevariano fino a toccare "il fondo di nuda roccia" che tuttora esiste sotto gli strati di retorica, langue du bois terzomondista e sovra-codificazione simbolico-mercantile. Solo questo paziente lavoro ci consentirà di ri-aprire e re-investire il mito, giocandolo nella situazione presente, contro chi prepara la più grande e la più cruenta guerra tra poveri della storia, e al contempo di imparare dagli errori, di rimanere vigili e prevenire la sclerotizzazione e la perdita di senso dei miti che i movimenti vanno creando. Una decostruzione e rifondazione del mito guevariano sarà possibile solo moltiplicando i punti di vista obliqui, inattesi ed eterodossi come è quello di Patrick Symmes.>>
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Siamo a fine tour. Con la presentazione a Crema, che sarà una delle ultimissime se non addirittura l'ultima, toccheremo la ragguardevole cifra di quarantuno date. Per far le cose tonde tonde, avremmo voluto farne cinquantaquattro, ma era una pensata di quando eravamo più freschi, ehm...
Lunedi' 11 novembre h.20:45
Bar Galleria via Mazzini, Crema
per informazioni:
Paolo Gualandris, 3476010168
pgualandris@cremonaonline.it
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Estratto da una lettera di Franco "Bifo" Berardi, utile a re-impostare il discorso sulla auto-impresa culturale nella fase del "nazional-liberismo" e del "keynesismo militare", e quindi - parlando del nostro particulare - a scrivere una nuova "Dichiarazione d'intenti di Wu Ming".
<<...una tendenza che mi sembra delinearsi nella composizione sociale e antropologica del movimento: la prima generazione videoelettronica, quelli che oggi animano gran parte delle strutture di attivismo e mediattivismo, e di autoimpresa (la parte più significativa del movimento, quella che si è espressa politicamente e produttivamente nell'epoca Seattle) sta per entrare in una fase di accelerata riformattazione.
Nel decennio novanta la generazione pantera (generazione friabile) aveva convissuto con il cinismo
della generazione pentita (la mia). Da Seattle in poi, invece, è emersa la prima generazione compiutamente videoelettronica, quella che è cresciuta socialmente nell'epoca della rete e del consumismo produttivista new economy.
La rivolta di Seattle e Genova non è una rivolta sociale, ma una rivolta etica. Quelli che scendono in piazza sono gente che non tollera più eticamente l'ipocrisia, e ha i mezzi per comunicare il suo rifiuto etico sul megaschermo dello spettacolo globale. Ma sul piano sociale quella generazione è stata fino a ieri garantita. Creatività e reddito hanno potuto coesistere in qualche misura, e comunque l'illusione (non solo illusoria) di una coesistenza di creatività e reddito ha disegnato un orizzonte di integrazione sociale.
Questa è stata una forza straordinaria della prima generazione videoelettronica, emergenza cognitaria positiva. La dotcom-mania è stata espressione di questa coalescenza di capitale e creatività, di impresa e lavoro vivo. Ora tutto questo è finito, sta finendo. Si apre una faglia tra capitale e lavoro cognitivo.
Nel passato decennio il dominio capitalistico si è fondato sull'alleanza con l'intelligenza collettiva. Ma dopo il crollo del Nasdaq, con l'avvento dei petrolieri guerrafondai, il capitale divorzia dall'intelligenza.
Negli anni novanta fu necessaria nei centri sociali una battaglia culturale perché si trasformassero da centri di aggregazione in centri di aggregazione e di produzione (e di autoimpresa, dove possibile).
Derive approdi si battè contro il militantismo per promuovere uno stile politico di autovalorizzazione, in cui lavoro, impresa e azione sociale potessero in qualche modo convivere.
Questo interpretava una fase di emergenza del lavoro cognitivo, e uno spazio di cointeressenza tra capitale e creatività.
Si è così sedimentata una coscienza duplice: rivolta etica e integrazione sociale.
Questo ha reso fragile, episodica, la rivolta antiliberista. La rivolta ha avuto carattere dimostrativo, non ha saputo radicarsi nella quotidianità, farsi rottura destrutturante, sabotaggio sistematico, diffusa liberazione di energie.
Ma questa duplicità sta per finire, perché gli effetti della catastrofe economica si manifestarenno prima di tutto come riduzione degli spazi di finanziamento dell'autoimpresa. Occorre che i centri di autorganizzazione sociale se ne rendano conto, si attrezzino concettualmente e linguisticamente. E anche esistenzialmente, il che non sarà facile.
[...] nel prossimo futuro il lavoro cognitivo diffuso dovrà fare i conti con la restrizione dei suoi margini di agibilità, sia economica che politica.
Bifo, 30 settembre 2002>>
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[WM4 in risposta a un quesito sui prezzi di copertina dei nostri libri:]
<<Il prezzo di copertina di un libro è stabilito dall'azienda che mette a disposizione i capitali per pubblicarlo, non dagli autori. Noi abbiamo sempre (e sempre con successo, per fortuna) cercato di ottenere dalle aziende editoriali con cui abbiamo lavorato un calmiere dei prezzi di copertina che non sforasse le 30.000 lire/15 euro, per volumi che si aggirano tra le 450 e le 750 pagine. Quindi in base al rapporto volume-prezzo, i nostri libri sono tra i più economici in circolazione in questo paese. Noi infatti pubblichiamo per collane "tascabili" o comunque "economiche", ogni volta che ci è possibile.
[...] Quello che cerchiamo di affermare con la dicitura che compare nel colophon dei nostri romanzi è che l'editore produce un oggetto (che noi vogliamo bello, solido, maneggevole, da toccare...), ma che il testo, prodotto da noi, deve rimanere libero da copyright.
In questo modo chi vuole l'oggetto spende i suoi 15 euro (e noi cerchiamo sempre di far sì che l'oggetto li valga, arrivando ad autoprodurci le copertine e a fare battaglie sindacali per formati e font più leggibili), mentre chi non li ha o non li vuole spendere può scaricarsi il testo (non il libro) dalla rete o fotocopiarselo.
In questo modo, da un lato si spinge l'editore a immettere sul mercato un bel prodotto, decente dal punto di vista "materiale"; dall'altro si toglie all'editore stesso il monopolio del testo che stampa, tutelando al contempo la retribuzione delle parti in causa: editore, distributore, libraio, autore. E guarda che non a caso ho messo l'autore per ultimo, perché è la parte che incassa la percentuale minore del prezzo di copertina.
Il sistema fa acqua da molte parti, senza dubbio, ma noi cerchiamo di emendarlo per quanto ci è possibile, salvaguardando al contempo il nostro lavoro.
Perché scrivere è anche un lavoro. E come tale deve essere retribuito.
Dal momento che l'autore non è pagato per scrivere, ma appunto guadagna una percentuale sul venduto, è a tutti gli effetti un socio (di assoluta minoranza, si va dal 5 al 12%) dell'editore nell'impresa-libro.
Per quanto ci riguarda stare con i piedi per terra significa fare i conti con tutto questo, non riempirsi la bocca di belle parole e bei concetti che nella pratica avrebbero le gambe più corte di quelle di un nano rachitico.>>
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<<Ho appena terminato di vedere il video prodotto da Indymedia sulla situazione Argentina; ad un certo momento, nel video, si esorta chi guarda a non bloccare il percorso di quella videocassetta ma a farla circolare. Si indica con un semplice schemino il modo per duplicare il video.
Qualche giorno fa mi sono immerso nella lettura del libro, edito da Fazi, Guerra alla libertà, lettura che mi ha provocato più di uno scossone, non evidentemente perché si sostenga qualcosa di assolutamente inaccettabile, ma perché si tratta di un'analisi che presentando una serie di argomenti molto stringente, meriterebbe un interesse ed una risonanza pubblica di ben ampia portata. Cosa che dubito che avvenga.
Vi chiedo consiglio per un'idea che mi è venuta in mente.
La riflessione nasce dal senso di impotenza che ogni tanto si prova, e dal desiderio di poter fare qualcosa col minor sforzo possibile. Vengo al punto.
Si tratta di mettere insieme il principio della liberazione del libro che sta dietro il sito www.bookcrossing.com e quello del copyleft, facendo in modo che si avvii una sorta di catena di S. Antonio.
Mi spiego. Chiunque abbia interesse a far circolare un libro, lo mette in circolazione o passandolo ad amici, conoscenti ecc. oppure, e sarebbe meglio, lasciandolo in autobus, al bar, in una panchina; insomma, dove si vuole. Però, il libro dovrebbe avere, magari nella seconda di copertina un testo che spieghi il senso dell'iniziativa, ossia il fatto che la comunità presta quel libro a chi ne è venuto in possesso, col solo obbligo, dopo che lo ha letto, di continuare a farlo circolare. Questo sarebbe un po' tra virgolette il copyleft. Cioè non solo non si deve fare sfruttamento commerciale, ma si è obbligati a far si che quell'oggetto resti a disposizione di tutti. Questo testo esplicativo costituirebbe il "manifesto" e contemporaneamente il "logo" dell'iniziativa, sempre presente in ogni esemplare messo in circolazione e affidato alle cure della comunita' che di volta in volta lo passa ad ognuno degli individui che si fanno carico di mantenere in circolazione quel testo. E' chiaro che è un sistema totalmente dipendente dalla responsabilità di ciascuno, e che è molto difficile trovare persone disposte a partecipare all'iniziativa; inoltre è molto difficile che il libro cada sempre nelle mani giuste e che quindi continui a circolare. Ma secondo me è importante che una simile iniziativa parta e si riesca a farla conoscere. Immaginiamo che vi siano diversi aderenti disposti a mettere a disposizione qualche decina di libri. Il discorso non rimarrebbe confinato solo al caso del libro. Si potrebbero mettere in giro video, cassette, cd. Per esempio, io suono in un gruppo che l'anno scorso ha registrato un demo. Non avremmo problemi a lasciare qualche copia del nostro cd in giro, a sostegno dell'iniziativa. Pensavo che se si suggerisse a chi trova l'oggetto multiproprietario di copiarlo, o nel caso di un libro che ritiene utile far circolare il più possibile, di acquistarne un copia da lasciare a sua volta in giro, si potrebbe produrre un sistema di circolazione culturale non ufficiale ma comunque capace di invadere la città. Al limite, il grado di infettività che il sistema raggiunge, potrebbe almeno dare il senso del grado di maturità collettiva che una comunità è riuscita, in un dato periodo, a sviluppare. Io penso che la cosa, paradossalmente, potrebbe interessare molte persone e non è detto che la catena si arresti subito. Anche perché se si fa conoscere in qualche modo l'iniziativa, ci sarebbero piu' "prestiti comunitari".
Chiunque produca qualcosa può lasciarla in giro. Il manifesto-logo che si porta appresso spiegherà sempre che non si tratta di un ritrovamento casuale. Posso lasciare un mio racconto breve. Se a qualcuno piace se lo può fotocopiare.
Oltretutto pensavo che è un'idea suscettibile di diverse contaminazioni.
Se io metto in circolazione un libro come quello di Nafeez Mosaddeq Ahmed sugli attentati alle Twin Towers, e magari aggiungo un mio commento in un foglio che lascio all'interno del libro, chi lo prenderà in seguito avrà probabilmente interesse a leggere le reazioni che quella lettura ha suscitato su un altro anonimo lettore. Sarebbe un po' come con i post di Indymedia (so che pensarci può far rabbrividire ma non è detto che si scrivano solo cazzate!). Un modo oltretutto per vedere che reazioni suscita quel libro. Oppure si potrebbero aggiungere suggerimenti bibliografici su quello stesso argomento. Ovviamente io sono partito prendendo come esempio principalmente un testo di controinformazione perché è la lettura di un simile testo che mi ha suggerito l'idea ma è chiaro che il discorso si può estendere di molto. Penso che sarebbe un po' come rendere internet un po' più materiale. E si metterebbero in gioco un'infinità di soggetti. Il sito internet entrerebbe tranquillamente in gioco dato che chi vuole può lasciare indicato dove ha lasciato il suo libro.
Mi direte, si ma perché lo scrivi a noi? In primo luogo per avere un parere. Pensate che possa funzionare? Pensate che possa essere una buona idea? Forse l'idea è banale, non so. Comunque mi farebbe piacere avere una risposta. Vi ringrazio in anticipo. Continuate così.
Andrea, 1 ottobre 2002>>
[WM2:]
L'idea che proponi è senz'altro interessante, e può avere infiniti sviluppi. Va detto che il sito di bookcrossing, di cui abbiamo parlato nell'ultimo Giap, funziona già nel modo che descrivi: chi decide di 'liberare' un libro è pregato di registrarsi, indicare il luogo dove lo lascerà, aggiungere due righe di recensione, e apporre all'interno del volume un avviso, che si stampa scaricandolo dal sito stesso, in cui viene spiegata l'iniziativa e l'importanza di continuare a liberare il libro, dopo averlo letto.
Non so se ci sia anche la settima maledizione di Budadda per chi non prosegue il gioco (Un elemento del genere, almeno in Italia, andrebbe inserito... Qualcosa come: "Non leggerai più niente di decente nella tua vita e qualsiasi libro toccherai, si trasformerà automaticamente in un romanzo di De Carlo).
Rispetto alle autoproduzioni, sarebbe bello invitare l'anonimo fruitore a spedire un commento all'indirizzo tal dei tali, nonché ad accluderlo al plico di fotocopie, o al demotape, o al video amatoriale, una volta che lo rimetterà in circolazione.
O ancora: chi trova un oggetto "liberato" puo' decidere di tenerselo senza incorrere in maledizioni, nel caso in cui, nello stesso posto, rilasci qualcos'altro che gli sta a cuore. Questo trasformerebbe un certo luogo in un punto fisso di affioramento di buoni libri, CD e quant'altro.
In ogni caso, credo che il gioco possa funzionare bene soprattutto per i libri. E' vero che Internet non è ancora diffusa in maniera capillare, ma la musica si scambia già troppo bene grazie al p2p, perché un metodo più 'fisico' possa diffondersi davvero, al di là del fascino indubitabile di tramutare la panchina di un parco in un luogo culturalmente più interessante.
Stiamo a vedere cosa succede.
[N.B. E' doveroso ricordare che la pratica del "bookcrossing" (o "passalibro") si sta diffondendo capillarmente in Italia anche e soprattutto grazie alla promozione che ne fa ogni giorno Fahrenheit, trasmissione pomeridiana di Radio 3.]
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Iscritti a /Giap/ in data 10/10/2002: 2950
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