Giap #19, VIIIa serie - Termovalorizziamoci - 16 gennaio 2008 EDITORIALE 0. Termovalorizziamoci, ovvero: gli eufemismi uccidono LA MEMORIA 1. Bàofù per i morti di Monte Sole [WM1] IL FUTURO 2. Ancora dalla parte delle bambine, di Loredana Lipperini IL PRESENTE 3. Intervista al Corriere della Sera, edizione bolognese 4. Uscite all'estero, tour internazionale MANITUANA 6. Manituana Haiku: Wu Ming intervista il poeta Rossano Astremo 7. Calendario presentazioni di febbraio e marzo RAZZISMI 8. Riprendiamo un discorso: luoghi comuni su Rom e Sinti 9. Razzismo e doppiopesismo dei cronisti: due articoli a confronto VARIE 10. Di nuovo on line lutherblissett.net 11. Lo snodo della rete. Un pdf su copyleft etc., con intervista a noialtri |
![]() "Il vocabolario B consisteva di parole create deliberatamente per scopi politici, vale a dire parole che non solo avevano sempre un significato politico, ma erano precisamente intese a imporre un atteggiamento mentale, in una direzione desiderata, nella persona che ne faceva uso […] Le parole B erano sempre parole composte. Consistevano in due o più parole, ovvero porzioni di parole, combinate assieme in una forma che fosse di semplice pronuncia. L’amalgama che ne risultava era sempre un sostantivo+verbo, e si coniugava secondo le regole ordinarie […] Nessuna parola del vocabolario B era ideologicamente neutra. Gran parte erano eufemismi. Parole, ad esempio, come svagocampo (campo per i lavori forzati) o Minipax (Ministero della Pace, e cioè Ministero della Guerra) significavano quasi puntualmente l’opposto di quel che sembravano in un primo momento." - "I principi della neolingua", Appendice a 1984 di George Orwell Gli eufemismi ammazzano la gente, ammazzano tua madre, annientano tuo figlio, divorano adulti e bambini. Gli eufemismi raschiano l'interno di esofago e polmoni. Gli eufemismi sono cancro, buttano metastasi come ragnatele, catturano le parole, strangolano l'intelligenza finché non ti fanno morire. Letteralmente, morire. Endlösung, "soluzione finale", fu il capolavoro tra gli eufemismi. Col tempo ha perso l'intonaco di pudicizia e ipocrisia, e si è fuso alla realtà abietta che intendeva mascherare. Gli eufemismi funzionano sul breve-medio periodo, poi cessano di essere tali. A distanza di pochi anni, nessuno usa più l'espressione "guerra umanitaria", nessuno vanta più "bombardamenti chirurgici" a colpi di "bombe intelligenti", anche "danni collaterali" è caduto in disuso. Quelle espressioni hanno ormai l'accezione negativa che erano nate per evitare. "Termovalorizzatore" al posto di "inceneritore". Coniando il nuovo termine, si è spostato l'accento da quello che certamente rimane (residuo tossico: 1/5 di scorie, senza contare i fumi prodotti dalla combustione) a quello che presuntamente si produce (un valore, energia, vantaggio economico). Chi dice "No al termovalorizzatore!" ha già perso, perché ha accettato l'eufemismo, il frame. Discute sul terreno dell'avversario, e in apparenza si oppone a un valore, a qualcosa di "buono". "I termovalorizzatori sono la soluzione": lo ripetono, lo cantano in coro, martellano, rintronano, tutti d'accordo erigono la grande muraglia del conformismo sul tema dei rifiuti. Tutte concordi, le voci ufficiali. Chissà perché, al dunque, le popolazioni non ascoltano, non obbediscono. Inceneritori. Processo fondato su un principio obsoleto, di quando c'erano i miniassegni e Bill Gates era povero. Tecnologia vecchia come i neuroni di questa nazione, vecchia ma col muso impiastricciato di cerone, come i grugni della casta e dell'orribile classe intellettuale italiana. Tecnologia vecchia fa buon brodo. E allergie, malattie respiratorie, tumori. Costi sociali. Spese sanitarie che schizzano alle stelle. Macchina energivora, ruota del karma di circoli viziosi, che deve funzionare sempre, senza sosta, ed esistendo incentiva a produrre rifiuti. La spazzatura diviene il mezzo, l'inceneritore il fine. Esistono alternative. Concrete. Praticabili. Praticate (altrove). Pochi ne parlano [*]. Nemmeno queste, tuttavia, sono la endlösung del problema-pattume. La "soluzione finale" sarebbe, semplicemente, produrre meno rifiuti. Produrre meno stronzate usa-e-getta. Produrre meno, usare di più. Lo abbiamo già scritto: ![]() Il problema siamo noi, non i rifiuti. Il problema siamo noi, non la camorra. O meglio: la camorra siamo noi. I discorsi sulle ecomafie sono veri e necessari, ma possono trasformarsi in diversivo. Tutti noi siamo "ecomafiosi", chi più chi meno. E' il nostro stile di vita a essere "ecomafioso", è il consumo fine a se stesso ad essere ecomafiogeno. Non c'è camorra che possa smaltire o sversare illegalmente rifiuti che non vengono prodotti, ma noi li produciamo, li produciamo eccome, e sempre di più. In Italia, +20% di rifiuti urbani per abitante dal 2003 al 2005. E così ci ritroviamo con più packaging e pacchetti, ci ritroviamo con più sacchetti, con più imballaggio, più scatolame e barattolame e bidoname e fustiname, più flaconeria, sifoneria, tubetteria, più gadget insensati, più telefonini, videofonini, tivù-fonini da cambiare ogni sei mesi, più instant-libri di comici che invecchiano dopo un mese e non facevano ridere nemmeno da attuali, più kleenex tovagliolini salviettine fazzolettini (usa il fazzoletto di cotone, porcozzìo!), più buchette della posta intasate da decine di dépliants giganteschi di ipermercati, più bottiglie e bottiglioni d'acqua minerale anche dove l'acquedotto fa i miracoli e i rubinetti colano oro, "Sì, ma quella che compro è iposodica!", già, e mezz'ora dopo bevi il ghètoreid, o l'ènergheid, o il pàuereid, perché sei un mèntecheit! Tutto torna, quel che semini raccogli. Consuma, sperpera, spreca, logora, getta via. La tua merda polimerica brucerà (o meglio: sarà "termovalorizzata"), i tuoi cari (o i cari di qualcuno) inaleranno, metastasi, metastasi, metastasi, tumore. Termovalorizziamoci, giochiamo con le parole, questa è la strada, la via del futuro che abbiamo alle spalle. Oppure c'è un altro modo: termovalorizzare chi ci governa, ci ipnotizza, ci sfrutta, ci compra e ci rivende, ci consuma. ALCUNI LINK (TRA I TANTI POSSIBILI) ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
![]() A proposito di un documentario su stragi naziste e "armadio della vergogna" L'uomo è alto e magro, sugli ottanta ben portati, schiena per nulla curvata dal tempo. Ha addosso una giacca grigia, da vecchia merceria di paese, ed entra nell'aula di tribunale veloce ma non spavaldo, come chi vuole tener breve un momento di disagio. Passa davanti al pubblico, molte persone le conosce, saluta con gesto lieve e sbrigativo, il cenno tradisce imbarazzo. Il giudice e il PM lo salutano e chiamano per cognome, l'uomo siede con movenza rigida sulla seggiola dei testimoni d'accusa. Gli portano il testo del giuramento, ma non lo legge di persona: il PM pronuncia una frase, lui la ripete e così via, formula dopo formula. La regia è discreta, non calca la mano sul motivo di tale procedura, lo suggerisce appena. Nel frattempo, un montaggio ellittico propone lampi incongrui, micro-sequenze, manciate di fotogrammi: seduto sulla stessa seggiola, vestito allo stesso modo, l'uomo piange, si dispera, si china in avanti con le mani sul volto. Qualcuno lo abbraccia e conforta, una mano gli asciuga gli occhi con un fazzoletto. Lo spettatore comprende: questo è l'imminente, quel che è dietro l'angolo. E' questione di pochi minuti. Il giuramento finisce, il teste inizia a deporre. Lo ascoltiamo e sappiamo già che i ricordi, i racconti, le immagini lo piegheranno e ogni frase, ogni impaccio, ogni timidezza ci avvicina a quel momento. Quando lo raggiungeremo, avremo gli occhi umidi. Quando, terminato il calvario, l'uomo chiederà scusa al giudice per la "brutta figura", avremo il cuore a brandelli. Questa figura retorica si chiama "prolessi", e raramente l'ho vista usata con tale efficacia. Non si tratta di fredda manipolazione di stilemi, né di virtuosismo da cinefilo: il fine è l'empatia, la partecipazione al dolore e al riscatto di un'intera comunità. E' una delle scene più forti e impattanti del documentario Lo stato di eccezione. Processo per Monte Sole 62 anni dopo, scritto da Germano Maccioni e Loris Lepri, diretto da Germano Maccioni. Novanta minuti dedicati al processo - svoltosi a La Spezia per tutto il 2006 - contro diciassette ex-ufficiali e soldati nazisti, tutti contumaci, imputati per le stragi dell'autunno 1944 nella zona di Monte Sole, sull'Appennino emiliano. Il più famoso di quegli eccidi è quello di Marzabotto, ma fu l'intero circondario, decine di paesini, a subire la cupio dissolvi degli uomini di Walter Reder. Il processo, che si è concluso nel gennaio 2007 con sette assoluzioni e dieci condanne, è finora il più grosso tra quelli istruiti dopo la scoperta del celebre "Armadio della vergogna", a Roma, nella sede della Procura Generale Militare. Dentro quell'armadio, lasciato per trent'anni con le ante rivolte alla parete, erano sepolti quasi settecento fascicoli sulle stragi nazifasciste, tutti recanti la bizzarra dicitura di "archiviazione provvisoria". Non avremo mai la completa verità su quali poteri siano intervenuti per evitare che fossero puniti gli sterminatori e i loro complici diretti. Di certo, l'episodio dice molto sulle "continuità" negli apparati statali e amministrativi tra regime fascista e repubblica democratica, e sulla mancata epurazione di tali apparati. Dovrebbe essere questa la materia di riflessione, per capire nel lungo termine una delle correnti sotterranee che alimentano lo sfacelo (l'Italia come "vecchio e glorioso albero soffocato dall'edera" etc.), e invece in questi anni vigliacchi è venuto più comodo gettare terriccio negli occhi e parlare del sangue dei (presunti) "vinti". Ai temi della Resistenza e dell'antifascismo Maccioni aveva già dedicato ![]() Ho la fortuna di partecipare a una proiezione semi-pubblica, alla cineteca comunale di Bologna. In sala, intorno a me, le stesse persone che appaiono sullo schermo: avvocati di parte civile, cameramen, testimoni... Tutta l'Associazione dei familiari delle vittime di Marzabotto, Monzuno e Grizzana. Sento quelle persone rivivere le sedute del processo. Immagino i più anziani stupirsi (ma senza contrariarsi) per le scelte di montaggio più "audaci", la narrazione non lineare, le divagazioni e i flashback. Ascolto, durante e dopo la proiezione, le stesse voci con cadenze bolognesi di montagna. Assorbo i racconti di famiglie sbranate all'improvviso, vite annichilite senza il tempo di capire, di rendersi conto, e le storie di bambini, bambini trucidati (anche neonati), bambini che scappano nel bosco, si nascondono nelle grotte, si fingono morti sotto i cadaveri di genitori e parenti. Più di sessant'anni dopo, quei bambini sono accanto a me, seduti al buio, sotto il fascio di luce che porta immagini sul telo bianco. Mi lascio percuotere dai dettagli, che sono tanti: un agnellino sgozzato dai tedeschi, compagno di sventura degli umani. E' un bimbo anche lui, la sua morte non è meno insensata delle altre. Uno dei nazisti contumaci ha mandato un video. E' coricato a letto, e non sembra in buona salute. E' lo stesso che in un'intervista definì "loschi bacilli" le vittime di Monte Sole. Ricorrono due parole tedesche, quelle che il nostro popolo conobbe insieme al terrore: "raus" e "kaputt". Sprazzi di immagini dei luoghi evocati, è tutto ancora lì, i fossi, le grotte, le spianate, le rovine. Carrellata sugli avvocati difensori: il loro imbarazzo è vistoso, denso e umido, è nebbia illuminata da un faro, eppure è anche merito loro se il processo si è potuto tenere, e uno di essi lo fa notare in maniera molto articolata. Il tribunale un tempo era un cinema, e in qualche sottosolaio o sgabuzzino sopravvivono "pizze" rovinate di vecchi film. L'SS-Sturmbannführer Walter Reder, durante il processo che lo vide imputato nel 1951, usò una metafora per descrivere un buco di memoria: "mi si è staccata la pellicola". Poco dopo aver visto Lo stato di eccezione, leggo Le benevole di Jonathan Littell ( ![]() "La vendetta è il racconto", si è detto a proposito di fatti come questi (es. la strage delle Ardeatine ![]() Apparso su "L'Unità" del 23 dicembre 2007 Per contatti, proiezioni ecc.: germanomaccioni@gmail.com * Dopo l'uscita del pezzo mi sono reso conto che la questione è più complessa: l' ideogramma di bào è l'antica stilizzazione di due immagini: a sinistra c'è un criminale che attende in piedi, a destra la mano che impugna il sigillo dell'autorità. E' un verdetto, una punizione. Questo ideogramma nel tempo ha assunto il significato di "raccontare". Forse perché una sentenza, una condanna, deve servire da esempio, da monito, e quindi far parlare di sé. Avviare racconto. |
![]() Audio della presentazione alla libreria Modo Infoshop, Bologna, 6 dicembre 2007 Introduce e interviene Wu Ming 1 [L'audioteca di wumingfoundation.com conta oggi una nuova pagina, dedicata all'ultimo libro di Loredana Lipperini (nella foto è con Elena Gianini Belotti). ADPDB è un'inchiesta che tutti i genitori presenti e futuri dovrebbero leggere, perché riporta l'attenzione su cose che ci erano sfuggite, perché illumina trasformazioni recentissime nel mondo dei consumi infantili, perché ci invita alla vigilanza in modo non paranoico, perché inizia a colmare un buco di riflessione. Abbiamo registrato la serata bolognese del 6 dicembre scorso, e mettiamo a disposizione l'mp3. Riportiamo qui la premessa scritta e il link. Buon download, buona lettura, good night and good luck.] Questo libro ci mette in guardia, segnala che rischiamo di trovarci "back to zero", a controrivoluzione pienamente compiuta, con tutta la merda che riparte daccapo. L'ondata reazionaria che sommerge il Paese fa vivere un lungo "mercoledì da leoni" ai surfisti delle controriforme, guardateli, vedete come si pavoneggiano, tracotanti, burbanzosi? Guardate il papa teutonico, come sogghigna. Guardate il talebano de noantri, il panzone che blatera di Dio. Sentite che giaculatorie, che anatemi: si riaprano i manicomi! Moratoria sull'aborto! Primato della "famiglia naturale"! Vogliono regolare i conti una volte per tutte con gli anni '70, stagione di streghe e terroristi, di dita che mimavano pistole e vagine. Tutto ciò non è in contrasto con l'iperconsumismo demente e bulimico: se c'è una "libertà" che la Reazione non contesta (anzi, la incoraggia!) è quella di vendere alle bambine i vecchi stereotipi, modelli, stili di vita da ricalcare. Stringi stringi, i ruoli che si vendono son sempre quelli: la maiala e la santa. La fimmina piccante e quella cucinera. Le due polarità, i due pascoli verso cui far transumare il gregge delle "donne che sanno stare al loro posto", magari con l'aiuto del cane pastore (tedesco). Eppure il bisogno di non conformarsi è endemico, e la realtà non è mai del tutto reversibile, non è come la gabbana double-face degli atei devoti. Esistono spazi/tempi dove si coltiva il gusto della libertà e i clichés vengono aggrediti, scossi, gioiosamente trasformati. Anche di questo ci ha parlato Loredana Lipperini alla Modo Infoshop. ![]() |
![]() [Pubblichiamo qui la versione integrale di un'intervista apparsa sabato 12 gennaio sulle pagine bolognesi del Corsera, a firma Vittoria Filippi Gabardi. Per esigenze redazionali, sul giornale domande e risposte sono state condensate. Quest'intervista funziona bene come multi-annuncio e riassunto delle prossime uscite editoriali.] Nuovo anno impegnativo, per Wu MIng, il collettivo letterario bolognese celebrato da critica e pubblico fin dai tempi di Q (Einaudi, 1999), best seller firmato col precedente pseudonimo Luther Blissett. E nel bel mezzo dell' "emergenza rifiuti", a marzo il gruppo esce con Previsioni del tempo, una storia di eco-mafia all'interno della collana "Verdenero" di Edizioni ambiente. "Sul pezzo" più che mai, uscite in libreria con ![]() Smaltimento illegale di rifiuti, camion che percorrono la penisola, losche alleanze, paranoie. E ci sono personaggi ripresi da Guerra agli Umani. Non c'era bisogno di prevedere: vedere è stato più che sufficiente. Qui da noi l'emergenza-rifiuti - al pari di tutte le emergenze - è continua, non ha pause perché è sistemica, e su questo non siamo indietro, anzi: siamo all'avanguardia, indichiamo il futuro prossimo, facciamo da pessimo esempio e campana d'allarme. Nel mondo i rifiuti sono e saranno sempre più il problema, la montagna cresce velocissima e ci crollerà in testa. Dove va a finire il telefonino che non usi più perchè Steve Jobs ne ha inventato uno più fico? Dov'è finito l'iPod che non ti piaceva più perché si era graffiato lo schermo? Ma va bene così, ci dicono: i consumi, il PIL, la crescita... Intanto in molte città si fa una raccolta differenziata finta, di facciata, o comunque insufficiente. Cittadini, pedinate i camion della nettezza urbana, controllate se il pattume viene davvero raccolto come vi dicono... Su Giap, la vostra newsletter telematica, si riferiva del viaggio che avete fatto in Canada e stiamo iniziando a capire ora che non era solo di piacere... Sotto c'è qualcosa di grosso, c'è di mezzo la Rizzoli, un diario, un'altra novità per questo 2008. Di che cosa si tratta? Wu Ming 3 e Wu Ming 5 sono andati in pellegrinaggio nei luoghi dove finisce il nostro romanzo Manituana, cioè in Canada. Sono andati a... Manituana, per l'appunto, che è il nome irochese delle Mille Isole, un arcipelago tra lago Ontario e fiume San Lorenzo. Sono stati a Kingston, sulla tomba di Molly Brant. Sono stati a Brantford, sulla tomba di capo Joseph Brant. Hanno tenuto due conferenze alla McGill University di Montreal e si sono spinti fino a Vancouver, dove hanno incontrato una delegazione di indiani che si stanno mobilitando contro le olimpiadi invernali del 2010. Tutto questo lo raccontano nei loro appunti di viaggio, che usciranno per Rizzoli in primavera. Una sorta di appendice contemporanea a Manituana, ma leggibile anche senza il romanzo. E presto riattraverseremo l'Atlantico: stavolta sarà Wu Ming 1 a fare un giro da quelle parti, tenendo conferenze in Canada e nel nord degli Stati Uniti. Tra tutte queste fatiche collettive, Wu Ming 5 torna a scrivere musica dopo anni (quanti?) di distacco. Con il computer. Un ritorno alle origini, alle precedenti vite di bassista e chitarrista punk, dj e conduttore radiofonico, tra soul, freakbeat, hip hop, reggae, boogaloo e jazz ? E dove possiamo ascoltarti? In apparenza sì, è un ritorno alle origini, ma in sostanza è un'altra cosa, più specifica. Mi sono unito ai tanti musicisti, compositori e manipolatori di suoni (dai Subsonica ai Modena City Ramblers, passando per il batterista jazz Francesco Cusa e tanti altri) che vanno componendo la colonna sonora di Manituana, un tributo al nostro romanzo e alle vite che ci sono dentro. Ho composto due pezzi, due brani strumentali che si sposano ad altrettanti capitoli dell'ambientazione londinese. Per ascoltarli basta visitare ![]() Per questa primavera è inoltre atteso il romanzo solista di Wu Ming 4 per Einaudi. Qualsiasi sorta di anticipazione è più che gradita. Sempre Giap suggerisce che c'entri qualcosa Tolkien... Il romanzo si intitola ![]() ![]() ![]() ![]() Novità dal fronte Thom Yorke, il leader dei Radiohead che ha dichiarato di voler fare un film su Q? Thom Yorke si è intrippato con Q e lo nomina sempre, imperterrito. Di recente, la mega-libreria on line Borders ha chiesto ai Radiohead ![]() A dire il vero, non ci avevo pensato. Te ne siamo riconoscenti. |
![]() Insomma, sì, sarà un anno bello intenso. Dell'Italia sapete già, ma facciamo anche un rapido riassunto di quel che accadrà a livello internazionale. Manituana sarà pubblicato in francese e spagnolo. New Thing di Wu Ming 1 uscirà in spagnolo e portoghese del Brasile. A supporto di queste uscite o in autonomia da esse, parteciperemo a diversi eventi in vari paesi. Non poch* iscritt* a Giap vivono fuori dall'Italia, e di solito non hanno la possibilità di seguirci nel nostro grand tour di presentazioni, quindi ci sembra utile indicare dove saremo e quando, ché magari s'organizzano. SPAGNA. Ultima settimana di marzo, una nostra delegazione sarà a Siviglia, e terrà una conferenza al festival ![]() CANADA & USA. Nel frattempo, sempre ultimi giorni di marzo - primi di aprile, Wu Ming 1 sarà alla McGill University di Montréal (27-29 marzo), poi al Middlebury College, Vermont (31 marzo). E forse, udite udite... forse... al MIT, Boston. Dettagli a seguire. FRANCIA E BELGIO. Poche settimane dopo (21-24 aprile), Wu Ming 1 e Wu Ming 2 faranno un mini-tour di Francia e Belgio (Parigi, Lille e Liegi), dove New Thing e Guerra agli Umani stanno avendo un riscontro molto, molto positivo. Un po' di recensioni (non tradotte) ![]() SPAGNA (di nuovo). A giugno, Wu Ming 1 farà un mini-tour della Spagna in occasione dell'uscita di New Thing. Probabili tappe: Madrid, Siviglia, Barcellona. Dettagli a seguire. |
![]() A proposito di una riscrittura di Manituana in forma di poema, un haiku per ogni capitolo ![]() Tra i buoni propositi del 2008 ci sarà quello di portare a compimento un lavoro iniziato un po' di mesi fa, una sorta di riscrittura in versi di Manituana di Wu Ming. Dedicare ad ogni capitolo del libro un haiku. Racchiudere l'epicità di una storia corale nel breve respiro di un componimento poetico. Qui ve ne offro un'anticipazione, chiarendo che nella scelta dell'haiku e nel non rispetto della scansione sillabica che lo caratterizza faccio mie le parole di Jack Kerouac: "Un Haiku occidentale non ha da badare alle diciassette sillabe dal momento che le lingue occidentali non possono adattarsi al fluido sillabico giapponese. Suggerisco che l'Haiku occidentale si limiti a dire molte cose in tre brevi versi in qualsiasi lingua dell'Occidente".A scopo illustrativo, Astremo ha pubblicato i primi 13 haiku, relativi al prologo e alla prima parte del romanzo. Per fare un esempio, al capitolo 34 corrispondono questi versi: Nella traiettoria di arcobaleni opachiIntrigati da questo progetto, abbiamo deciso di intervistare il collega. Di seguito, il nostro scambio via e-mail. WM. Senz'altro inconsueto: gli autori di un'opera "principale" intervistano l'autore di un'opera "derivata". È un po' come se - ovviamente fatte salve le proporzioni e le innumerevoli differenze - J. R. R. Tolkien intervistasse gli autori del videogame ![]() RA. L'idea è nata subito dopo aver terminato la lettura del romanzo. Nel taccuino sul quale ho iniziato ad "appuntare" gli haiku c’è una data, 3 maggio, che indica l'inizio di questa mia personale riscrittura di Manituana. Perché la poesia? Penso che il lavoro linguistico da voi compiuto nella realizzazione del romanzo sia stato davvero minuzioso e complesso. Mi azzardo a dire che rispetto agli altri due romanzi collettivi, Q e 54, la "questione della lingua" sia stato affare sul quale a lungo avete discusso. All'interno di questo marchingegno linguistico che ha donato forma e sostanza alle vicende che vedono protagonisti le Sei Nazioni Irochesi ho trovato davvero interessante la capacità di rappresentazione di quella che qualche recensore ha definito “la geografia dell’interiorità e dei comportamenti umani”. Pur essendo un romanzo con una forte connotazione epica, con un grande impianto corale, a lettura terminata a me venivano in mente quelle zone narrative in cui i singoli personaggi si trovavano immersi nella loro solitudine, in un corpo a corpo con gli spettri danzanti che le insidie della vita aiutano a creare. Su tutti potrei dire Philip Lecroix e Joseph Brant, naturalmente, ma mai come in questo libro le donne, da Molly a Esther, sono state analizzate così in profondità. In questi frame il linguaggio di Manituana si fa meno denotativo e più connotativo, stringatamente lirico e sospeso. Da qui l'idea, se vogliamo giocosa, di rileggere il libro estremizzando questa componente latente, ma comunque fortemente presente ai miei occhi. Ho detto giocosa, però nel contempo, tramite questa scelta compio anche un atto critico, interpretativo. Dare risalto ad alcuni elementi del testo rispetto ad altri. Considerate questo corpus di haiku come la mia personale recensione al testo. Perché l'haiku, quindi? In primis per darmi una forma chiusa che mi limitasse. Altrimenti, quasi certamente, mi sarei disperso. Cosa che è accaduta comunque, ma per altre ragioni. Poi, pur non rispettando la scansione sillabica tipica dell'haiku giapponese, c’è una frase di Jack Kerouac che mi ha molto colpito sulla questione: "Un haiku deve essere semplice e libero da tutti i trucchi poetici e creare una piccola immagine e tuttavia essere aereo e aggraziato come una Pastorella di Vivaldi". Bella no? WM. Bellissima. Rimanendo sulla questione del poetico, è provato che il cervello umano "risponde bene" alle strutture triadiche e ternarie. I motti e gli slogan più efficaci sono composti da tre elementi: veni - vidi - vici, produci - consuma - crepa, credere - obbedire - combattere, Ein Volk - ein Reich - ein Fuhrer etc. Le più memorabili disposizioni di personaggi sono terzetti e triumvirati: Padre - Figlio - Spirito Santo, Cesare - Pompeo - Crasso, Il Buono - il Brutto - il Cattivo, Emerson - Lake - Palmer, Qui - Quo - Qua etc. Ragionando, ricorriamo a sillogismi (premessa maggiore - premessa minore - conclusione) o a schemi come tesi - antitesi - sintesi. In poesia, la terzina è la base metrica di composizioni immortali, su tutte la Divina Commedia. E potremmo andare avanti ancora a lungo. Anche l'haiku è composto di tre versi. Da poeta, quale funzione attribuisci, in genere, a ciascuno dei tre? RA. Sì, è vero, si potrebbe continuare all'infinito con questa presenza massiccia nel nostro immaginario del numero tre, declinato secondo le più diverse funzioni. Il mondo dell'arte è pieno di numeri tre: Matrix, Matrix Reloaded e Matrix Revolutions; Il Padrino, Il Padrino parte II, Il Padrino parte III; le trilogie di Eschilo; il trittico di Giacomo Puccini,composto dai tre atti unici Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi. Anche Il buono, il brutto e il cattivo fa parte della trilogia del dollaro di Sergio Leone. E come dimenticare la trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski? Smettendola di cazzeggiare e tornando alla domanda, come già detto in precedenza la scelta dell'haiku è stata dettata da una voglia di avere delle "restrizioni spaziali" ben precise. Detto questo, come potete notare dai testi ![]() WM. Secondo te il poema che stai scrivendo mantiene una sua autonomia dal romanzo di cui segue la capitolazione? Se uno leggesse gli haiku prima di aver letto il romanzo stesso, che idea potrebbe farsi di quest'ultimo? RA. Colgo l'occasione per dire che mi piacerebbe terminare questo poema in haiku entro il 20 marzo del 2008, ad un anno esatto dall'uscita di Manituana. Avere una scadenza mi aiuterà a completarlo. Non nego di aver avuto dei ripensamenti al riguardo, soprattutto quando poi sono giunto in una zona linguisticamente folle che è quella che vede la comparsa a Londra dei Mohock. Come rendere quei capitoli? Mimare il loro slang o cercare di mantenere una sorta di omogeneità per tutto il lavoro? Alla fine ho optato per la seconda scelta e sono a buon punto, oramai. Detto questo, penso che ogni opera derivata sia più brutta dell’originale. In assoluto. Ogni film tratto da un romanzo ai miei occhi risulta sciatto e scadente. Quindi, chi leggerà il poema in haiku dopo aver letto Manituana troverà questa operazione inutile. Almeno nella maggior parte dei casi. Se, invece, uno leggesse gli haiku prima del romanzo, penso che potrebbe farsi suggestionare dall'immaginario che la poesia mette in moto. Non credo che potrebbe ricostruire i fatti, ma penso che potrebbe affezionarsi all'immagine solitaria e pensierosa di Lacroix o alla bellezza esangue di Esther, ad esempio. Nel senso che più volte i personaggi appaiono nelle composizioni, ma non sono portatori di azione, ma di sensazioni. Questo è un aspetto che mi incuriosisce, in verità. Capire se un’operazione derivata del genere può spingere, magari, un lettore di poesia e non di romanzi ad avvicinarsi a Manituana. Non ci resta che aspettare. Nato nel 1979, è di Grottaglie (Ta). È giornalista pubblicista. Scrive per "Il Nuovo Quotidiano di Puglia". È il curatore del periodico di scrittura e critica letteraria "Vertigine". Collabora con l'Università degli Studi di Lecce al progetto "Il lettore di libri nella regione Puglia". |
![]() E' on line su manituana.com ![]() Località toccate dal tour: Bergamo, Brescia, Crema, Ferrara, Massa, Mogliano Veneto, Padova, Parma. Ricordiamo che le date di gennaio ![]() |
![]() di Alberto Prunetti ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() Foto di Mrs. Gina, bimbe rom al campo nomadi della Magliana, Roma. Sgomberato nel luglio 2007. |
![]() ![]() Tre persone, padre, madre e la loro figlia di 10 anni sono morte in un incidente stradale accaduto a Grumello del Monte (Bergamo). La loro auto, una Fiat Punto, è stata investita da un suv Grande Cherokee guidato da un conducente ubriaco. A bordo della Fiat Punto c'era anche l'altra figlia della coppia, di 11 anni, che è ricoverata in ospedale in gravi condizioni.
Notare l'inversione del soggetto e l'uso strategico delle formulazioni passive. Se il conducente ubriaco è un italiano "vero" (come rivela poi l'articolo), non è lui a uccidere, sono gli altri a morire perché la loro auto "è investita" da un'altra "guidata da" un conducente ubriaco. Una formula più indiretta no? Se invece l'investitore ubriaco è italiano di etnia rom, è lui che "falcia" cinque ragazzi. |
![]() Dopo settimane di buco per via di un problema di server, ![]() ![]() ![]() Sul sito di Libera Cultura / Stampa Alternativa è disponibile in pdf ![]()
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