Giap #16/18, numero triplo, VIIIa serie - A chi finisce nel tritacarne - 26 novembre 2007
UN CERTAIN REGARD A BRUNO VESPA Sono francese e titolare di due lauree: una in lingua, letteratura e storia italiane, l'altra in linguistica, analisi del discorso in francese. Sono vissuta due anni in Italia e rimango molto legata a questo paese (ah, l'amore), perciò m'interesso un po' a cosa vi succede (e poi, anche se non volessi, del casino che sta succedendo in Italia con i Rumeni. Ne parlano perfino i notiziari in Francia). Dopo l'ultima laurea, sono rimasta un bel po' a pensare a cosa avrei fatto in seguito. Ero molto combattuta tra due soggetti di tesi di dottorato. In un primo tempo volevo studiare il discorso mediatico della tv italiana e la sua influenza su quelli che la guardano (dato che in media, un italiano sta davanti al televisore acceso più di 3 ore al giorno), ma poi mi sono ricreduta: sarei diventata davvero scema a spararmi tante cazzate per tre anni. Così ho deciso di fare la tesi sui Wu Ming. Ebbene comincio ora il lavoro e mi rendo conto che i due soggetti sono comunque legati. Ieri leggendo Giap, mi sono tornati in mente i cinque minuti di Porta a porta del 31 ottobre, visti per caso di sfuggita a Genova, quando toglievamo il dvd che stavamo guardando. La scritta grande alle spalle di Bruno Vespa [nella foto, all'età di un anno*] era "RUMENO ASSASSINO ". Siccome da qualche anno ormai sento crescere il fetore di propaganda razzista (nei titoletti che passano nella parte bassa dello schermo durante il telegiornale si precisa sempre la nazionalità di che ha commesso cosa), quando ho visto la scritta "Rumeno assassino" mi sono fermata un attimo a guardare cosa seguiva. Questo seguito lo troverete trascritto qui sotto (e mi è costato 3 ore di Vespa in loop: ci vuole coraggio!), ma la cosa più semplice, forse, è andare a guardare direttamente l'estratto in questione. Vi sconsiglio fortemente di guardare tutta la trasmissione. Tanto, se volete seguire la mia analisi, basta guardare dal sesto al tredicesimo minuto. Basta e avanza. [ Clicca qui per scaricare l'analisi della trasmissione] Amiral Junior , 12 novembre 2007 *La foto di Vespa da piccolo è tratta dal sito ufficiale brunovespa.net. SORELLA ROMANIA Tra 20 giorni mi laureo in scienze politiche, indirizzo internazionale, ma con una tesi in procedura penale che ha ben poco in comune con il percorso scelto. Ciò perchè dopo aver fatto l'esame con il prof. Francesco Tritto non puoi non innamorarti della materia (ahimè, come ben sapete non ci sarà lui a presentarmi, sorte beffarda. E comunque sono fiera del mio relatore, hai visto mai che vi viene in mente di pubblicare la mail!). Ho sempre avuto il desiderio irrefrenabile di girare il mondo, conoscere gente, interagire. Quando ho deciso di fare domanda Erasmus per la Romania la gente (tutti!) mi guardava allucinata, limitandosi a chiedere "perché" senza lasciarsi poi convincere dalle mie spiegazioni. Ero curiosa, curiosa da morire di andare nel Paese natale di alcune tra le mie più care amiche, venute a Roma per studio e capaci di lavorare 14 ore al giorno (quattordici) per mantenersi, mandare soldi a mamma papà fratelli nonni zii e non lamentarsi mai. Non volevo più tornare. Ho girato per sei mesi in lungo e in largo la capitale, i paesi, i mille e mille villaggi, ho imparato la loro lingua a furia di chiacchierare, prima in inglese, via via inserendoci spudoratamente parole in romeno, con tassisti di ogni genere, passanti, negozianti, bambini che sbucano dalle fogne e vecchi senza denti seduti ad una panchina nonostante i 15 gradi sotto lo zero. Ognuno di loro parla correntemente inglese, francese e spagnolo, oltre ovviamente all'italiano. La televisione a costo zero permette l'accesso ai principali canali stranieri. Ognuno di loro mi ripeteva sorridendo: noi siamo fratelli di sangue, e aggiungeva scherzando che in Italia lo straniero è "morto", data la nostra totale ignoranza dell'inglese (chiaro, non ci piacciono le generalizzazioni ma non si può negare l'evidenza, se non erro le eccezioni confermano la regola). Ognuno di loro mi ha regalato un pezzo di sé, gratuitamente, spontaneamente, suscitando una curiosità crescente nei confronti della loro cultura che col passare del tempo è diventata, in parte, attaccamento e immedesimazione. Non ho mai temuto, negli innumerevoli rientri notturni, che mi accadesse qualcosa, il che ovviamente non significa che non succeda mai nulla. Semplicemente, non più di quanto accada a Roma, o in qualunque altro posto del mondo. Ho lasciato quel Paese, e quel popolo, con le lacrime agli occhi. L'educazione (dall'entrare in metro ordinatamente e cedendo il passo alle donne al non lasciare schifezze per terra perché... esistono i cestini dunque li usiamo!), la correttezza (mille volte, prima di abituarmi a riconoscere e distinguere i lei, le monete romene, sbagliavo nel dare il resto e puntualmente sorridendo mi veniva restituito l'eccesso, millesimi di centesimi di euro), la laboriosità che ho riscontrato nei romeni sono cose che non si dimenticano. Anche quando il bimbo con la stampella tira fuori la seconda gamba, nascosta sotto il pantaloncino, e corre soddisfatto verso gli amici agitando i soldi che gli hai appena dato. Resta un'eccezione, che conferma la regola. Grazie per l'ascolto, vi seguo con profondo interesse e vi stimo. Giuliana, 8 novembre 2007 LE CAROGNE RINGRAZIANO Non mi piace il gioco del dimostrare che anche "loro" fanno parte di "noi" a cui siamo in qualche modo costretti (non ci dovrebbe essere niente da dimostrare o da smentire sia da un punto di vista dei diritti che genetico o etnico), però avrei voluto aggiungere alle citazioni di uomini di cultura rumeni del Genna anche il Padiglione Rom alla biennale di Venezia (il primo a loro dedicato, ancora aperto per qualche settimana e a gratis) e l'operato di Stalker (cfr. l'esperienza di Campo Boario e lo sgombero) e Osservatorio nomade (Campo Rom di Castel Romano, Via Pontina 20 Km). Tentativi per dare un minimo di dignità e spazi ai rom de Roma e oltre, abortiti a causa delle solite Autorità che poi usano le ruspe e la punizione collettiva. Se c'è una cosa che detesto profondamente di tutti i discorsi montati ad arte contro nemici etnici o con DNA avariati (non semplicementi poveri? sfruttati? schiavizzati?) è questa necessità di riportare esempi sul loro essere 'normali, simili a noi, tanto da ricorrere a illustri passati o figure emblematiche. Come se dall'illuminismo in poi non si fosse maturato alcunchè a proposito di 'dignità umana' e di diritti conquistati con il sudore e con i denti. Costringiamo Loro a giustificarsi, smarcarsi, stabilire distanze e, guarda caso, sempre dalla povertà e dalla miseria ormai assimilate a semplici "colpe" individuali. Tant'è che i media di merda trovano sempre un povero coglione della stessa etnia andato oltre la soglia di sopravvivenza disposto a blaterare contro la gente del suo "gruppo etnico" più sfigata di lui. Questa etnicizzazione dei problemi sociali non consente a chi si oppone di riportare il discorso sugli squilibri sociali e sulle dinamiche che li perpetuano. Sentitamente ringraziano tutte le carogne (dell'economia, della finanza, della politica, del malaffare) di tutte le etnie e sfumature di colore. Questo in generale, resta poi lo schifo specifico per la strumentalizzazione della violenza sulle donne da parte di gruppi politico/sociali che hanno sempre difeso questo tipo specifico di inumanità sostenendo che le donne "devono stare al loro posto". Se si pratica violenza nei loro confronti è ovvio che non hanno rispettato questa magnanima raccomandazione e sono andate a "'cercarsela". Fulgidi esempi di questa diffusa mentalità si manifestarono allorché timorati giudici stabilirono che se una donna portava i jeans non poteva essere stata stuprata se non dietro consenso. Per via delle chiusure lampo notoriamente antistupro. Nessuno dei pezzi di merda che si sono appropriati del caso di Roma insorse: si trattava di stupratori italiani autorizzati. La semplice morale suggeriva (e suggerisce) che fintanto che a stuprare o usare violenza sulle donne (ma spesso anche su maschi o bimbi di etnia o forza inferiore) sono i maschi del gruppo "dominante" non ci sono problemi (d'altronde non è da molto tempo che questo tipo di crimine in Italia è passato da "contro la morale" a "contro la persona"), se però quelli di etnia inferiore si prendono le medesime "libertà" allora scatta la vendetta del maschio e della coorte dominante contro l'intera comunità del reo. Sentitamente ringraziano gli stronzi e i fascisti, soprattutto "dominanti", ma non solo. Alessia, 15 novembre 2007 _CULTURE POP _______________________________________________ OGNI COSA AL POSTO GIUSTO? L'ESEMPIO DEI RADIOHEAD E L'OFFERTA LIBERA. APPUNTI NOVEMBRE 2007 [WM2:] Da quando i Radiohead hanno distribuito il loro nuovo album in formato digitale e a prezzo "libero", migliaia di siti, blog, giornali, forum si rimpallano versioni diverse della stessa domanda: - Quanti soldi hanno fatto? Purtroppo il gruppo ha deciso di rendere pubblico un solo dato, cioè i visitatori unici di inrainbows.com nel mese di ottobre: 1,2 milioni. Da questa unica verità rivelata, molti hanno calcolato l'incasso presunto, basandosi su medie ipotetiche: da 5 a 8$ per download, e quindi da 6 a 10 milioni di dollari in totale. Ai primi di Novembre, ha fatto molto scalpore uno studio dell'agenzia comScore, tanto che gli stessi Radiohead si sono sentiti in dovere di smentirlo e molti ne hanno criticato la validità scientifica. ComScore ha un archivio di 2 milioni di utenti che può "seguire" in ogni movimento on-line. Di questi, circa 1000 hanno scaricato l'album. Lo studio si basa su questi mille. Non sono laureato in statistica, ma così a occhio, mi pare che il campione sia ben poco rappresentativo. Non sul piano quantitativo, ma tanto per cominciare: com'è composto? E' giusto prendere un campione casuale quando si tratta di fare proiezioni su un gruppo particolare di persone (che contiene fan in percentuale molto elevata)? Persone che accettano di farsi monitorare on-line 24 ore su 24, sono davvero un buon campione? (Per chi volesse approfondire, comScore ha risposto alle critiche in questo post) In ogni caso, il 62% (di questi famigerati mille) ha scelto di non pagare. Del 38% pagante, i cittadini USA hanno speso in media circa il doppio degli altri (8.05 contro 4.64$) In generale, un 17% ha pagato meno di 4$, mentre il 12% ha sborsato tra gli 8 e i 12$, più o meno la cifra che si spende su iTunes per un album completo. Oltre alla questione statistica, ha fatto discutere anche il modo di calcolare l'incasso medio per download. Quelli che non hanno pagato fanno media oppure no? Sarebbero stati potenziali acquirenti del disco oppure è gente che non l'avrebbe mai comprato (magari procurandoselo in qualche altro modo)? Se li contiamo, la media è 2,26$ a download, ma io ritengo senz'altro più indicativo l'altro calcolo, cioè la spesa media per download pagato: 6$. Questa cifra è molto simile a quella ipotizzata da diversi esperti di commercio digitale. Teniamola buona. Ma allora, ha avuto successo l'esperimento? Funziona davvero? Il Corriere della Sera si è affrettato a dire che è un fallimento, ma la risposta dipende dal metro di giudizio. Se consideriamo l'incasso immediato, bisogna tener conto di un altro elemento. Inrainbows.com non permette solo di scaricare l'album in formato digitale al prezzo che si preferisce. Vende anche un cofanetto "reale" - con molti contenuti aggiuntivi - alla ragguardevole cifra di 80$ (55 euro). Ebbene - sempre secondo comScore - sembra che per ogni dollaro ottenuto col download, il cofanetto ne faccia guadagnare 2. Dunque dobbiamo guardare al sito anche come calamita per potenziali acquirenti del box (che incassa quanto 13 download pagati). Torniamo allora alla verità rivelata: 1,2 milioni di visitatori in un mese. Un buon sito commerciale trasforma il 5% dei visitatori in acquirenti. Di sicuro inrainbows.com ha fatto molto meglio, ma consideriamo per un attimo lo scenario minimo. Sono 60.000 persone che pagano in media 6$. Ovvero 360.000$. A questi si deve aggiungere il presunto incasso del box, cioè il doppio, cioè 720 mila dollari. Totale: 1 milione. In un mese scarso. Dritti dritti nelle tasche dei Radiohead, senza contare altri effetti dell'esperimento che ormai nessuno considera soltanto "collaterali": la base dei fan che si allarga, la richiesta di concerti che aumenta, l'immagine della band che si rafforza... Non a caso Madonna ha rotto il contratto con la sua casa discografica per affidare tutto - album compresi - a un'agenzia di promozione spettacoli. Questo sarebbe lo scenario minimo, ma quello rilevato da comScore è 8 volte superiore e quello reale potrebbe essere ancora più consistente. Se teniamo conto che per gli ultimi album della band si valutano incassi complessivi intorno ai 14 milioni di dollari, di certo l'esperimento ha avuto successo nell'additare una strada che nessuno, d'ora in poi, potrà far finta di non vedere. Ci sono, è vero, una serie di vantaggi della prima ora destinati ad affievolirsi col tempo: la grande attenzione mediatica, l'effetto "chiamata alle armi" - che ha convinto molte persone a pagare l'album per la causa. C'è, soprattutto, la grande qualità del prodotto - ottima musica, non una scartina - ed è questo, forse, l'aspetto meno riproducibile di tutta la baracca. La mossa dei Radiohead, tuttavia, è solo l'emergere a un altissimo livello di visibilità di pratiche già esistenti e sperimentate sottoterra da molti altri, e non solo in Rete. Diversi musei hanno l'ingresso "a offerta libera". Un musicista di strada che mette il cappello in terra fa, tutto sommato, un'operazione simile. It's up to you. Un esempio interessante è quello di Jane Siberry aka Issa, che da anni distribuisce musica con questo principio e con statistiche palesi. L'80% paga per scaricare le sue canzoni. Di questi, oltre il 90% paga il prezzo suggerito. La media è di 1,2$ a brano (più di quanto si paga di solito su iTunes). Questa del prezzo suggerito è una variabile interessante, specie per chi, a differenza dei Radiohead, deve sostenere costi marginali non indifferenti e deve colmarli con un volume di vendite molto inferiore. Una piccola band, per fare un album, deve pagare almeno lo studio di registrazione, mentre i big ne hanno quasi sempre uno di proprietà. Molti commentatori hanno sottolineato l'importanza di "essere i Radiohead" per poter ottenere risultati soddisfacenti da questo modello economico. Alcuni sono arrivati a dire che senza un'etichetta alle spalle per una quindicina d'anni, i Radiohead non sarebbero quel che sono, quindi non potrebbero permettersi di vendere un album in questo modo, quindi sono degli ingrati a voltare le spalle a chi li ha sostenuti per tanto tempo. Mi trovo molto più d'accordo con Chris Anderson, quando nel suo blog scrive che una piccola band "non ha niente da perdere a cedere gratis la sua musica, niente salvo l'opportunità di vincolarsi a un'azienda, ferma a un modo di far soldi con la musica buono giusto per il secolo scorso. " Ma se lasciamo da parte la musica? Possiamo esportare il modello in altri settori della cultura, ad esempio i libri e l'editoria? Quasi ogni anno salta su qualcuno e presenta un nuovo modello di lettore testuale, libro elettronico e compagnia bella. L'ultimo della serie si chiama Kindle e molti assicurano che avrà un futuro più roseo dei suoi predecessori perché a portarlo sulla ribalta è Jeff Bezos, l'inventore di Amazon, uno che il mercato editoriale l'ha già rivoluzionato una volta. E se non sarà Kindle, sarà magari il prossimo. Prima o poi - con modi, tempi e risultati diversi dalla musica - succederà di sicuro che una tecnologia digitale si prenda una fetta del mercato librario analogico. Molti sostengono che quello sarà un giorno nero per chi, come noi, distribuisce gratuitamente i propri testi in formato elettronico. Una regola d'oro dell'economia dice che nessuno è disposto a pagare per qualcosa che s'è abituato ad avere gratis
Questo significa che il valore di mercato di un testo digitale di Wu Ming è nullo. Pertanto, Wu Ming non vedrà un euro dalla nuova fetta di mercato e nello stesso tempo vedrà contrarsi sempre più i ricavi delle vendite tradizionali. Non sono convinto che tutto questo sia vero. In primo luogo, una forma di contributo libero esiste già sul nostro sito. In maniera sporadica, diverse persone ogni mese ci ricompensano via PayPal [vedi finestra a sinistra], con contributi tra i 10 e i 30 euro, "per la vostra bella faccia". Dunque non si può dire che il valore percepito dei nostri testi sia pari a zero. In secondo luogo, la parola "digitale" è ambigua, copre una miriade di diversi formati e prodotti. Se restiamo sul nostro esempio, noi abbiamo sempre sottolineato che "le storie sono di tutti", gratuite per natura, ma i libri si pagano, perché sono "storie-in-un-formato-particolare" (con costi marginali piuttosto elevati). Non ci sarebbe niente di strano, allora, se ci mettessimo a vendere "storie-in-formato-libro-elettronico" (che non sarà mai un puro testo), e se lo facessimo con l'opzione "prezzo libero", dal momento che i costi marginali (carta, stampa, distribuzione...) tenderebbero allo zero. Penso che in quel caso "valore di mercato (quasi) nullo" e "responsabilità dei consumatori" finirebbero per bilanciarsi, producendo un giusto compenso. WU MING 4 SU "I FIGLI DI HURIN" DI J.R.R. TOLKIEN. Il numero del mensile XL in edicola tra pochi giorni conterrà un articolo di WM4 (titolo dell'autore: "La riconquista della Terra di Mezzo") che prende le mosse dall'uscita dell'ultimo "inedito" tolkieniano, I figli di Hurin, e si interroga su come possa proseguire quella "costruzione di mondo" fuori dall'ufficialità, aggirando il "diritto dinastico" dei maschi di casa Tolkien, sfruttando fessure lasciate aperte dal Vecchio nella sua cosmogonia. WM4 recensirà I figli di Hurin per il prossimo Nandropausa, e anticipiamo che Mr. Tolkien c'entra qualcosa anche col suo romanzo solista (Einaudi, primavera 2008). [Dopo il saggio di WM1 Allegoria e guerra in 300, due commenti sul film, la sua ideologia, il suo impatto.] 300, ALIENI E PILLOLE Sono venuto a conoscenza di 300 dopo averne scaricato il trailer quicktime dal sito della Apple e sono rimasto affascinato dalla bellezza delle sue immagini. Non avevo, e non ho ancora oggi, letto il fumetto, quindi, al di là della qualità visiva non ero particolarmente interessato al film. Ed infatti non sono corso al cinema a vederlo, né ho acquistato o noleggiato il dvd, ma più semplicemente lo ho visto in divx (xvid con audio ac3 più precisamente), al contrario di V for Vendetta, visto al cinema e rivisto subito dopo in DVD regolarmente acquistato. Devo dire che 300 non mi ha irrazionalmente sconvolto gli ormoni né provocato sentimenti di immedesimazione, come invece mi era accaduto anni fa per Indipendence day, dove affanculo lo spirito razionale e critico, mi sono ritrovato a fare il tifo per gli eroi americani affinché lo mettessero nel culo ai mostruosi alieni invasori. Ed infatti, in questo film, l'alcolizzato Randy Quaid, nel vero senso della parola, entra dritto dritto nel culo dell'astronave madre e con il suo sacrificio, salva l'umanità dall'estinzione. Anche qui come vedi non si parla di checche vigliacche che combattono mantenendo la distanza dal nemico, ma al contrario di veri uomini, pur con le loro debolezze, che a costo della vita, il nemico lo affrontano da vicino, di più ancora, da dentro. Con lo scorrere dei titoli di coda mi sono sentito un po' scemo per essermi fatto coinvolgere ma ho riconosciuto tale merito al film, pur sapendo di aver visto un altro manifesto propagandistico a stelle e strisce. La pillola è addolcita da qualche effetto speciale pregevole, da qualche momento di humor indovinato (cazzottone di Will Smith all'alieno), ma sempre pillola rimane. Dopo aver visto 300 mi sono chiesto "ma che cacchio di film ho visto?" e soprattutto se uno mi chiede se mi è piaciuto o no, cosa gli rispondo? Adesso sono a posto. Giro con il simil-ipod con dentro gli mp3 della tua lezione e alla domanda dell'incauto avventore rispondo con un "ciapa qua!" e gli metto le cuffiette. Appena finito di vedere 300 ho pensato che almeno nel film non era presente, perlomeno non in maniera marcata, quel classico umorismo tipico degli action-movie americani, dove i protagonisti durante i combattimenti, inseguimenti o comunque situazioni ad alto pericolo interagisco fra di loro con battutine tese a sottolineare quanto si sentano a proprio agio a rischiare la vita. Ma alla luce della tua analisi ora mi è chiaro il perché, il sacrificio dell'uomo bianco americano travestito da spartano non può essere oggetto di battutine di quart'ordine. La tua analisi mi ha fatto capire che 300 è un film serio o perlomeno da prendere seriamente. Ma perché non mi sono accorto di tutto ciò dopo la visione? Probabilmente la mia capacità critico- analitica non è così alta, ma penso che ci sia anche un altro motivo. Penso di essere stato fuorviato da qualcosa che mi addolcito la pillola e penso che quel qualcosa sia stata proprio l'alta qualità dell'immagine. Più che di classica fotografia cinematografica parlerei di cromaticità, 300 ha dei colori fantastici di una saturazione alta e marcata ma nello stesso tempo tenue. Le tonalità dominanti sono tutte spettacolari, blu,bianchi, gialli e rossi da brivido. Il cinema in fondo dovrebbe essere prima di tutto un'arte visiva e da questo punto di vista 300 non delude affatto. Come dicevo prima non ho letto il fumetto, ma da alcune tavole viste sul web, mi sembra che, al contrario di Sin City, si sia voluto creare un'altra atmosfera nel film. Quindi, probabilmente, oltre che a una scelta estetica, è stata anche una scelta premeditata per trarre in inganno lo spettatore attento anche all'immagine oltre che al contenuto. Nel caso fosse così io ci sono cascato in pieno. Beppe, 6 novembre 2007 P.S. Nel caso ti fosse sfuggito, questo l'ho visto oggi per la prima volta. 300 E IL MALE IN AGGUATO Pur condividendo quasi tutta l'impostazione e i riferimenti circostanziati, specialmente sull'interventismo pop di Miller, è strano come al cinema mi sia venuto spontaneo, a pelle, di identificare l'imperialismo di Serse con Bush e l'atteggiamento degli spartani con il determinismo ribelle che accomuna i vari personaggi che oggi si oppongono agli USA sullo scacchiere internazionale, Bin Laden e Ahmadinejad tra gli altri. Nonostante le mie idee moderate, i forti riferimenti del testo confermati e circostanziati dalla tua lezione, e l'aver letto il fumetto quando uscì, la mia mente ha fatto l'associazione funzionale su chi fosse David e chi Golia nella vicenda e chi lo sia nella realtà odierna. Alla luce di questo, trovo interessante la differenza di percezione. Io (noi) dall'esterno percepisco gli USA come un impero, una potenza, grandiosa e minacciosa insieme , da qui viene l'assimilazione con la Persia. Dall'interno, gli USA fanno sentire la propria insicurezza, come l'elefante di fronte al topolino, il timore di essere distrutti, uccisi dal "nemico mostruoso in agguato là fuori". Esiste una poetica precisa del male in agguato che risale ai tempi delle prime colonie, da cui scaturisce gran parte della narrativa sul male di stampo americano e di cui parla diffusamente H. P. Lovecraft nel suo saggio L'orrore soprannaturale in letteratura. In merito al tuo approccio apprezzo enormemente la capacità, ancora rarissima in Italia, di esprimere un'analisi critica lucida e il dire di aver in qualche modo apprezzato il film e il fumetto. Più in generale ritengo che pochi riescono ad analizzare la cultura pop contemporanea sapendosi muovere tra l'intrattenimento, i contenuti, gli scopi degli autori e il rapporto tra l'intrattenimento di massa e la realtà. La cultura mainstream in italia non sa assolutamente come porsi coi vari Miller, Tarantino, Gaiman, per non parlare di fumetto, internet ecc. Un secondo ringraziamento va all'avermi fatto conoscere Furio Jesi, di cui leggerò presto qualcosa. Daniele Marotta, 10 novembre 2007 [Daniele Marotta è autore del saggio Conan e Frodo. Storia del fantasy alla ricerca di J.R.R. Tolkien e Robert E. Howard, vedi qui] MP3 - WU MING 1 SU FREE JAZZ E IBRIDAZIONI MUSICALI [WM1:] Ogni domenica, alle 16:30, su Radio Città del Capo (nodo bolognese di Popolare Network) va in onda una trasmissione chiamata "Boomerang", condotta da due tizi che si chiamano Simone e Vanes. A "Boomerang" si seguono percorsi di ibridazioni musicali, sbrogliando matasse sporche di influenze tra artisti, sovente in compagnia di un ospite. Il 18 novembre scorso l'ospite ero io. Ho presentato l'antologia free jazz The Old New Thing (Abraxas, 2007), dopodiché, a briglie sciolte, abbiamo discusso dell'influenza free sul rock della stagione '60-'70 (da Captain Beefheart a Frank Zappa, dagli MC5 di Starship agli Stooges di LA Blues, dai Soft Machine ai Gong, dal Robert Wyatt solista ai Velvet Underground etc.) e del ruolo di certo rock e post-rock di oggi nell'avvicinare i giovani al free jazz più radicale. Ad esempio, non sono inconsueti i passaggi dal metal/grindcore al free, per congiunzione degli estremi. Ascoltate un pezzo dei Nasum e poi un live di John Coltrane del periodo '66-'67: l'assalto sonoro, benché lontano sotto l'aspetto armonico, è vicino sotto l'aspetto timbrico (cioè strettamente sonoro). Per vie del tutto diverse, si arriva a simili epifanie di rumore. L'ho scritto anche nel booklet del cofanetto, e un veterano della critica rock mi ha rimbrottato dalle pagine di un noto mensile. Pazienza. Tra noi due non sono io a essermi perso qualche passaggio... L'anello di congiunzione è proprio la già menzionata Starship di Sun Ra "metallizzata" dagli MC5, e questo succedeva quarant'anni fa. La chiacchierata, escludendo i brani messi in onda, è durata tre densi quarti d'ora. Ora è nell'audioteca (e nel podcast) di questo sito. N.B. Nell'mp3 una mia frase "bucherellata" può dare l'impressione che i protagonisti del film I ragazzi irresistibili (The Sunshine Boys, 1975) siano Jack Lemmon e Walter Matthau, mentre si trattava di George Burns e Walter Matthau. Il film è menzionato perché un recente scazzo sul palco tra Cecil Taylor e Anthony Braxton sembrava preso di pacca da quel mondo di guitti arteriosclerotici. DUE SAGGI SUL LUTHER BLISSETT PROJECT. Ci colpisce molto il fatto che, a ben otto anni dal "Seppuku" (dicembre 1999), l'attenzione per il vecchio progetto Blissett sia più viva che mai. Sempre più persone ci riflettono sopra, azzardano ricostruzioni storiche e critiche, si interrogano su quale sia il lascito di quella comunità e cosa sia ancora utilizzabile di quelle metodologie e mitologie. Negli ultimi due-tre anni abbiamo letto diverse tesi di laurea e dottorato su LB, e non ce n'era una uguale all'altra per stile, angolazione, conclusioni. Un trionfo del molteplice. L'ultima che abbiamo letto è di Gabriele Pallotti ("Tra vero e verosimile: da Luther Blissett a Wu Ming") ed è stata discussa poche settimane fa alla Cattolica di Milano (!). In questo frangente segnaliamo due titoli. Il primo è un saggio/racconto corposissimo, vasto e "selvaggio", a firma "L.B." (Lucio Balducci). Si intitola "Nomi multipli nell'arte del Novecento: The Luther Blissett Project" ed è scaricabile in pdf qui. C'è anche una divertente prefazione del nostro vecchio complice Vittore Baroni. Come si intuisce dal titolo, il "taglio" è artistico, affronta il LBP nel contesto della storia delle avanguardie novecentesche (la genealogia che va dai dadaisti ai neoisti, passando per surrealisti, lettristi, situazionisti, Fluxus etc.) Com'è noto (cfr. anche la nostra intervista con Henry Jenkins), non è il taglio che noi preferiamo. Noi riteniamo Blissett - a cominciare dal nome calcistico - figlio della cultura popolare: rock'n'roll, cinema, sport, telefilm, scritte sui muri dei cessi. Quella di Blissett "erede delle avanguardie" è comunque una delle letture possibili. La ricostruzione di Balducci è suggestiva e circostanziata (nonché riccamente illustrata!) e si fonda su indubbie consonanze ed eredità (benché di solito si tenda a generalizzarle a tutto il LBP, quando erano soltanto uno dei tanti fili di Arianna intrecciati nel labirinto). Dietro questo scritto c'è una grande mole di lavoro, da ricompensare con attenzione e rispetto. Il secondo titolo invece uscirà su carta, prossimamente. Luca Muchetti ha editato e arricchito la sua bella tesi di laurea del 2005, L'informazione secondo Luther Blissett, e ne ha tratto un saggio in via di pubblicazione per Arcipelago Edizioni con (udite, udite!) prefazione di Tommaso De Lorenzis. Ci torneremo sopra. _MANITUANA E DINTORNI_______________________________________________ Attenzione, la presentazione a Velletri (RM), annunciata per il 30 novembre, è rinviata a data da destinarsi (gennaio, probabilmente). Al contrario, rispetto al calendario incluso nel penultimo Giap, c'è una data in più: Ferrara, circolo arci Zuni, 25 gennaio, sera. Altra cosa: la mattina del 12 gennaio saremo a Napoli, a Galassia Gutenberg. Chi ci organizza una presentazione di Manituana per la sera prima? Il calendario completo novembre-gennaio si trova qui. TERZA EDIZIONE: CHE CARTA È MAI QUESTA? La terza edizione di Manituana, come molti avranno notato, è stampata su una carta più leggera e giallognola della solita Cyclus Offset. Il libro pesa sensibilmente meno, i polpastrelli sfogliano le pagine e inoltrano al cervello richieste di chiarimento. Ebbene, pare che la Cyclus Offset non fosse disponibile in tempi brevi e così (come previsto dal contratto e specificato nel colophon del libro) si è usata un'altra carta certificata dal Forest Stewardship Council. Si tratta della carta Ecobook della cartiera New Leaf, 60g/mq, mano (=spessore) 1,8. Riciclata al 100% (60% di fibre post-consumo, 40% di fibre pre-consumo, cioè scarti e tagli di tipografia). Nulla di che preoccuparsi, insomma. E' tutto sotto controllo. L'INDIANO CAMMINA PER LONDRA Novità nella sezione "Suoni" di manituana.com. Dopo anni di distacco, Wu Ming 5 torna a scrivere musica. In una vita precedente, nei panni di bassista e chitarrista punk, calcava i grezzi palchi di bettole e centri sociali. Nell'incarnazione successiva, era un DJ e conduttore radiofonico dall'eclettica proposta (soul, hip hop, reggae, freakbeat, boogaloo, jazz). Oggi usa il computer. Streets of Westminster è l'entrata in azione dei Mohock di Londra come l'avrebbe accompagnata un Henry Mancini incattivito. Archi lievemente sfasati rimarcano lo shock percettivo di fronte a simili alieni urbani. Boardwalk Talk è Le Grand Diable che attraversa la città, a piedi, aperto a ciò che potrà accadere, autentica "passeggiata dello schizo" di anti-edipica memoria. Buon ascolto. IL COLLEGA GIUSEPPE GENNA ci propone una "installazione" sull'aspetto sovrannaturale in Manituana. "Nulla di clamoroso. Non ho i mezzi per girare video e montarli, non ho nemmeno l'occhio. Però, queste cose che nascono per e sulla Rete mi danno un sacco di soddisfazione. fruttano mail, contatti e sono migliaia quelli che le scaricano. L'installazione è un climax: parte dal dato storico e, via via, percorre il trascendimento umano (l'uomo che si vede fuori da se stesso), l'assenza di confine e, infine, lo spirituale per come lo leggo in voi o come lo intendo io: il materiale e lo storico sono lo spirituale. Ho cut-uppato dal testo - pochissimo, evidentemente. Il senso è: suggestionare." La pagina è questa. NOI EURO-POST-COLONIALI Sul "Livello 2" è disponibile un breve saggio su Manituana scritto da Emanuela Piga. Dottoranda in Letterature comparate presso l'Università di Bologna, in passato si è occupata di alterità e rappresentazione della violenza nella rielaborazione delle figure femminili del mito in Christa Wolf. Ha svolto attività di ricerca presso centri universitari in Francia, Germania e Inghilterra. Attualmente lavora su violenza e memoria nella letteratura contemporanea, e sul rapporto tra letteratura, storia e figure dell'altro. Il testo è bello e lo mettiamo a disposizione. E' meno accademico di quanto ci si potesse aspettare, c'è solo qualche inevitabile pegno linguistico pagato al contesto in cui veniva presentato. In soldoni, l'autrice sostiene che nella rappresentazione dell'altro (in questo caso dell'indiano) noi WM adottiamo un punto di vista che, benché non possa straniarsi del tutto dal nostro essere europei e occidentali, cerca comunque di aggirare l'eurocentrismo ed evitare gli esotismi. Ovvero: teniamo conto delle critiche "post-coloniali" ai nostri antenati e padri spirituali (Conrad e compagnia bella). Molto interessante. Potete scaricare il testo scegliendo fra tre diversi formati, qui. I COLLEGHI KAI ZEN E' on line sul Livello 2, nella sezione "Diramazioni", un racconto scritto dai "cugini" Kai Zen. E' una stanza con due porte, una si apre su Manituana, l'altra su La strategia dell'Ariete (Strade Blu Mondadori, 2007). C'entra lo scrittore Washington Irving (1783-1859). C'entra il filosofo illuminista scozzese David Hume (1711-1766). E c'entra il personaggio più amato di Manituana. E c'entra... N.B. Ricorda che ogni documento del Livello 2 ha una versione ottimizzata per la stampa, basta cliccare su "Print" in fondo alla pagina. Ad esempio, il racconto dei Kai Zen si vede così. Sempre sul Livello 2, ci sono diverse nuove discussioni. Libri usati, stragi di operai, Manituana. Un percorso "serendipico". Su alcune differenze tra Manituana e Q, e su altre cose. Manituana, un romanzo storico non "inerte". Da Salgari alle Mompracem di oggi. DAL GRANDE NORD OCCIDENTALE Zaren, insediata ormai da quasi un anno nel grande Nord Occidentale, Oregon, due ore di macchina da Seattle, cinque da Vancouver e poi verso Vittoria. Zaren quel viaggio verso il Canada lo ha già fatto diverse volte, per puro piacere ma... ... leggendo ciò che scrive WM3 si è chiesta: cosa si prova a viaggiare sull'autostrada e vedere scorrere cartelloni che riportano la scritta "Insediamento xxxx a 2 miglia, uscita 271 A"? E' come ridurre la storia, popolazioni intere ai nostri cartelli stradali, quelli marroni, quelli turistici, guarda a destra! C'è il Po... E a questa immagine di infinita desolazione, i WM si sono mai immaginati guardando i boschi, meglio, le foreste che ci sono qui, com'era la vita una volta? Passando tra un albero e l'altro, mastodontici, hanno provato a non fare rumore, a essere silenziosi come una lince, hanno goduto dei tramonti e dei fiumi? Io tutte le volte guardo, osservo questa potenza della natura e silenziosamente sogno quel che più non è. Son sicura che l'esperienza sia difficile da raccontare, ma ditemi di più, se potete. Un abbraccio, sinceramente gelosa di tutte le persone a "casa" che godranno delle vostre presentazioni. Zaren, 30 ottobre 2007 P.S. "Casa" in senso ormai lato. Una volta ho seguito con piacere un' intervista di Fazio a Rossana Rossanda, la quale ad un certo punto ha affermato: "So che non è molto di moda, ma io non ho radici, dove mi mettono sto". All'epoca ho criticato questa espressione, questa assoluta mancanza di legami verso i luoghi che ci hanno plasmato, accudito. Poi son partita, e ne ho passate talmente tante, e sono sopravvissuta, e ora provo ciò che ha detto lei. Forse è rassegnazione, forse incoscienza, ma ora la comprendo. [WM5:] Tutto il viaggio è stato all'insegna della nostalgia per qualcosa che non conoscevamo, ma che è in qualche modo parte dei nostri ricordi culturali. Nel film "Manto Nero" (vicenda che si svolge in quelle terre, nel xvii secolo), c'è una scena che vede il gesuita protagonista accompagnato in canoa da un gruppo di aborigeni. La camera allarga, allarga, allarga: canoa e manto nero sono un punto nel mare infinito d'alberi. Com'era il mondo prima dell'arrivo dell'uomo bianco, dunque. Quiesto confronto impossibile tra quello che vedevamo e quello che in qualche modo immaginavamo, o sentivamo aleggiare come un fantasma, è stato una delle chiavi di volta emotive della nostra esperienza, specie nelle aree abitate dalle first nations. Ma quel mondo non è trascorso. Gli "indiani" non sono un fantasma. Le first nations sono qui, lottano oggi. Il "vanishing indian" è un prodotto culturale del colonialismo: si tratta di carne, sangue, storia, narrazioni e futuro possibile, in atto oggi. Si tratta di un divenire. E anche l'ambiente, credo, in certe aree deve essere prossimo a quel mondo prima del contatto: i canadesi sono circa 33 milioni in un territorio vasto più dell'Europa. Le nostre sensazioni erano simili alle tue. _VARIE ED EVENTUALI _______________________________________________ ANCORA SUI TEDESCHI ETC. Ho appena letto l'ultimo giap e volevo rispondere alla bellissima lettera di V. sulla società tedesca, dato che suppongo di averla stimolata io con la mia "Che gente siamo". Prima di tutto vorrei dire che non so se ci sono altri giapsters che visitano campi di concentramento, io lo faccio quando posso e non credo ci sia niente di male, se non altro per tenere viva una memoria che con la scomparsa degli ultimi sopravvissuti deve comunque rimanere ben salda dentro tutti, secondo me. E questo al di là di ogni ideologia, se non fossero in Siberia andrei anche nei gulag di Stalin, figuratevi. Riguardo ciò che ho scritto, non ho certo voluto dire che i tedeschi siano meglio di noi, per carità, in questi tempi non so proprio come si possa fare a stilare una classifica del meglio e del peggio... Sono consapevole di tutte le contraddizioni della società tedesca, e inoltre vengo da una famiglia che con i tedeschi ci ha avuto parecchio a che fare sessant'anni fa, perciò non mi sogno certo di mettere sul piedistallo la Germania. E non volevo nemmeno aggiungere la mia voce al coro "populista" di quelli che denigrano sempre e comunque gli italiani. Semplicemente il mio era un grido di dolore per alcuni modi di fare di noi italiani che a volte mi fa vergognare (e questo mi capita spesso viaggiando, in Germania o altrove). Per una superficialità negli atteggiamenti che non ci appartiene (e la lettera di V. lo dimostra) e che invece spesso ci identifica fuori dai nostri confini facendoci guardare "in un certo modo" dagli altri. So benissimo che non si conosce un paese andandoci in vacanza, ma almeno vorrei che noi italiani non ci facessimo sempre riconoscere all'estero! Un grazie a voi e a V. Annalisa, 31 ottobre 2007 _ELMORE LEONARD: ARRIVA FREAKY DEAKY, WU MING 1 SI CONGEDA__________________ [WM1:] Il 4 dicembre arriva in libreria la mia quarta (e probabilmente ultima) traduzione di un romanzo di Elmore Leonard. Tra un po' vi dico di che si tratta, ma prima lasciatemi ricapitolare gli eventi degli ultimi 4-5 anni. Il progetto di rendere in italiano la lingua del vecchio "Dutch" è nato dalla frustrazione. Frustrazione nel vedere il 90% dello stile di un autore scomparire, affondare nei gorghi di traduzioni poco fantasiose e in "buon italiano medio", per giunta con titoli da fucilazione immediata. Frustrazione nel vedere romanzi traditi, pugnalati alle spalle. Non tanto dai traduttori, che lavoravano e lavorano in condizioni sconfortanti (antico slogan operaio: "A salario di merda, lavoro di merda!"), quanto dagli editori. Per anni ho rotto le scatole a tutti con esempi di frasi disossate e conversazioni in una lingua che nessuno, ma proprio nessuno, parla. E' una vecchia e rognosa questione, ma nel caso di Leonard si proponeva in modo eclatante, scandaloso. Bisognava fare qualcosa. Tra le persone che avevo bombardato di esclamazioni ottative ("Magari potessi tradurlo io, Leonard!") c'era la collega Simona Vinci. Un giorno Severino Cesari di Stile Libero, chiacchierando, le disse che Einaudi stava acquistando i diritti dell'opera omnia di Leonard. Simona non esitò: "Ah, perfetto! Fatelo tradurre a Roberto, che ha idee molto chiare su tutta la faccenda!". Detto fatto. Ho raccolto la sfida con Tishomingo Blues (2003). Ho ottenuto i primi risultati con Mr Paradise (2004, e ho scritto pure la post-fazione). Ho "consolidato" con Cat Chaser (2005, forse la mia migliore traduzione). In quel lasso di tempo ho riflettuto a fondo sui problemi posti a un traduttore italiano dai libri di Leonard. Parallelamente, il collega Luca Conti (collega due volte: perché traduttore dall'American English e perché cultore di musica afro-americana) lavorava col medesimo spirito su altri titoli (uno su tutti, Hot Kid). Oggi metto i puntini sulle ultime i, con Freaky Deaky. Credo di essere giunto al termine di un percorso, e di aver dimostrato che anche nella lingua di Dante è possibile lavorare seguendo il precetto di Leonard: "Se suona scritto, lo riscrivo". La sfida non è più tale, se continuassi diverrebbe routine. Ho bisogno di cimentarmi con altri autori, dagli stili completamente diversi. Lascio proseguire Luca, che ha le sue personali soluzioni per tutti i rompicapi proposti da Dutch. Mentre inizia l'ultimo spettacolo pirotecnico, dico il mio addio e lascio la città. Il libro. Freaky Deaky è uno dei romanzi più belli di Leonard, uscito in inglese nel 1988. Letto vent'anni dopo, è quasi un trattato su com'era visto il '68 (il peculiare '68 americano) negli anni Ottanta di Reagan e Bush Sr. Il cerchio si chiude, insomma: ho iniziato da Tishomingo Blues, un romanzo sul rapporto degli americani con la memoria storica, e finisco con Freaky Deaky, un... romanzo sul rapporto degli americani con la memoria storica. Ecco il "blurb".
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