Giap #21, VIIIa serie - Contro il Paese semplice - marzo 2008, terza settimana |
CONTRO IL PAESE SEMPLICE In un recente discorso alla Confartigianato, il candidato premier del Partito Democratico ha dichiarato che la sua "ossessione" è quella di "fare un Paese semplice". La frase riguardava in particolare la burocrazia, ma nei giorni successivi, ripetuta in altri contesti, è diventata un vero e proprio slogan: dal Paese normale di Massimo D'Alema al Paese semplice di Walter Veltroni. Se interrogate l'oracolo di Google con la parola "semplicità", dalle prime dieci risposte potete distillare questa sintesi: "C'è un grande bisogno di semplicità. Convivere con la complessità è solo un'inefficiente e inutile perdita di tempo, di attenzione e di energia mentale. E' necessaria una notevole intelligenza per essere semplici. Il pubblico, ormai saturo di slogan e promesse non mantenute invoca chiarezza e semplicità. La gioia delle piccole cose." In un senso o nell'altro, l'ossessione di Veltroni sembra piuttosto condivisa. Il mio modesto parere è che all'Italia servirebbe una ricetta per molti versi opposta: innamorarsi della complessità. L'aggettivo semplice deriva dal latino simplex, formato dal prefisso sin(e) = senza e dal sostantivo plica = piega, oppure dalla radice sa- che indica unità (cfr. singolo = piccola unità, insieme, simultaneo, sempre) e plak- = mescolo, lego, con il significato etimologico di senza piega, ovvero piegato una volta sola. Si contrappone quindi da un lato a molteplice (piegato molte volte) e dall'altro proprio a complesso (cum = insieme + plecto = intreccio, che ha la stessa radice plak- di plico). Rispetto all'uso, il Dizionario De Mauro della lingua italiana propone svariate definizioni: 1. composto di un solo elemento, non mescolato, puro. 2. privo di complessità. 3. privo di ornamenti eccessivi, essenziale, poco raffinato, naturale, sano. 4. spontaneo, senza malizia, ingenuo. 5. con valore limitativo (s. domanda, soldato s.) 6. erba medicinale Da subito, quindi, i seguaci del Semplice hanno un problema: il loro aggettivo prediletto ha una semantica complessa, molteplice, ambigua. Che cosa dobbiamo intendere per Paese semplice? Possiamo intendere un concetto preciso oppure chi usa quel termine allude di fatto a un'intera galassia di senso? Nel significato 1, l'idea di Paese semplice ha un vago retrogusto ariano e di certo contrario alla storia d'Italia, nazione bastarda e meticcia come poche altre. Con buona pace dei razzisti, il popolo italiano non esiste, né in senso biologico né come portatore di una cultura, anche solo per il fatto che la cultura non si porta e non si ha: la cultura si fa. Ma il Paese semplice di tipo 1 potrebbe anche essere qualcosa di meno nazista e di più ecumenico: "formato da un solo elemento" perché abitato da cittadini tutti uguali. Achtung! Quello dell'uguaglianza universale è spesso un trucchetto, per poter dire che chi è diverso non è davvero diverso, è solo più indietro, manchevole, arretrato. Se non è uguale a noi, arriverà ad esserlo, diamogli tempo. "Siamo tutti uguali, le classi sociali non esistono, non sono mai esistite, erano solo un modo complicato e cattivo di descrivere la realtà". Il Paese semplice di tipo 1 piacerebbe molto al Cav. Mussolini Benito e a Papa Ratti (Pio XI). Il Paese semplice di tipo 3 sarebbe anche auspicabile. Peccato che a ben guardare si tratti di un paese complesso: chiunque abbia provato ad abbracciare uno stile di vita più "sano" e sostenibile, con un impatto ambientale meno devastante, sa che si tratta di una scelta molto intricata e faticosa. Semplicità volontaria è la traduzione italiana del termine downshifting, ovvero, secondo Wikipedia: "la scelta di giungere ad una libera, volontaria e consapevole autoriduzione del salario, bilanciata da un minore impegno in termini di ore dedicate alle attività professionali, in maniera tale da godere di maggiore tempo libero". Non vedo come questa semplicità possa essere quella di un paese, sempre auspicato da Veltroni, che deve aumentare i salari, rilanciare i consumi e "spingere l'acceleratore della crescita". Il Paese semplice di tipo 4 potrebbe contrapporsi a quello dei furbi, e non sarebbe male. Tuttavia, credo sarebbe ancora meglio tenersi la malizia e buttare a mare i furbetti. Il Paese semplice di tipo 5 esiste già. Limitato, ghettizzato e provinciale: ne abbiamo già scritto abbastanza. Il Paese semplice di tipo 6 dipende dall'erba in questione. Nel caso dell'Italia, si direbbe la coca, l'unico acceleratore della crescita che ancora funzioni. Ma la coca dà anche molte complicazioni. Se si vuole un paese semplice, che non fa una piega, un paese di sedotti e sedati, patria di un fascismo zen non autoritario, meglio usare la valeriana. Arriviamo al significato 2, il più immediato: gli accoliti del Semplice sembrano preferirlo. Spesso tirano in ballo la scienza e la sua predilezione per le spiegazioni più semplici e lineari. Già settecento anni fa Guglielmo da Occam raccomandava che "Pluralitas non est ponenda sive necessitate". Io sono laureato in logica: conosco il piacere anche estetico di dimostrare in due passaggi quello che altri hanno ottenuto con pagine di simboli. Ma scienza e logica sono soltanto una parte, una piccola parte, della nostra vita. Una spiegazione semplice è sempre meglio di una complessa, ma a patto che renda conto degli stessi fenomeni, nessuno escluso. Una soluzione semplice non è sempre meglio di una complessa. Tutto dipende da cosa si vuol risolvere, e a che prezzo. Nel Paese semplice di Veltroni sarà possibile fare "un'impresa in un giorno". E magari due morti bianche ogni ora, per non complicarsi la vita. Si possono usare parole semplici, frasi semplicissime, ma se una realtà è complessa non si può descriverla in due battute rapide prima dello stacco pubblicitario. I catecumeni della semplicità si lamentano delle troppe complicazioni, ma a me pare che in Italia vada di moda l'esatto contrario: siamo un paese ancora all'inseguimento del mainstream, convinti che la "gente a casa" non sia in grado di seguire tre concetti in fila, sorpresi dal successo di libri "difficili", con argomenti "tosti". Noi stessi, come cantastorie, ci siamo spesso definiti "riduttori creativi di complessità", ma tutto sta nello spirito con cui si opera la riduzione. John Maeda sostiene che per raggiungere la semplicità bisogna "sottrarre l'ovvio e aggiungere il significativo". Più che una definizione è uno scaricabarile: che cos'è ovvio? Che cos'è significativo? Un libretto di istruzioni ben fatto è privo di ridondanze, ogni riga è efficace e informativa. Peccato che la realtà non sia un aspirapolvere. La u dopo la q non dice niente di nuovo, eppure in italiano scriviamo così. Amare la complessità significa interrogarsi sul nome, la storia e gli ingredienti di quello che ci sta intorno. Se vado in vacanza in montagna, non posso tornare a casa senza aver mai aperto una mappa dei dintorni. Se vado al mare in Egitto, non posso mangiare spaghetti per una settimana. Amare la complessità non significa complicarsi la vita, come facevano Aldo, Giovanni e Giacomo quando davano un nome sardo a ogni foglia, a ogni goccia di pioggia. Le foglie si chiamano foglie, ma un albero può chiamarsi faggio, quercia, ulivo, ontano, sicomoro. Il Paese semplice rischia di essere il paese delle rane bollite. Se ne parla più sotto, proprio a proposito della mentalità del ghetto: se metti una rana nell'acqua bollente, salta via (o forse: muore all'istante). Se la metti nell'acqua fredda e aumenti la temperatura poco per volta, si lascia bollire senza scappare. La rana bollita odia la complessità. Vuole concetti chiari, precisi, senza sfumature. O l'acqua è calda oppure l'acqua è fredda, punto. Allora tu la metti in guardia: "Occhio che adesso alzo la temperatura". Ma lei non sente la differenza. Tu allora la avverti di nuovo: "Attenta che la alzo di altri 0,05 gradi". Lei non sente niente. Tu vorresti avvertirla ancora, ma lei ti blocca. Che fastidio tutti questi avvisi. Che inutile complicazione. "Aumenterai la temperatura sempre di 0,05 gradi?", ti chiede. Rispondi che è così. Bene, pensa la rana. E' evidente che aumenti del genere non fanno alcuna differenza. L'acqua resterà sempre fredda, cioè ospitale. "Non seccarmi più", ti dice la rana, "adesso voglio dormire in pace". In pace. In una pentola di acqua semplice, senza increspature e senza pieghe. Perché le pieghe fanno paura, nascondono mostri, e in fondo il famigerato bisogno di sicurezza è solo un altro nome per il bisogno di semplicità. Non a caso colpisce ovunque: anche nei quartieri più tranquilli, perché in realtà l'insicurezza non nasce dal crimine, ma dall'odio per la complessità. L'evoluzione ci mette 50 millenni a selezionare la specie adatta per un determinato ambiente. I nostri cervelli saranno "adatti" a questo mondo nel 52008, anno più, anno meno. Al momento, cercano di barcamenarsi con quello che hanno, ed è naturale che la complessità li infastidisca. Ma soltanto amandola è possibile ridurla senza tradirla. Soltanto un paese che ama la complessità può evolversi e vedere il futuro. [WM2] |
L'ANNO DELL'ARREMBAGGIO Ancora sul nostro 2008, perché abbiamo tante pentole su tanti fuochi. Innanzitutto, ringraziamo voi giapsters per l'ottima partenza del nostro racconto Previsioni del tempo (Collana Verdenero di Edizioni Ambiente), e nel farlo diamo i numeri. Nella prima settimana, PDT è entrato nei Top 20 della narrativa italiana secondo Demoskopea (19esimo posto) e nei primi cento libri più venduti nel circuito Feltrinelli (ha toccato il 71esimo posto, e una singola libreria Feltrinelli ha un assortimento titoli che va dai 20.000 ai 110.000 libri). Dopo dieci giorni, il libro era già in ristampa. La tiratura iniziale era di 8000 copie. E' il primo titolo della collana a ottenere un risultato del genere, e questo dà visibilità a tutto il progetto, a una piccola casa editrice, a una campagna di sensibilizzazione sulle ecomafie. Per una selezione aggiornata dalla rassegna stampa cliccare qui. PDT è stato scritto da Wu Ming 3 e Wu Ming 5, che ci hanno lavorato anche durante il viaggio in Canada dell'ottobre scorso. Come abbiamo anticipato, un resoconto-a-due-teste su quell'esperienza coast-to-coast (con pellegrinaggi sulle tombe di Joseph e Molly Brant) uscirà per i tipi di Rizzoli nel maggio 2008. Prima, però (fine aprile), uscirà per Einaudi Stile Libero Stella del mattino, il romanzo solista a cui Wu Ming 4 ha lavorato per anni, disseminando indizi su tematica e personaggi a partire dal 2003. All'inizio dell'estate, un nostro racconto lungo intitolato Momodou apparirà nell'antologia Crimini 2, a cura di Giancarlo De Cataldo, sempre Einaudi Stile Libero. E non è finita qui, ci sono altre cose grosse, ma non è ancora tempo di parlarne. P.S. Prossimamente on line una possibile colonna sonora di Previsioni del tempo, composta e registrata da WM5. |
WU MING AL MIT E ALTRI TRIP Queste erano alcune delle uscite italiane. Ci sarebbero anche quelle in altri paesi, e soprattutto ci sono i viaggi che le precedono, seguono, accompagnano. Saranno momenti importanti del nostro Percorso. Il lungo tour di Manituana ha richiesto molte energie (circa 70 date in un anno, e almeno altrettanti inviti declinati per l'ovvia impossibilità di andare dappertutto), ma cercheremo di dare il meglio. Per ora sappiamo che (in ordine cronologico): * il 26 marzo WM2 sarà a Siviglia, al festival Zemos98, per una conferenza intitolata: "Narrar no es suficiente. El oficio del cuentacuentos en la época digital". Centro de las artes de Sevilla (caS), C/ Torneo, 18, H.18. * il 27 marzo WM1 sarà a Montréal, Canada, alla McGill University, per l'incontro "Wu Ming, Italy and the Latest Wave of Historical Novels". Room 1041, 688 Sherbrooke St W, H. 17:30. * il 2 aprile WM1 sarà al Middlebury College, Vermont, USA, per l'incontro "Who is Wu Ming? A Global Italian Fiction". Robert A. Jones '59 Conference Room, H. 16:30. * il 4 aprile WM1 sarà al MIT di Boston, USA, per l'incontro "Slightly More Than Expected from a Band of Novelists: On How and Why a Group of Writers Called Wu Ming Set to Disrupt Italian (nay, European) Literature and Popular Culture... and then Came to Boston to Brag About It". Introduce e modera il professor Henry Jenkins. Building E51-335, 77 Massachusetts Avenue, Cambridge, h. 19. * il 21 aprile WM1 e WM2 saranno a Parigi, al Centro culturale italiano, per parlare di New Thing e Guerre aux humains. Con Serge Quadruppani e Fabio Gambaro. * il 22 aprile WM1 e WM2 saranno sempre in Francia, a Lille, al Centro culturale italiano. Anche qui con Serge Quadruppani. * la sera del 23 aprile i soliti tre personaggi saranno in Belgio, a Liegi, per la precisione al Jardin Botanique. Non finisce qui, perché a maggio WM2 torna in Francia (a Marsiglia e Martigues) e a giugno WM1 farà un mini-tour della Spagna, e a luglio etc. etc. I dettagli seguiranno. |
OGUNDE, QUEL TITOLO CHE COLTRANE COLSE TRA I MITI DEL BRASILE NERO [L'articolo che segue, scritto da WM1, è apparso sul numero della rivista Musica Jazz in edicola questo mese (anno 64, n.3). E' la prima puntata di una spedizione i cui intenti sono spiegati nei primi capoversi. Le prossime puntate verranno pubblicate tutti i mesi nella sezione di questo sito dedicata a New Thing e dintorni (aggiornamenti seguibili via feed). N.B. Questo numero di MJ contiene anche una lunga intervista a Daniele Luttazzi, che parla delle influenze jazz nel suo lavoro. In allegato, un cd dedicato al grande trombonista free Roswell Rudd.] Di recente, su questa rivista, Luca Conti notava come certi titoli di composizioni jazz (e di musica afroamericana in genere) richiamino "un'Africa misteriosa, insondabile, persino macabra, dove all'uomo bianco non è consentito l'accesso". Al cospetto di quei brani ci afferra una sensazione, quella di "trovarci a origliare, nostro malgrado, un messaggio non indirizzato a noi e che non fa niente per includerci nel discorso". Non voglio entrare nel rognoso dibattito sulla "asemanticità" della musica. Mi limito a constatare l'ovvio: un brano jazz è quasi sempre privo di lyrics, e il titolo è l'unico elemento verbale. Soltanto il titolo dice qualcosa. L'artista crea un gioco di associazioni e suggerisce un umore, un contesto (seppure vago), un frame di immagini e concetti. Intitolando un suo pezzo Relaxin' at Camarillo, Charlie Parker allega alla musica un sarcastico riferimento autobiografico (il ricovero coatto in ospedale), indicando un possibile approccio, una chiave di lettura. Intitolando un suo brano All the Things You Could Be By Now If Sigmund Freud's Wife Was Your Mother, Mingus impone un frame, indica che il pezzo va ascoltato con immaginazione, disponibilità a forzare la gabbia del reale, voglia di giocare con ipotesi assurde. Nella seconda metà del Novecento, man mano che il jazz riscopre le origini africane, sempre più titoli scomodano lingue antiche, religioni esotiche o civiltà remote. Altre volte il titolo è un vocabolo d'uso comune, accostato alla musica in modo da produrre effetti incongrui. "A cosa si riferiranno le frattaglie, il giblet del feroce brano di Sunny Murray?", si chiede ancora Luca Conti. Se invece il brano è tradizionale, il titolo non è scelto dal musicista ma ha disceso il fiume dei secoli, feticcio di fonemi, oggetto perturbante e decifrabile a fatica. In casi rari ed estremi, il titolo è un'accozzaglia alfanumerica, quasi una parodia di formule scientifiche, come negli album di Anthony Braxton (Comp. 26 G+ 99 G). In questa serie di articoli viaggerò a ritroso nel tempo, indagherò mondi nascosti a partire da titoli allusivi e misteriosi. Di volta in volta, farò un uso "selvaggio" di etimologia, filologia, linguistica e antropologia, ed è un mistero anche per me dove andrò a parare. Iniziamo con uno degli ultimi pezzi incisi da John Coltrane prima di morire, nell'inverno del 1967. Ogunde, breve gemma d'apertura dell'album postumo Expression. Dilatato oltremisura, occupa mezza scaletta del celebre Olatunji Concert, registrato il 23 aprile successivo, ultima testimonianza live del musicista. Dietro la scelta del brano c'è l'influenza di Babatunde Olatunji, percussionista nigeriano di etnia yoruba, eponimo e animatore - in piena Harlem - del centro culturale che ospita il concerto. Anni addietro, Olatunji ha avvicinato Coltrane alla musica africana, interesse che, lungi dall'affievolirsi, è cresciuto sempre di più. Prima di scoprirsi malato di tumore, il sassofonista progettava un viaggio nel continente nero, e aveva in mente di reinterpretare canti della tradizione yoruba. Ogunde è un canto yoruba, ma Trane lo ha ricevuto dal Brasile. Nelle liner notes di The Olatunji Concert, scritte dal critico e pianista Dave Wild, troviamo questa breve spiegazione: La composizione [è] basata sul canto popolare afro-brasiliano Ogunde Varere. Molto probabilmente Coltrane l'aveva conosciuta nell'arrangiamento del compositore Francisco Ernani Braga, parte di un set di otto canzoni tradizionali incise dalla soprano Bidu Sayão nel 1947. Braga aveva tradotto il titolo con 'Preghiera degli dèi' e aveva definito il brano "uno spiritual negro in dialetto africano". Non è colpa di Wild, che riporta errori e approssimazioni altrui, ma se andassimo a ritroso partendo da questi dati imboccheremmo vicoli ciechi uno dopo l'altro. Per cominciare, "Ogunde Varere" è un titolo inesistente. Nella versione incisa da Bidu Sayão (orchestra diretta da Heitor Villa-Lobos!) il canto s'intitola Ogundé Uareré. Difatti, nella lingua yoruba non esiste il suono "v". Chissà chi è stato il primo artefice del refuso che, rimbalzato più volte qua e là, è ormai parte della vulgata coltraniana. Come vedremo, poi, la traduzione non è "Preghiera degli dèi". Andrebbe anche peggio se iniziassimo il viaggio da una recensione del cd uscita nel 2001 su un settimanale italiano, dove si parlava di "una canzonetta della tradizione afrobrasiliana". "Canzonetta"? Beh, insomma... Canzonetta era, in origine, My Favorite Things, ma questa no, anzi, stiamo parlando di roba forte, di culti feticistici afro-atlantici: il candomblé del nord-est brasiliano, la santería cubana, il voudou di Haiti, l'obeah della Antille britanniche. Per l'appunto, il canto in questione è noto dai Caraibi al Brasile, e il verso d'apertura ha molte varianti, dovute alle deformazioni della tradizione orale e a trascrizioni avvenute in diverse epoche e aree geografiche. Per seguirne gli spostamenti sulla Rete bisogna forzare Google, piegare la ricerca e tenderla allo stremo, e se si spezza andare dove cadono le schegge, setacciare il terreno, smuovere ogni pietruzza. E' così che nel Caribe troviamo Oggúndé Arere, Ogun de Arere, Oggundere Arere e Ogun rere Arere. Comunque si trascriva, è un antico orikì (invocazione) alla divinità africana Ogun (in Brasile Ogum, a Cuba Oggún, ad Haiti Ogoun). Ogun è uno degli Orisha, spiriti della religione yoruba che - semplificando all'estremo - "mediano" il rapporto tra gli umani e Olodumare, creatore dell'universo, ente remoto e inconoscibile in quanto tale. Questa relazione tra un Dio che sta "più in alto" e una moltitudine di figure "intermedie" esiste anche nel pantheon cattolico, affollato di arcangeli, santi e beati martiri. Il parallelismo consentì agli schiavi di camuffare le loro credenze e renderle accettabili nel Nuovo Mondo, "travestendo" ciascun Orisha da santo del Canone (da qui la parola santería). A Cuba, Ogun corrisponde a San Pietro. In Brasile corrisponde a San Giorgio. In realtà gli Orisha sono manifestazioni del Dio supremo: su un diverso piano di esistenza, sono sempre Olodumare. Se nel cattolicesimo Dio ha tre personalità (Padre, Figlio e Spirito Santo), nel culto Yoruba ne ha svariate dozzine, e la faccenda è più divertente. Ogun è signore della guerra, dei metalli, della collera, delle lame, di tutto ciò che è rovente e incandescente, della febbre, dell'uccisione degli animali. Di conseguenza è protettore dei fabbri, dei minatori, dei barbieri, dei macellai, dei chirurghi, dei cacciatori, dei soldati, e in generale di chiunque adoperi attrezzi metallici e sia uso tagliare, scavare, bucare, limare, battere, forgiare, cauterizzare etc. I suoi colori sono il nero e il viola. "Areré" è uno dei suoi attributi: pare significhi "sovrano di Ire" (località nello stato di Ekiti, Nigeria), benché in alcuni testi venga tradotto con "macellaio". Di sicuro non si dedicano "canzonette" a un tipo del genere, uno che si calò dal cielo durante la Creazione, appeso a un filo di ragnatela, agitando un machete. Francisco Braga fu un compositore sinfonico e operistico fortemente influenzato da Wagner. Nella sua riscrittura dell'orikì ogni spigolo è smussato, ogni asperità piallata, la melodia condotta a forza nella scala occidentale. Del candomblé, l'incisione del '47 conserva ben poco. Rimangono le parole, arcane formule yoruba ("Ogunde arere / ile bogbo lokua / Ogun wanile Ogun walona"), ma per come le canta Bidu Sayão, beh, potrebbe essere latino ecclesiastico. Non più lame vorticanti, non più ferro rubescente, la febbre si è spenta e la fornace estinta. Africa addio. A rivitalizzare l'orikì ci pensa Coltrane vent'anni dopo. Già nella versione in studio di Ogunde, quieta e tesa al tempo stesso, intima e aperta al mondo, riemerge la dimensione di cantico, invocazione, preghiera. Dave Wild attribuisce al brano un'indole "appassionata e implorante". Dopo aver aperto con il tema, Trane avvia la ricerca, il sax rovista negli angoli della memoria, "in the back of the Black man's mind". E' un volo d'uccello sulla diaspora nera, si parte dal Brasile e si torna all'Africa passando per il blues. Ogun è ancora lontano ma la musica lo chiama, soffia, ravviva braci antiche, attizza la timida fiamma che poche settimane dopo, all'Olatunji Center of African Culture, si gonfierà in vampata maestosa. Nell'interminabile versione live (ventotto minuti e passa), Ogun si manifesta e danza sui tizzoni, tra cespugli di scintille, roteando il machete sopra le teste. Il cerchio si chiude, il ciclo riparte. Esiste un quadro di Davide Minetti, un acrilico su tela del '97. Coltrane esce dall'ombra, colpito da una luce bianca che accende il volto, il sax, le dita di una mano. La giacca è scura, la camicia blu, Trane ha gli occhi chiusi. Dietro e intorno a lui, pennellate robuste muovono onde nere, curvature alla Munch su uno sfondo rosso fuoco. Il nome dell'opera è "Ogunde varere". Il cerchio continua a chiudersi, il ciclo riparte sempre. |
KOLIKO KOŠTA TALIANSKI GIEZZ? [Per l'etichetta Improvvisatore Involontario sta per uscire il nuovo album degli Switters, super-trio formato dal sassofonista Gianni Gebbia, dal bassista e cantante Vincenzo Vasi e dal batterista Francesco Cusa. Riassunto delle puntate precedenti: qualche anno fa gli Switters hanno collaborato con Wu Ming 1 per il reading/concerto tratto da New Thing (il link porta a cinque brani registrati durante quel tour). Cusa è stato anche il primissimo musicista a raccogliere il nostro invito e comporre parte della colonna sonora di Manituana. Quest'album si intitola Current Trends in Contemporary Italian Music Disaster e contiene una traccia (la prima) con titolo in lingua pan-slava e testo scritto e declamato da WM1. Eccolo qui, buona lettura.] Ma chi sono questi Switters che osano definire "disastroso" lo stato della musica in Italia, e specificamente lo stato del giezz et similia, quando il giezz ha vinto, il giezz è ovunque, si insegna nelle scuole di musica, ci sono festival in tutte le città da gennaio a dicembre e il Belpaese sforna giovani raffinati talenti da esportazione che hanno successo nei club e auditorium di tutto l'Orbe? "Disastroso" in che senso? Rispondo per conto mio, rinunciando al mandato di farlo per conto loro. Essi rispondono con la musica, io suono il mio strumento, la parola. "Disastroso" perché non potrebbe essere altrimenti, perché è disastroso lo stato in cui versa il Paese e non è possibile che esistano "isole felici", non in un mare oleoso e dai fondali depredati, dove nuotano lercissimi molluschi mutanti e si frollano carcasse di gabbiani. L'arte riflette e rielabora e ri-vomita quel che le sta intorno, se rinuncia a farlo è disonesta, è phishing per anime credule, presa per il culo tipo bond argentini. Scoppiano rivolte per ogni dove, il puzzo di merda raggiunge l'esosfera, eppure molto del giezz-che-ha-successo-oggi è soundtrack di pubblicità di villaggi-vacanze, è lieve e levigato, liscio & iposodico o se va bene effervescente-Ferrarelle, è un estenuante plin-plin-plon new-agey, lullaby consolatoria per mezze seghe, palestra-dopolavoro per politici che si fingono scrittori, anticamera per carriere in partiti virtuali, oppure è tecnica da baraccone, freak-show di infanti-prodigio (e quindi di prodigi puerili), o ancora, è consesso di zombies al reparto geriatrico, gente che vent'anni fa non aveva più niente da dire e oggi è svuotata di tutto tranne che della propria spocchia. In ogni caso: poco nerbo, pochi scatti di nervi, pochissimi colpi di nerchia contro i portali dell'accademia (e della realtà). Una società come la nostra, con una cronaca nera grindcore e un tessuto sociale infradiciato di pus, merita una musica tesa, incomoda, oscena, acerrima nemica dei clichés, dura come il bastone che cala repentino sulle teste, randello-satori brandito dai maestri delle storie zen. Una musica educativa, insomma, pol-pottiana in senso buono (!), che sotto minaccia armata spinga dietro la lavagna i robotici secchioni del giezz e imponga loro il cappello da somaro, e zitti e mosca, e se fiatano arrivano pedate in culo, haute école pedagogique! L'arte deve praticare il paradosso, immaginare il mondo alla rovescia. E allora, chi sono questi Switters? Sono degli stronzi, dei guastafeste, dei rompicoglioni. Sono gli sturalavandini del giezz, idraulici liquidi che sgorgano le condutture. Sono la bustina che si getta nel water per sciogliere i residui della fossa biologica. Sono gente che si prende soddisfazioni. Sono le menti migliori della degenerazione. Sono quello che ci vuole. E anch'io sono quello che ci vuole, e in queste note non c'è una parola che non sia indispensabile. Comincia il viaggio, cazzo. Mani sulle palle e via andare. |
TCHAD UNPOE, STYLE WU MING (SIGNÉ LUTHER BLISSETT) [Abbiamo scoperto soltanto pochi giorni fa che il rapper francese Tchad Unpoe ha scritto e inciso un brano a noi dedicato... ed è accaduto nel 2005, quando Oltralpe non ci conosceva quasi nessuno! Il pezzo si intitola Style Wu Ming (Signé Luther Blissett) ed è contenuto nell'album d'esordio di Tchad Emcique Furilla. Sotto potete ascoltarlo/scaricarlo. Ecco il testo con traduzione italiana e note (Grazie, Estelle!).] Poseur de rimes sous fauteuils, voleurs d'airs, libre, tueur cruel, Fauteur d'œuvres anonymes, j'offre du terrorisme culturel, Effraie vos théories égonomiques, pue l'oxygène. Droit au cœur. Si j'aime, pas de droits d'auteurs. L'art d'indigents n'a pas d'odeur. Je suis l'indigène, barbu-pas pris, maquillé, incognito. T'y as vu tchi, ma chi mi ha visto ? Sans visa je conspire entre équipage et copilotes, ce pirate Pille tout l'empire du copinage des Copyrights. Pire, j'ai pas de titre, non, je suis de Dee Nasty, darling. On a pas de Who's Who, nous c'est style Wu-Ming. Je fais des rêves de lutteur, si de peur nos ennemis font le 17. Pas de mystère, on persiste, je signe. Mister Luther Blisset. Vous livre son manifeste, rimes sibyllines. Bible express… Esprit Wu-ming ! Tchad Unpoe sale imposteur style Wu-Ming. Posatore di rime sotto poltrone, ladro d'arie, libero, assassino crudele, sobillatore di opere anonime, offro terrorismo culturale, spavento le vostre teorie egonomiche, puzzo di ossigeno. Diritto al cuore. Se amo, nessun diritto d'autore. L'arte degli indigenti non ha odore*. Sono l'indigeno, barbuto-mai-beccato**, truccato, incognito. Ci hai visto Tchi, ma chi mi ha visto? Senza vis(t)o*** cospiro tra equipaggio e co-piloti, questo pirata saccheggia tutto l'impero del nepotismo del copyright. Peggio, non ho nessun titolo, no, sono di Dee Nasty****, darling. Non siamo sul Who's Who, noi siamo stile Wu Ming. Faccio sogni da lottatore, se hanno paura i nostri nemici fanno il 113. Nessun mistero, si persiste, firmo: "Mister Luther Blissett". Vi consegna il suo manifesto, rime sibilline. Bibbia express... Spirito Wu Ming! Tchad Unpoe, brutto impostore stile Wu Ming. * Gioco di parole tra argent (denaro) e art d'indigents. ** Gioco di parole tra barbu ("barbuto", per estensione "integralista")e pas vu pas pris ("non visto, non beccato"). ***Gioco di parole tra sans visa (senza visto) e sans visage (senza volto). **** Dee Nasty: Daniel Bigault, uno dei più importanti rapper francesi. Ascolta Style Wu Ming (Signé Luther Blissett), mp3 a 192k, 1:47 Il sito ufficiale di Tchad Unpoe |
COSE CHE SUCCEDONO INTORNO A MANITUANA Ferve l'attività intorno a Manituana (che, tra le altre cose, è in finale al Premio Salgari 2008). A un anno spaccato dall'uscita in libreria, il flusso di omaggi, commenti, con/tributi e proposte tende a intensificarsi anziché a diminuire. Non avevamo mai visto intorno a un nostro libro una tale gemmazione, un simile investimento di energie creative. Va detto che nessun nostro libro precedente era stato scritto avendo in mente (vago e specifico al tempo stesso) un progetto trans-mediale, com'è invece accaduto a questo giro. Abbiamo messo on line nuovi contributi giunti dalla comunità dei lettori, e dietro l'angolo c'è molto, molto altro (prima dell'estate, creazione di due nuove sezioni tematiche sul sito; dopo l'estate, beh, è ancora troppo presto per parlarne). SENECA CANOE SONG. Nuova incursione nell' audioteca di Manituana dei Beans, Bacon & Gravy, che da trent'anni portano in giro per l'Italia la old time music americana. Il 6 febbraio 2008 abbiamo presentato il libro a Crema, su invito dell'infaticabile Paolo Gualandris, ospiti del Caffè letterario, a sua volta ospite di un night club in cui si accumulavano icone hollywodiane e detriti del kitsch d'ogni epoca. I BB&G hanno "sonorizzato" l'evento, esibendosi prima, durante e dopo i nostri sproloqui, in una scenografia da film di Lynch ( mancava soltanto lui). A detta di tutti i presenti ( nonché della stampa locale), serata di grande impatto. Che per noi è proseguita a casa di Paolo, fino alle ore piccole, tra chiacchiere e ruminazioni sui massimi sistemi. Tra i brani eseguiti dai Beans, anche un canto tradizionale Seneca. Siamo in pieno territorio mentale delle Sei Nazioni. ODIO VERO. "Notte fonda. Torno a casa reduce da un blitz della Guardia di Finanza dopo un nostro live. Accendo il computer, sfilo dalla tasca della camicia con la quale ho suonato il verbale redattomi dagli sbirri e, connesso al mio indirizzo di posta elettronica, trovo la grandiosa notizia che la band di scrittori Wu Ming dichiara di apprezzare Odio vero. Ho scritto il brano molto prima di leggere Manituana. Mi è uscito come un fiume in piena. L'elogio dell'odio come forma nobile di sopravvivenza in tempi ostili. Leggo Manituana, rimango folgorato, c'è lo sviluppo di tutti i concetti che nella canzone io posso solo accennare. Da allora quando canto, io sono il Mohawk che con la sua ascia di guerra frantuma il cranio al colono." LA BAMBOLA DI PEZZA DI MOLLY BRANT. Le illustrazioni, quelle ce le aspettavamo. I fumetti, quelli ce li aspettavamo. Video, fotografie etc. Perfetto. Ma... una bambola di stoffa? Fatta a mano apposta per noi? La... bambola di Molly Brant??! Il 22 febbraio 2008 eravamo a Ferrara, al Liceo Ariosto. Il nostro compito: discutere con gli studenti della Autobiografia di Malcolm X, che avevamo scelto come "libro galeotto", lettura fondamentale, lettura che ha cambiato le vite di alcuni di noi e può cambiare la vita di chiunque, se affrontata al momento giusto. Gli studenti avevano letto il libro, visto il film di Spike Lee, fatto ricerche in rete, preparato domande e interventi. L'incontro è stato molto bello. Dopodiché siamo andati a pranzo... ...e in quel frangente abbiamo ricevuto in dono una bambola... I MOHAWK COME I SERBI? Nel Livello 2, sezione "Diramazioni", un racconto lungo (o mini-romanzo) in tre capitoli, grand détour balcanico (!) a partire dalla seconda parte di Manituana. JET SET ROGER! Il 28 febbraio scorso abbiamo presentato Manituana in quel di Brescia, al Caffè letterario "Un mondo di carta". Per l'occasione si è scatenata la band di Jet Set Roger: il frontman in red jacket imperiale XVIII° siècle, il tamburino conciato da guerriero irochese (alla fine del set si è auto-scalpato, sangue dappertutto!)... Ecco alcune foto dell'evento, cliccare per ingrandirle. N.B. A margine della serata, WM4 e WM5 sono stati scambiati per potenziali assassini. Vogliamo scommettere che a Moccia o Carofiglio queste cose non succedono? ALTRI INDIANI DI CASA NOSTRA. Ieri sono stato al Palazzo Reale di Milano a vedere la mostra sulle illustrazioni della Domenica del Corriere, e ho istantaneamente deciso di scrivervi quando ho visto una delle prime copertine del periodo "a colori" di Walter Molino (1956, se non ricordo male...) riportare col solito piglio fascistissimo, la notizia di gruppi di ragazzi che, invasati dalla lettura dei "fumetti" (le virgolette sono loro, non mie...) assalivano i treni dopo essersi bardati da indiani e venivano respinti dai ferrovieri a colpi di vapore... Purtroppo stupidamente non mi sono preso appunti e non ricordo niente di più - tra l'altro il catalogo era esaurito, dunque anche volendo non posso darvi ulteriori informazioni - ma diciamo che ritrovarmi qualche parente dei personaggi di 54 dentro ad uno dei prossimi Manituana mi sembrerebbe un colpo di un certo peso :D Nel caso, esaudite il mio sogno di adolescente e mettetemi nei credits - anche se non siete una rock band diciamo che mi posso accontentare ;) Michele aka Harlock aka Frost fumetti.wordpress.com [WM2:] Da una breve ricerca su Internet risulta essere il numero 36, del 2 settembre, anno 1956, intitolato "Pellerossa di casa nostra". In rete non ci sono immagini, ma di sicuro a Milano qualche biblioteca tiene la collezione della Domenica del Corriere. Magari se riesci a ripescarla e a fotografarla, nei credits ci finisci davvero :-) [Michele:] Non so se vale, ma la rete ha già fatto tutto il lavoro (grazie alla mia bella che è inciampata in questo sito). Così direi che la copertina la diamo per fotografata... FATTO! ;) |
RISPOSTE ALL'EDITORIALE "LIBERARSI DELLA MENTALITÀ DEL GHETTO" THE BOILING FROG. Ho molto apprezzato la vostra analisi del "ghetto" con riferimento alla situazione italiana. Mi trovo sostanzialmente d'accordo, e vorrei condividere con voi solo alcune note/pensieri: * La situazione dei "brain drain" non può essere circoscritta alla sola università. Conosco persone che se ne sono andate dall'Italia - persone brillanti e validissime - per lavorare, per sposarsi con qualcuno (perché all'estero anche quello viene meglio), per avere delle opportunità. Quindi non solo in ambito universitario. Io stessa - chissà se brillante e validissima - mi trovo all'estero, e non lavoro nell'università. Devo tornare in Italia, ma farò di tutto per andarmene di nuovo. L'Italia sembra morta. * Sul paragone finale tra l'italia e i due coniugi di Erba... non so se è una coincidenza, o magari è stato uno spunto, ad ogni modo proprio stamattina ho letto un'intervista a Vittorino Andreoli su Oggi (settimana del 13 Febbraio 08). Certo "Oggi" non è un'ottima referenza, ma me l'hanno portato in regalo dall'Italia e a certi guilty pleasures è quasi impossibile resistere. Ad ogni modo, Andreoli dice: "Siamo in presenza di persone con povertà di pensiero, e anche affettiva, perché l'affetto è solo tra loro, gli altri non esistono. Poi c'è una forma di anestesia morale. Per coppie così non esiste ciò che è bene e ciò che è male. È male quel che ostacola la simbiosi, è bene ciò che la facilita". E ancora "Qui a scatenare l'odio è il rifiuto ossessivo verso un modo di vivere, quello dei vicini, che è altro da sé, diverso, minaccioso per il personale equilibrio. I conigui di Erba si sono sentiti come invasi da chi voleva espropriarli dalle loro cose, loro che avevano fatto il mututo, fatto sacrifici, e avevano soltanto quello, il nido, la casa. Era la loro identità sociale". * Sull'assuefazione al ghetto e alla stagnazione, l'altro paragone che sento spesso fare rispetto all'Italia è quello dell'esperimento della rana (o "boiling frog" per dirla - giustamente - all'inglese): The boiling frog story states that a frog can be boiled alive if the water is heated slowly enough — it is said that if a frog is placed in boiling water, it will jump out, but if it is placed in cold water that is slowly heated, it will never jump out. * Infine, sulla conoscenza e la pratica delle lingue straniere, c'è una sorta di "campagna" che Vittorio Zucconi sta protando avanti con i lettori che seguono la sua rubrica ("Lettere al Direttore") su Repubblica.it contro il doppiaggio dei film in Italia e a favore dei film in lingua originale con i sottotitoli. Incredibile vedere quanti lettori - rane che sguazzano nell'acqua che si sta riscaldando - reclamano la sensatezza del doppiaggio, con splendide quanto incredibili motivazioni. Penso che battersi per questa novità in Italia sarebbe un buon inizio e una buona pratica di "resistenza" alla ghettizzazione culturale. [Marta, 13/02/2008] IO SONO UN CERVELLO FUGGITO. Leggendo l'ultimo numero di Giap mi sono sentito chiamato in causa. Vi rispondo solo ora perché le ultime settimane sono state un tantino movimentate. Giap #20 l'ho letto mentre ero ancora seduto alla mia scrivania del Dipartimento di Ingegneria e avevo appena finito di riguardare la mia tesi di dottorato. Ora invece vi rispondo da Parigi, portatile sulle ginocchia, seduto di fronte alla finestra dello studio (mi raccomando l'accento sulla o) di un amico che mi permette (la finestra, non l'amico) di vedere la Tour Eiffel che "sbarluccica" regolarmente ogni ora. Non sono qui in vacanza per festeggiare la fine del dottorato. Sono qui perché domattina inizio il mio nuovo lavoro come ingegnere ricercatore in un centro di ricerca da paura. E, in particolare, sono a casa di un amico perché trovare alloggio a Parigi è più complicato del previsto. Dicevo, mi sono sentito chiamato in causa. Io sono un cervello in fuga. Anzi, fuggito! Il motivo per cui vi scrivo non è che spero di ricevere un imboccallupo dai miei scrittori preferiti per il mio nuovo meraviglioso lavoro. O meglio, non è questo quello principale. La verità è che leggendo l'editoriale di WM1 mi sono chiesto: "come faccio a creare un circolo virtuoso?" Quando ero in Italia (mi piace parlarne come se si trattasse della mia infanzia, anche se in realtà parlo di 10 giorni fa) mi sembrava di vivere attaccato a un respiratore artificiale mezzo rotto (il web) che ogni tanto riusciva a gonfiarmi i polmoni con una boccata d'aria fresca (articoli su Carmilla, consigli di lettura, Giap...) evitando il dramma. Ma cristo, non potevo mica andare avanti così per l'eternità. E comunque non ho un rapporto molto interattivo con la rete. Internet la uso a senso unico, non ho mai prodotto nulla. Leggo in silenzio e mi incazzo. Punto. Questo quando ero lì. Adesso da qua, a maggior ragione, mi chiedo come posso riuscire a dare un contributo di qualunque tipo ai poveracci che sono rimasti nella terra dei cachi. Questo non significa che io voglia darlo questo contributo. Perché è vero che da un lato mi sento in debito, che lo Stato ha investito per la mia formazione e che ho un accentuato senso del dovere. Ma d'altra parte mi ci hanno costretto a venire qui. Se stavo dov'ero mi ci pulivo il sedere col mio dottorato, e tutte le cose che so fare le avrei dimenticate friggendo patatine da McDonald's. Ma la curiosità sulle modalità con cui potrei dare questo contributo rimane. Quindi se avete tempo e voglia sono in attesa di suggerimenti. [Max, 02/03/2008] [WM1:] Beh, intanto io credo si debba impostarla in questo modo: il "circolo virtuoso" da creare non è con la terra dei cachi, ma coi tuoi amici che rimangono in Italia e con cui resti in contatto. Con la gente che fa del proprio meglio per resistere al clima soffocante che c'è qui. Ogni volta che leggo l'espressione "cervelli in fuga" mi viene in mente George Jackson delle Pantere nere: "Fuggirò, ma durante la fuga cercherò un'arma". Bisogna vedere la fuga all'estero non solo come opportunità individuale, ma come possibilità di creare ponti tra i due paesi. Chiaramente io non ti posso dare consigli precisi, perché non so quali reti sociali e amicali tu avessi/abbia ancora in Italia, né so quali reti ti creerai a Parigi. Se in Italia facevi/fai parte di un'associazione di qualunque tipo (volontariato, cultura, Pro loco, sindacato, donatori del sangue, qualunque cosa), quando ti sarai assestato prova a spremerti le meningi per capire come la tua presenza in Francia possa essere un "valore aggiunto". E anche nell'altro senso: fai conoscere in Francia quel che vale la pena far conoscere dell'Italia altra, quella non provinciale né tribale. Dopodiché, possiamo anche parlarne a voce, se ti va: noi siamo a Parigi a fine aprile per presentare New Thing e Guerre aux humains. SOTTO IL TAPPETO. Sul blog L'isola dei lotofagi, un caso di serendipità a partire da Giap#20. Grazie a Fabio per la segnalazione. TALPE. "In allegato un racconto che ho scritto come feedback all'intervento di WM1 sul liberarsi della mentalità del ghetto. Ciao, Fernando." [Cliccando si apre il PDF] L'INFERNO DEI VIVENTI. Erique ci rammenta questo passaggio di Le città invisibili di Italo Calvino: L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce fatale a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio. |
DUE SEGNALAZIONI THE DISNEY TRAP 2: NON PAGHI DI LEGGERE. Un mese fa vi abbiamo dato notizia del prolungato exploit di The Disney Trap, video realizzato da Monica Mazzitelli. A tutt'oggi, su YouTube risulta visto un milione e settecentoventitremilasessantasei volte. Un milione e settecentoventitremilasessantasei volte. Bene, Monica ne ha appena realizzato il seguito e lo trovate qui o potete vederlo (piccolo) qui a fianco. Questo non è in inglese coi sottotitoli, ma in italiano. Se il bersaglio polemico del primo atto erano i tentativi di rendere eterno il copyright spostandone sempre più avanti la scadenza a norma di legge, questo se la prende con la direttiva UE che obbliga gli stati membri a far sganciare un obolo per i prestiti bibliotecari, snaturando il ruolo che le biblioteche hanno sempre avuto. Ci siamo occupati più volte di questo giro di vite, e da anni inseriamo in ogni nostro libro una netta presa di posizione contro il prestito a pagamento. Monica ci ha messo più fantasia: il pezzo forte del nuovo video è un cartoon in cui a discutere animatamente del problema sono i libri stessi, tra cui una copia di 54 che ha il volto di Cary Grant e la voce del "nostro" Fabrizio Pagella - e non è l'unica voce nota... UNITED WE STAND. Ci siamo accorti che, criminalmente, non abbiamo ancora segnalato su Giap uno dei più interessanti progetti di narrazione collettiva e transmediale in corso sul web italiano. Siamo delle teste di cazzo! Bene, c'è questa graphic novel scritta a puntate che prende il titolo da una beffa dei nostri cugini Franko & Eva Mattes. United We Stand "racconta la storia del primo Colpo di Stato militare nella storia del nostro paese, che avrà luogo il 12 aprile 2013, un minuto dopo la vittoria democratica delle sinistre". Si tratta più che mai di fantasy, poiché non si vede all'orizzonte né l'avvento di siffatte "sinistre" (a parte l'aggettivo) né tantomeno una loro vittoria. Da quel che si capisce, UWS si svolge in una dimensione parallela alla nostra, anzi, divergente: gli antefatti sono nella nostra storia nazionale com'è raccontata nel romanzo Confine di stato di Simone Sarasso, dopodiché si parte per la tangente. Settimana dopo settimana, le puntate andranno a formare sei volumi. Il primo esiste già e si può comprare su lulu.com. Il mondo di UWS si fa sempre più ricco e complesso, da poche settimane sul sito c'è anche una sorta di "Livello 2" chiamato World War III, dove si trovano contributi, spin-off e ramificazioni della storia. Si tratta di un progetto pienamente in sintonia col nostro mondo e modus operandi, e va avanti da più di un anno. Se non l'abbiamo segnalato prima è perché quest'ultimo più-di-un-anno, per noialtri, è stato bello convulso (e ancora si convelle, come avete ben visto). Questa però non è una scusante, si fa prima a dire che siamo teste di cazzo. Ora su quelle teste cospargiamo un po' di cenere. |