APOLOGO
di Wu Ming 5
La mattina della domenica del referendum ho accompagnato una persona cara al seggio elettorale di Via Bellombra, San Mamolo. Il quartiere è addossato alla collina: è un posto di ricchi. Non solo notabili, le famiglie tradizionalmente potenti, ma anche nuovi arrivati. La zona, infatti, è una sorta di Beverly Hills in sedicesimo: la sobrietà non ha luogo, anche se i più raffinati tra gli indigeni hanno ben chiaro il concetto di understatement. L'escrementizio, il decadente, il parassitario -il male, direbbe un pauperista, un moralista, un comunista d'altri tempi- cementano mattoni e laterizi e conferiscono ai luoghi una qualità emozionale insopportabilmente bolognese, della peggior Bologna anni '80, intendo: Zanarini, Galleria Cavour, San Luigi...
Ogni luogo della città ha un suo tempo d'elezione, del resto. Così come la Barca sogna un tempo a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, un tempo utopico violentato dalla triste necessità storica della distopia, del malessere, della ghettizzazione (un gruppo inglese relativamente noto quando ero giovane, gli Scritti Politti, parlavano spesso di Bologna e del quartiere Barca, 'un posto dove i bambini potevano andare all'asilo senza attraversare mai la strada'), San Mamolo sogna un tempo in cui le lacerazioni degli ultimi decenni non si sono prodotte, dove il feticismo dello status, più che della merce, e l'attitudine snobistica (e perciò volgare) connessa credono di poter arginare il caos. Vengono in mente rituali insensati, vacanze esotiche, codici comportamentali, gerghi, addirittura connotazioni fisiche, volti e andature precisi. Quartieri come quello hanno una peculiare antropologia.
Le case, gli alberi, le strade sembravano sospesi in una bolla calda. Delirio di immobilità, come se il sole rimanesse perpetuamente inchiodato allo Zenith. La temperatura conferiva alle cose una qualità cristallina, atemporale, come se San Mamolo stesse al di fuori, appena di lato alle coordinate della topografia mentale ed emotiva che utilizziamo per riconoscere le vie e i luoghi della città in cui viviamo. La stasi aveva cancellato la caratteristica che ho chiamato "anni '80", produzione collettiva delle menti e dello stile di vita degli abitanti, e aveva reso il luogo ancora più simile a un simulacro.
"Nell'attimo che precede l'attacco epilettico", dice Myshkin ne L'Idiota "mi si fa comprensibile il senso di questa strana espressione: non ci sarà più tempo."
La stasi annulla il tempo. Il sole rimane inchiodato nel punto più alto della corsa celeste. E se fossimo nell'imminenza di una crisi epilettica sociale?
Chissà come inciderà il clima tropicale che avvolgerà le nostre latitudini sulla qualità dei luoghi: certo la Bologna Alta assorta in quello strano incubo meridiano sembrava un pezzo di qualche città mediterranea, un quartiere bene di Nizza (improvvisamente mi pare di capire alcuni dei processi mentali di Enrico Brizzi in Bastogne - forse il libro è stato concepito d'estate, un'estate insopportabilmente calda), di Granata, di Cagliari.
Cambieranno le abitudini. Forse non sarà più possibile vivere trincerati. Nemmeno i condizionatori d'aria varranno: la rete elettrica privatizzata e dissestata originerà black out, un intero stile di vita andrà ridefinito. In pochi anni, è come se le città fossero scese verso l'equatore di qualche grado. Il Sud è qui, non solo nella disperazione e nell'operosità degli immigrati, ma anche nel clima, nell'aria, nella qualità delle ore.
Via Bellombra. La scuola elementare in cui si aprivano i seggi era ancora inequivocabilmente bolognese, però. Evocava tutte le "buone amministrazioni" del passato, l'efficienza emiliana, la scarna prole dei ricchi che acquisisce i primi elementi per porre in ordine il mondo.
All'uscita del seggio, la votante si prende il capo tra le mani. Oddìo, scherza, sto diventando comunista. I miei mi diseredano.
La presa di coscienza del resto è possibile: se il processo ha avuto luogo nella mia testa, può aver luogo in qualunque testa, e negli ultimi giorni ho avuto la netta impressione che il gioco mostrasse la corda in maniera troppo evidente. Ho sentito dire da gente insospettabile che sarebbe andata a votare. Ho letto che anche Cossiga voterà sì.
Mah.
Certo gran parte di chi ha votato lo ha fatto per motivazioni tutte politiche. Tra apparatcik, burocrati, chiesaioli di sinistra e mafiosi, leghisti e fascisti la scelta è pressoché obbligata, o almeno così a noi sembra. Metà della popolazione italiana vede le cose con altri occhi. Questo paese è diviso da un solco profondo.
Ma un motivo semplice, di carattere morale ed esistenziale, prepolitico, forse, per andare a votare era quello di immaginare attorno a sé un tessuto sociale un po' meno devastato, abitato da uomini e donne un po' meno ricattabili, meno profondamente avvelenati. La maggior parte delle persone non vive in San Mamolo. La maggior parte delle persone è carne da macello. Io per primo, in quanto lavoratore assai atipico. Ma più diritti per qualcuno non significa che i miei (inesistenti) siano in qualche modo lesi.
Godrò almeno della ricaduta sull'umore del corpo sociale.
Sono felice di avere quella persona da questa parte del solco, allora, felice che il mondo che vede scorrere si faccia comprendere in modo da risuonare con la mia visione e quella dei miei compagni. Non è colpa nostra se anche Cossiga voterà sì: sono felice che con questo voto qualcuno a me caro abbia dato un calcio definitivo alle pastoie - a quelle che io considero tali - che la legavano al luogo di ricchi in cui le è stato dato in sorte vivere.
Scendiamo sulla vecchia Volvo verso la Bologna di pianura. Facciamo progetti per il futuro. La realtà sembra un luogo meno triste e oppressivo. Siamo parte di una comunità, parte di un processo. Siamo immersi in un flusso sempre cangiante che passa il testimone da una generazione all'altra. Possiamo farcela, ci diciamo. I risultati si conosceranno domani, nel tardo pomeriggio.
Intanto, l'aria scotta.
"[...] La voce 'Guerrilla', scritta da T.E. Lawrence per l'Encyclopaedia Britannica nel 1929, è disponibile in traduzione italiana negli 'Euro' di Stampa Alternativa. Un libretto dal prezzo più che esiguo, poco più di un caffè, eppure non circola quanto dovrebbe.
Del resto, gli scritti di Guevara o di Vo Nguyen Giap sulla guerra di guerriglia sono in fondo al dimenticatoio, come l'apologo della tigre e dell'elefante di Ho Chi Mihn. L'arte della guerra di Sunzi è citato da molti, sovente a sproposito. Sconosciuti risultano Il libro dei cinque anelli di Musashi Miyamoto o Le Trentasei Strategie di Anonimo cinese.
L'ottava strategia dice di 'attraversare il passo al buio'. Nella spiegazione di Thomas Cleary: 'Stabilisci un falso fronte, poi penetra nel territorio nemico da altre direzioni'. La quattordicesima strategia dice di 'fare uso di un cadavere per evocare uno spirito'. Ancora Cleary: 'Non usare ciò che usano tutti, ma ciò che nessuno usa.' Sarebbe a dire: non usare un'opzione abusata e sputtanata e sclerotizzata.
Senza andare troppo lontano, molte testimonianze scritte sulla guerra partigiana che si celebra tutti i 25 d'aprile contengono precise istruzioni su come non cadere nella trappola clausewitziana del 'contarsi' in vista della battaglia campale, dell'urto frontale risolutore.
Riluttanti, tocca combattere in campo aperto, cercando con le code degli occhi vie di fuga ('la fuga non è una sconfitta'), mentre generali allucinati sognano le Termopili. Cercare vie di fuga, daga alla mano, recitando come un mantra la strategia 35, 'inganno dei cerchi concentrici': quando affronti un nemico potente, non concentrare tutte le risorse su una sola linea strategica: mantieni contemporaneamente diversi piani d'azione in uno schema generale.
Diversi piani d'azione. Il mondo continua a esistere, oltre i lembi della battaglia campale, oltre la gola dove qualcuno vorrebbe bloccare i Persiani (che intanto - loro sì - applicano l'ottava strategia).
La vita è altrove, e la lotta anche. Come diceva qualcuno: la comunità umana è il nostro ghetto di riferimento [...] " (WM1)
"Pirateria": la repressione non servirà a niente - di Wu Ming 1
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/pirateria.html
Varie novità in diverse lingue su wumingfoundation.com:
ITALIANOCirca il trattamento riservato su Giap! al libro Oltre il Novecento di Marco Revelli:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/rassegna/cartagiap.html***
INGLESE
"Il ritorno del post-modernismo proletario 2"
Un saggio dello scrittore inglese Stewart Home su Q e la dialettica.
http://www.wumingfoundation.com/italiano/rassegna/stewart_home_on_Q.html***
SPAGNOLO
Traduzione di "Le vie dei canti d'Europa" (WM4) ed "Erebu" (WM2):
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/Giap_europa.html54: "solo" un romanzo d'avventura
http://www.wumingfoundation.com/italiano/rassegna/54_acpmadrid.html***
Prossimamente su wumingfoundation.com - in italiano, portoghese e inglese - un'intervista incrociata tra Wu Ming e il collettivo brasiliano Re:combo, col quale abbiamo molto in comune (benché loro si occupino di musica anziché di letteratura).
Calendario aggiornato presentazioni di Giap!
Seconda metà di giugno / prima metà di luglio
19 GIUGNO - Bologna
h. 18:30 libreria "Mel Bookstore",
via Rizzoli, 18
tel. 051.220310
melbologna@melbookstore.it20 GIUGNO - Mestrino (PD)
Biblioteca comunale,
Piazza 4 Novembre 30
tel. 049/9003357
mestrino.biblioteca@libero.itsempre 20 GIUGNO - Dozza Imolese (BO)
h.20:30, cortile della Rocca sforzesca
nell'ambito della rassegna "In libris"22 GIUGNO - Verona
h. 21:30, circolo ARCI Malacarne
via S.Vitale 14
tel. 045-8015203
sonicbenny@yahoo.com27 GIUGNO - Mendrisio (Svizzera)
Spazio culturale autogestito "La Colonia"
lemox@ticino.com2 LUGLIO - Bussoleno (TO)
h. 21, Libreria "La citta' del sole"
via Walter Fontan 4
tel. 0122/640117
libreriacittadelsole@hotmail.com5 LUGLIO - Fregona (TV)
h.21, Circolo Enrico Nadal
Viale S. Martino 3
circoloenriconadal@aruba.it11 LUGLIO - Casalecchio di Reno (BO)
Festa de l'Unità
fam.Micele@libero.it16 LUGLIO - Parma
h.21, Caffè letterario "Serre Petitot", Parco Ducale
(rassegna "Biblioteca nomade" a cura di Beppe Sebaste)
tel. 380/3597250
Oltre ai vari progetti "comunitari" avviati o stimolati in Italia (il Romanzo Totale 2002 e poi Kai Zen, "La ballata del Corazza", I Quindici etc.), ora ne esiste anche uno spagnolo: una narrazione collettiva sulla "Marea Negra" in Galizia, sulla catastrofe ecologica della petroliera "Prestige", sui volontari che subito dopo la tragedia si sono organizzati per ripulire quella costa... Wu Ming ha invitato il gruppo "Tronco de Senegal" (il cui nome deriva dalla ridicola spiegazione ufficiale sulla falla della petroliera) a scrivere il primo capitolo, che altri proseguiranno con regole simili a quelle già sperimentate per Ti chiamerò Russell. Il sito clubcultura.com della catena di librerie FNAC ha riservato un'intera sezione all'esperimento. Lì si può leggere il capitolo (e decidere di proseguirlo), accedere a una galleria di immagini sulla Marea Negra etc.
http://www.clubcultura.com/clubliteratura/wuming/intro.htm
[con riferimento a un messaggio spedito ai giapsters il 6 giugno 2003, contenente la frase: "Giap non è una lista di quel genere: con quattromila iscritti, se tutti ricevessero tutto e cominciassero a discutere tra loro, nella migliore delle ipotesi la lista diverrebbe inutilizzabile [...]; nella peggiore, collasserebbe (in tutti i sensi) quasi immediatamente."]<<Ma insomma... Di che state parlando? 4.000 è un numerello... Non tutti scrivono... Le discussioni funzionano benissimo.
Diciamocelo .. non vi interessa il dialogo. Ma perlomeno risparmiatevi di addurre inesistenti ragioni di tipo tecnico.>>
V.M., 6 giugno 2003.
[WM1:]Senza mailing list, noi WM riceviamo già 100 e-mail al giorno.
Senza il nostro "filtro", mettiamo che soltanto il 25% degli iscritti a Giap decidesse di rispondere a un ottavo di quelle e-mail,: avremmo comunque oltre dodicimila messaggi al giorno. Gli iscritti ci manderebbero a cagare.
Chiaramente, per quell'ipotetico giorno, il dato andrebbe moltiplicato per 4000, col risultato di cinquanta milioni di messaggi, ecco perché quell'ipotetico giorno anche il server ci manderebbe a cagare (l'Amministratore è iscritto a Giap e se vuole può confermare o smentire).
Più in generale: noi abbiamo voluto fare una e-zine anziché un listserv per una ragione precisa. Quando si sono diffuse le utopie dell'open publishing totale, in tutta Italia a usare le reti informatiche eravamo qualche migliaio, una piccola comunità, oggi siamo diversi milioni. Il "rumore di fondo" aumenta e gli spazi lasciati a se stessi rischiano di scoppiare come i Poliploidi di certi racconti di Evangelisti: "Un attimo dopo, il corpo di un secondo Poliploide fu squassato da un'espolosione oscena, e vomitò dalla ferita rotoli di cellule abnormi, spandendo intorno liquidi sierosi. Fu poi la volta di un terzo e di un quarto, mentre l'urlo collettivo raggiungeva un'intensità insostenbile. Nel giro di pochi istanti tutti i Poliploidi scaricarono sul terreno gli organi deformi di cui erano gonfi, mentre un fiume di sangue colava schiumoso verso le baracche, riflettendo in rosso il cielo color bitume" (da "O Gorica tu sia maledetta").
Se Giap funziona è perché ci prendiamo noi la responsabilità di sbatterci e selezionare il materiale, non è una mailing list che in nome di una facile apologia della "orizzontalità" si espone a ogni sorta di provocazioni, soccombe allo spam e riproduce miseria, rancore, inutilità e anzi nocività.
Giap non avrebbe mai superato i cento iscritti se non ci fosse un lavoro redazionale. La gente si iscrive per ricevere ogni tanto un numero della newsletter, con un indice intellegibile, con contributi nostri o altrui, con botte e risposte che abbiano un capo e una coda. Non si iscrive per essere sommersa da migliaia di messaggi.
Quale rivista al mondo pubblica tutto ciò che riceve? Il redattore non è un censore, ma un "facilitatore", un riduttore di complessità, e un garante della qualità del dibattito, oltreché uno che blocca lo spam e filtra il "rumore".
C'è un vecchio pregiudizio dell'anarchismo, duro a morire benché smentito da tutti gli studi di etologia e antropologia, cioè il fatto che l'essere umano sia "buono" "di natura" e che la sua comunicazione sia bloccata dalla repressione e dalla convenzioni sociali, e che possa riconquistare tale bontà abolendo il piu' possibile le forme canonizzate, le cariche e i rituali, insomma i "filtri", per ottenere una "buona" comunicazione.
E invece le società primitive - come quelle di ogni periodo storico - erano interamente basate su forme, cariche e rituali, insomma filtri, perché è un modo di incanalare pulsioni e aggressività, e mettere le energie al servizio del bene comune e della qualità della comunicazione.
Ecco, se non ci fossimo preoccupati di salvaguardare la qualità, Giap non esisterebbe.
[prosegue la discussione su maschile/femminile, cfr. Giap 6, IVa serie:]
<<Belle le considerazioni di Monica, sono d'accordo su tutto, ma credo che vivere la differenza come ricchezza e praticare la comprensione reciproca (atteggiamento che, peraltro, personalmente ho in modo naturale e senza eccessivi sforzi nel privato soprattutto con i coetanei) non sia sufficiente per affrontare il problema del linguaggio e della mitopoiesi. Mi riferisco in particolare alla politica e cito un breve passo di un articolo che mi è interessato molto di Bia Sarasini sul primo numero di Global Magazine: "Le ragazze, sia pure con fatica, sanno come comportarsi nell'agone del mondo del lavoro, la donna che lavora ha modelli e narrazioni, vittime e eroine in cui identificarsi. Non nella politica. Neppure la politica alternativa del movimento". La Sarasini in questo articolo dal titolo "La voce assente delle donne" si riferisce al social forum di Firenze e sostiene che "se il numero di donne nel forum non aveva niente da invidiare a quello degli uomini, lo stesso non si può dire del rapporto tra gli interventi tra uomini e donne. Molti i tavoli di presidenza esclusivamente maschili, e si sono contati decine di interventi dalla sala tutti maschili". Siccome mi interessa il risultato collettivo, dopo Firenze ero talmente entusiasta che non ho certo pensato a quello che poi ha scritto la Sarasini. Ma il fatto esiste.
Visto che nel movimento ci siamo, perché abbiamo voce più flebile? Perché emerge una voce sola? Non siamo interessate perché facciamo politica in un altro modo (quante volte diciamo a me di fare un intervento-tanto-per-farlo non interessa. non me ne frega niente di contendere il microfono a nessuno.)
O c'è un serio problema di linguaggio?
Se è vero che le storie, come sostiene Wu Ming 4 nell'intervista a Fernandez-Savater su mitopoiesi e azione politica, sono il carburante ecologico della comunità in cammino e non bisogna mai smettere di raccontare storie del passato, presente e futuro, sicuramente è un problema il fatto che queste storie sono raccontate quasi esclusivamente al maschile.
Come se ne esce? Sono d'accordo con Monica: sicuramente non recuperando un rapporto conflittuale tra uomo e donna e neanche reintroducendo la pratica della separatezza. Probabilmente spetta alla nostra generazione inventarsi un nuovo linguaggio.
Da dove partire? Banalizzando al massimo e prendendo come esempio l'Odissea, credo che nessuno di noi sia interessato a trovarsi di fronte a questo bivio valorizzare il prezioso lavoro quotidiano di Penelope ("che noia questa donna che per anni tesse, scuce e tiene a bada i Proci, mentre lui è in giro per il mondo a vivere avventure!") o inventare un Ulisse al femminile (rischiando l'omologazione al maschile). Forse nuove storie e un nuovo linguaggio potrebbero mettere da parte qualche stereotipo e parlare di più di noi e delle nostre vite che spesso sono molto più ricche e avventurose delle storie che leggiamo.
So di aver posto più domande che risposte e soprattutto di aver sovrapposto piani che forse sarebbe bene tenere separati... ma non è facile e, comunque, me ne scuso :-)
Ciao,Chiara, 10 giugno 2003>>
[WM4:]
Le questioni che sollevi non fanno una grinza, anch'io mi sono ritrovato a rifletterci sopra in questi anni. Sono questioni squisitamente "politiche" a cui aggiungerei un ulteriore elemento di riflessione. Questo movimento è, più di tanti che l'hanno preceduto, declinato al femminile e quindi il paradosso che tu segnali risalta ancor di più. Non solo molti dei personaggi che influenzano il movimento e offrono ad esso degli spunti di riflessione sono donne (da Susan George a Vandana Shiva, da Rigoberta Menchú a Naomi Klein), ma soprattutto perché sembra aver introiettato temi che proprio il pensiero "al femminile" ha avuto il merito di portare alla ribalta nel corso dell'ultimo quarto di secolo. La questione del biopotere, la critica ecologista meno dozzinale e più intelligente, il discorso sulla qualità della vita e non solo del lavoro, l'orizzontalità e la connessione delle comunità operose contro una logica veticale all'interno delle strutture e contro l'idea dell'assalto al potere. Forse anche l'idea stessa della disobbedienza civile. Tutto questo a mio avviso ha più a che vedere con gli aspetti "femminili" della nostra concezione del mondo (indipendentemente dal sesso di chi li perpetra) che con quelli "virili". Eppure nei momenti pubblici del movimento, negli ambiti assembleari, le voci maschili continuano a prevalere indiscriminatamente. E' una cosa che anche i più sperticati ammiratori stranieri del movimento italiano tendono a far notare spesso.
Nemmeno io ho grandi risposte, solo presentimenti, perplessità, suggestioni. Ne sollevo almeno tre.
1) A fronte di una "femminilizzazione" delle pratiche e dei contenuti, le dinamiche interne di movimento necessitano ancora di un grosso svecchiamento. Ad esempio ho l'impressione che molte delle assemblee a cui ho assistito negli ultimi tre anni rispondessero a una logica di fronteggiamento, di spostamento di equilibri politici interni, di cooptazione, di posa, piuttosto che di compenetrazione, confronto, riflessione collettiva su temi e pratiche. Troppe assemblee allargate di movimento continuano a essere preparate da decine di assemblee ristrette, in cui si decidono tattiche, retoriche, posizionamenti, si contano i "voti", ecc. come si trattasse di andare in Parlamento. Questo trasforma le assemblee allargate in passerelle, in occasioni per marcare posizioni, per ribadire la propria presenza, per non tacere sempre e comunque (anche quando non si ha un cazzo da dire). Definirei tutto questo un "misurarsi l'uccello" a vicenda e - come si evince dalla scelta della metafora stessa - trovo inevitabile che le donne non siano interessate a cimentarsi in un agone del genere.
2) Al contrario, nei livelli organizzativi, fattivi, pratici, del movimento, le donne non mancano, e spesso hanno un ruolo indispensabile. Detto questo sono ben lungi dal dire, come ho sentito fare ad alcune compagne, che esiste una specificità femminile che rende le donne più adatte a certe situazioni e meno ad altre. La trovo una logica conservatrice e consolatrice.
3) Alla luce di quanto detto, però, non credo nemmeno sia utile imputare alle donne di non sbattersi per scardinare certi meccanismi. Mi sembra che disertarli sia già una dimostrazione di sfiducia, senza bisogno di "separatismi" retró e senza per questo disertare il movimento stesso. Casomai il problema è che gli uomini fanno fatica a leggerla questa diserzione, troppo impegnati a lavorare di righello, appunto.
Tu poni l'accento sulla ricerca dei linguaggi giusti per superare in avanti questa situazione (citando me, per altro, e quindi mi sento chiamato in causa). E dici anche che il bivio Ulisse/Penelope è ben poco stimolante. Io però credo che le storie, i bivi e i miti possano essere sempre raccontati di nuovo e secondo nuove sfaccettature. Penso ad esempio al lavoro magistrale che Michel Rio ha fatto sul ciclo della Tavola Rotonda, e soprattutto sul personaggio di Morgana, stravolgendolo completamente (M. Rio, Merlino, Instar Libri, Torino 1994; Morgana, 1998; Artù, 2002). Ma anche - tanto per citare un esempio celeberrimo - a quello che la Wolf ha fatto con l'Iliade e con il personaggio di Cassandra.
Insomma è possibile una mitopoiesi al femminile? Io penso che gli elementi non manchino. Chi l'ha detto che Penelope debba restarsene per sempre al telaio a fare resistenza passiva? Mi viene in mente un esempio recente, narrativo, che ho apprezzato molto: il racconto di Lidia Ravera sulla morte di Giorgiana Masi nell'antologia che è uscita con Il Manifesto, l'Unità, Carta e Liberazione. Quello è un racconto tutto al femminile e molto "intimo" (mi si passi il termine), che secondo me riesce, meglio degli altri, a trasmettere senso, forza, emozione, evitando il memorismo testimoniale in favore di una dimensione mitopoietica. Forse è un caso che sia riuscito alla Ravera e non sia riuscito invece ad altri suoi colleghi uomini nella stessa antologia, ma tant'è.
Sono invece prudente sulla faccenda di parlare delle nostre vite "avventurose". I miti, a mio avviso, parlano sempre delle nostre vite, non vedo le due cose contrapposte. Le storie che raccontiamo traggono spunto e allo stesso tempo riverberano in quello che facciamo. Questo certo non significa che le storie debbano esse per forza roboanti, adrenaliniche, avventurose. Possono anche partire dal "sé". Ma non tanto da un sé separato - né come individuo né come genere o generazione -, quanto da un sé comunitario, particolare in quanto interrelato e intrecciato alle comunità in cammino.
Continuiamo a pensarci su.
[con riferimento al botta-e-risposta sul Black Bloc, sempre Giap n.6, Iv serie:]<<A proposito della strategia del Black Bloc (perdonate lo schematismo, mi aiuta ad essere piu' chiaro ed essenziale):
1) Una puntualizzazione importante: "categorie filosofiche" NON è equivalente a "categorie astratte", e non è una mia mera petizione pro domo: la filosofia ha un suo impianto categoriale non necessariamente astratto (esiste una lunga tradizione materialistica e immanentistica, da Lucrezio e Deleuze), e i suoi strumenti possono essere molto utili se non sono disgiunti dal concreto corpo sociale. Ad esempio, insegna a non cadere nell'abbaglio dell'oggettività del rapporto causa-effetto, ovvero teoria-prassi: valutare una prassi sulla scorta della cogenza teorica è, questa sì, astrattezza. Che all'interno del BB ci siano compagni che hanno una chiara coscienza critica della mercificazione e delle sue forme è senz'altro vero, così come lo era a proposito di alcuni compagni degli anni Settanta; che la loro prassi sia all'altezza della loro elaborazione teorica, o della loro presa di coscienza, o dei loro vissuti antagonistici, è altrettanto innegabilmente opinabile, e chi era a Genova lo sa per esperienza diretta.
2) (Nondimeno, attenzione a non glorificare troppo l'esperienza genovese, a non ritrovarci un giorno a mostrare le stigmate di quelle giornate: chi ha qualche anno di esperienza ha dovuto lottare anche contro i detentori della luce del Sacro Sanpietrino di Valle Giulia 68 o di Piazza Verdi 77. fine della digressione)
3) Non provo alcun patimento, né alcuna pietas o compassione alla vista di una vetrina di banca o di un bancomat frantumato, né dimentico che ciò che quella banca fa, faceva e (soprattutto) farà ad esseri umani è infinitamente piu' feroce dello scarpone BB che la sfregia. Ma frantumare una vetrina, oltre a sfogare la propria rabbia (o non sarà impotente frustrazione?) aiuta a modificare la coscienza sociale del ruolo delle banche nell'ordine imperiale? Nel 77 teorizzavamo l'esproprio proletario come risposta al sistema delle merci, per poi accorgerci (almeno alcuni) che in tal modo non svolgevamo alcuna critica della merce, e ne reiteravamo la valenza sotto forma di un consumo solo apparentemente "liberato" (ricordate "Quarto Oggiaro Story" di Manfredi?).
4) Detto altrimenti che una banca meriti di essere distrutta non ha alcun nesso col fatto che sia utile farlo (e' un salto arbitrario da una teoria a una pratica), mentre farlo ha un nesso concretissimo con l'immagine che passa nei media: nel mentre la banca, con o senza la vetrina rotta, continua a fare la banca (mentre magari il compagno che l'ha frantumata finisce in galera).
5) L'estremismo teorico è quasi un dovere intellettuale (non è un pensiero di Toni Negri, ma di Calvino, in risposta ad un'inchiesta sull'estremismo), ma non necessariamente dall'estremismo del pensiero segue l'estermismo a tutti i costi (ancora Calvino). In passato, questa falsa connessione teorico-pratica si esprimeva nella rozzezza dell'"aumentare il livello di scontro" una pratica che ha portato alla sconfitta non solo delle proprie posizioni, ma anche di esperienza che da tale sconfitta sono state travolte ad esempio, i movimenti di occupazione delle case (di cui scrive splendidamente Erri De Luca).
6) Infine la sconfitta pratica, come conseguenza di una (supposta) coerenza teorica, può anche portare a salvarsi l'anima attraverso la reclusione nel piccolo ghetto dell'irriducibilità (vedi certi militanti delle BR, ancora convinti di essere stati nel giusto e, soprattutto, nel "vero"). Questa "coerenza" non fa altro che reduplicare nella mente le sbarre alle finestre, ovvero (come nei BB) ad anticipare nella propria mente quelle sbarre. Detto in termini spinozisti, da una mente auto-asservita alla tristezza non possono che scaturire passioni tristi, le quali non sono altro che il rovescio di corpi asserviti e pratiche tristi (e ulteriormente asserventi).
7) P.S. Ho appena sfogliato un libro (Peter Jürgen-Boock, L'autunno tedesco. Schleyer-Mogadiscio-Stammheim, ed. Derive/Approdi, pp. 192, EUR 13.00) , una sorta di romanzo-memoriale di un militante della RAF che ammette apertamente cio' che, a mezza bocca, si sussurrava a suo tempo: che Baader, Raspe e la Esslin, a Stammhein, si sono realmente suicidati, e che il suicidio era frutto di una loro fredda pianificazione politica. Ecco cosa intendo per passioni tristi e corpi asserviti: cos'altro di diverso puo' produrre l'orizzonte politico del Black Bloc?>>
Girolamo, 6 giugno 2003
L'imminente nuovo numero di "Nandropausa" si occuperà, tra gli altri, di questi libri:
Antonio Pennacchi, Il fasciocomunista; Ishmael Reed, Mumbo Jumbo; Serge Quadruppani, La breve estate dei Colchici; Sbancor, American Nightmare; Andrew Masterson, Gli ultimi giorni; Robert A. Heinlein, Anonima stregoni, Jason Starr, Piccoli delitti del cazzo etc. + "L'occasione mancata": Firmato: Lester Bangs di Jim DeRogatis (libro bellissimo, traduzione terribile) + svariate altre cose.
Lettera dello scrittore francese Serge Quadruppani:
Cari amici italiani,non so se ne siete al corrente, in ogni caso ne saranno ignari gli italiani che leggono soltanto i loro giornali e guardano soltanto la televisione italiana. Da due mesi, in seguito all'offensiva thatcheriana del duo Chirac-Raffarin (subdolo tentativo di privatizzazione della scuola col pretesto del "decentramento", legge per l'innalzamento dell'eta' pensionabile), in tutta la Francia vi sono manifestazioni e scioperi degli insegnanti, dei lavoratori dei trasporti (ferrovie e metropolitane) e di tutti i settori dell'economia. Non è esagerato cominciare a parlare di un "Maggio strisciante". Le grandi confederazioni sindacali adottano una tattica che finisce per sfiancare il movimento indicendo puntualmente uno sciopero alla settimana, quando fin dall'inizio dalle loro basi arriva la rivendicazione dello "sciopero generale a oltranza".
Dal Nord al Sud, da Lille a Marsiglia (due luoghi dove il movimento è molto forte), caselli autostradali, stazioni e mercati all'ingrosso sono oggetto di azioni di blocco decisi dalle assemblee interprofessionali che raggruppano insegnanti, operai e precari.
A Tolosa, Nizza e in molte altre città vi sono teatri occupati dagli intermittenti (lavoratori precari dello spettacolo).
Un po' ovunque in Francia, le sedi della Medef (la Confindustria francese) sono state prese d'assedio, a volte devastate e incendiate.
Gli operai delle fabbriche minacciate di chiusura si sono uniti alla lotta: a Lille hanno fornito le scatole di detersivo con cui sono stati bombardati i CRS (i celerini francesi). A Boulogne-sur-mer è stato bloccato il grande mercato del pesce.
A digione è occupata la sede di France 3 (l'equivalente francese di RAI 3).
Si afferma un movimento sociale radicale, davvero notevole per la varietà delle figure professionali e dei gruppi che coinvolge, che secondo i sodndaggi continua ad avere la simpatia di buona parte dell'opinione pubblica.
Si parla di azioni di boicottaggio dei Baccalaureati (gli esami di maturità), la cui prova scritta di filosofia si svolge oggi (12 giugno, n.d.t.). Vi sono stati appelli a dare il 20 politico a tutti gli studenti.
Sarebbe opportuno che questo movimento fosse un po' più conosciuto a livello internazionale: tutti potrebbero trarvi degli insegnamenti, soprattutto per quanto riguarda l'atteggiamento della sinistra storica (divisa tra i "sinceri" che riconoscono: "Fossimo stati al governo avremmo fatto la stessa cosa" e gli altri, che tentano di recuperare il movimento ma non sanno cosa inventarsi) e dei grandi sindacati, i cui servizi d'ordine hanno fatto di tutto, compreso picchiare i propri militanti, per cercare d'impedire gli "eccessi". Questo era chiaro soprattutto martedì sera in Place de la Concorde, dove si è particolarmente distinto il servizio d'ordine della CGT. Per saperne di più, si possono consultare i siti Samizdat o Indymedia France.
Baci a tutti, S.Q.Per le immagini dei celerini bombardati di detersivo:
http://lille.indymedia.org/article.php3?id_article=2061
Iscritt* a Giap in data 18 giugno 2003: 3854
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