54 - commenti dei lettori - aprile 2002

 

...ho da poco finito di leggere 54 e sto cercando a tutti i costi qualcos'altro da leggere ma niente mi sembra all'altezza, forse solo l'ultimo di Ellroy ma al momento non posso permettermi di spendere 30 euri, così in attesa di capire cosa ho letto, e perchè un mattone di più di seicento pagine mi è scivolato nel cervello in poco meno di una settimana mi rileggo Ubik di Pikappadick. questa la premessa. mi è piaciuto leggere 54 per la credibilità delle situazioni  e i personaggi, la Storia che attraversa le vite e le vite che questa Storia usano, ne vengono travolti, non la capiscono, ci tirano fuori la propria di storia. e poi da abitante del pianeta terra in questa regione chiamata Italia, ho fame di sapere come questo luogo è nato, è cresciuto, e come tante realtà quotidiane sono state condizionate da quelli che hanno dato e da quelli che invece hanno preso. grazie e forse sarò al corto circuito per la vostra presentazione.
M.N. 2 aprile 2002

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...ho finito 54 e mi è molto, molto piaciuto. Bravissimi, complimenti a tutti voi. Me lo sono davvero goduto, con momenti di grande commozione, altri di grande divertimento, con ammirazione per l'invenzione, la ricerca storica, la tecnica, il dosaggio dei toni... Non so quanto fosse nelle vostre intenzioni (ma credo che lo fosse eccome, come sempre), ma fare dell'epica della resistenza, cioè il trasportare in modo toccante e commovente e travolgente il senso di ammirazione, rispetto, timore esercitato dagli ex-partigiani nell'Italia dell'immediato dopoguerra, fare questo, dicevo, nell'Italia di OGGI è manna dal cielo, oro colato, benedizione che scende sulle nostre teste di cavolo, sale che ci cala in zucca... e mezzo vincente (speriamo!) per riattivare quei banchi di memoria che tutti stanno allegramente, incoscientemente, provvedendo a cancellare. Ma poi non c'è solo quello, naturalmente. Sono ammirato dalla vostra bravura scrittoriale nel riuscire a rendere credibile, umano, "amico del lettore" un personaggio già consegnato alla storia - con tutti gli stereotipi suoi - quale Cary Grant. E una cosa: quella battuta "Soccia, Cary Grant!" di quando Pierre riconosce l'attore in Jugoslavia mentre fuggono dalla sparatoria... una battuta semplice ma grandiosa, una scelta di tempo perfetta, una cosa indimenticabile... Beh, non mi dilungo.
P.P. 3 aprile 2002

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Ho aspettato qualche giorno per pensarci su con calma. Il vostro libro è proprio bello; è ben costruito, può essere letto in più modi, è ironico, intenso, e nella sua amarezza anche divertente: una lettura entusiasmante per chi vi conosce e, mi auguro, per i giovani curiosi. E' ancora un grande lavoro sulla memoria che afferma con forza una verità: lo stile è morto. Tutti i personaggi hanno stile, Angela, suo fratello, Ettore, Pierre, il generale russo, il tisico, Cary Grant ( ovvio) e il suo sosia ( questo è meno ovvio), anche Gas. "Lo stile non è acqua" e infatti è sangue, azione, sofferenza, rispetto, responsabilità, conoscenza di se. C'è tutto. Leggendovi io trovo sempre un po' di me, anzi mi riesce più facile capire la mia vita scombinata, un po' per fatalità e un po' per scelta. Felicissima e geniale la trovata di Cary Grant; la generazione di Pierre Capponi aveva il mito dell'eleganza. Mio padre, compagno attivo e militante, quarta elementare, gran ballerino, poverissimo, a dieci anni lavorava già in fabbrica, ma nella sua semplicità aveva un portamento da gran signore. Alimentato da mia madre che passava nottate intere a confezionare camicie e abiti che erano perfetti, senza difetto. Stirare le camicie era una specie di rito, che ancora adesso mi affascina. Con i ferri scaldati sulla stufa, non sbagliava un gesto, una piega; un rito quasi religioso che non mi stancava mai. Stirare la camicia bianca per il papà perché, alla domenica mattina, avveniva la grande trasformazione. Io aspettavo mio padre seduta sullo scalino del bagno, lui usciva ben rasato, pettinato e lo guardavo mentre si vestiva della festa (come il compagno Rossini), perché poi doveva andare in sezione per diffondere l'Unità. Lui usciva da casa allegro, elegantissimo, con il fazzolettino di seta nel taschino della giacca intonato alla cravatta e le scarpe lucidissime. I vestiti erano sempre quelli, ma questo per lui era solo un dettaglio. Orgogliosissima, il più delle volte andavo con lui. Ascoltare i loro discorsi era il mio passatempo preferito. Voi siete riusciti molto bene, con Asce e con 54, a tratteggiare lo spirito di quegli anni. C'è solo un aspetto che però non compare mai: le sbronze. Per loro era un culto, ne parlavano, le classificavano e non tutti erano alla loro altezza. C'era la sbronza triste, quella rabbiosa, quella a mezza tacca (che aveva dei postumi che duravano una settimana e "deprimeva lo spirito"), ma la regina delle sbronze, il loro Corpus Domini, era quella cantata. Caro Wu Ming, se non hai mai assistito ad una sbronza di compagni (di quei compagni), ti sei perso veramente qualche cosa. Niente a che vedere con le canne o lo stare fuori di testa (infatti mio padre e mio fratello, su questo, non si sono mai capiti). All'anno erano 2 le occasioni di grande sbronza: il 1 maggio ( dopo il corteo), e alla fine del festival de l'Unità (se andava bene, festeggiavano l'obiettivo raggiunto e superato, se andava male, "rincuoravano lo spirito" degli ideali). Bevevano con gusto, lentamente, discutendo di tutte le cose del mondo che loro conoscevano, Tito, Trotzkij, i Rosemberg, Mc Carty, Kruscev, poi passavano alle lotte, alla fabbrica, al partito, alla guerra, ai partigiani, alla fame e iniziavano a cantare. Erano bravissimi, chi sbraitava o stonava doveva stare zitto. Non conoscevano mai una canzone intera, si arrangiavano inventando un po' ( sono stati i figli sessantottini a diffondere pedantemente i testi), interpretavano e il loro forte erano i ritornelli. Ogni volta c'era un tema, che emergeva spontaneamente, e faceva da collante legando insieme sentimenti, discorsi e conoscenza musicale. Altro che Rap! (Jovanotti e Arbasino chi sono?) Mi sto dilungando un po' troppo, scusami. Volevo solo aggiungere che da quando "vi frequento" mi sento meno spaesata, meno sola e questo mi aiuta anche nelle piccole cose quotidiane. Grazie .
M. 20 aprile 2002

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anche io, come molti "kolleghi" lettori, ho lasciato passare un po' di tempo e almeno un paio di altri libri per poter ragionare "a freddo". il libro mi è piaciuto, nel suo complesso, ma forse mi ero aspettato di più, dopo Q. va detto che sono uno che considera Q forse il più bel libro letto dai tempi del nome della rosa. mi sembra che sia un intreccio di fili che ci si aspetta, prima o poi, vadano a costituire la stoffa di un meraviglioso abito. alla fine del libro quell'abito non l'ho visto. forse era questo il vostro scopo? fino alla vittoria, sempre. emilyboy, sub-comandante, 24 aprile 2002

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ciao compadres, ho appena finito "54", che avevo comprato al Corto Circuito durante la presentazione di 2 settimane fa. Grazie per le ore belle che mi avete fatto trascorrere. Mi sembra un'ottima sintesi del gusto per l'intreccio di Q e dell'apologia dei partigiani italiani delusi di Asce di guerra. Insomma, sarà l'effetto del recente, ma mi sembra che ci sia qualcosa di più che negli altri libri, proprio a livello di capacità narrativa. I personaggi e le storie sono fatti meglio. Se c'è una pecca, forse è quella del pretendere di unire troppe storie. Qualcosa forse si poteva evitare, e non lo dico per fastidio delle 600 e passa pagine (non faccio il recensore all'Espresso...), che scorrono con piacere, e se fossero di piu' sarebbe meglio, visto che ora non saprò più che leggere per un po' nelle mie notti insonni. Ma lo dico perché forse, evitando alcuni personaggi, che danno poco o nulla alla storia e alla Storia (ad esempio l'imperatore vietnamita, o anche i servizi russi), si poteva dare più spazio a vicende più interessanti. Si vede insomma che avevate roba del romanzo precedente che volevate mettere per forza... I vostri scritti che preferisco (anche se non ho letto tutto-tutto) sono "Tomahawk" e "Benvenuti a sti frocioni". Mi sto già preparando con trepidazione all'uscita di "63". Grazie ancora,
L.C. 27 aprile 2002

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Ho terminato ieri la lettura di 54 e, come mi accade per i libri che mi spingono in un vortice di autoeccitazione letteraria, ora che lo vedo chiuso davanti a me ne provo una pungente mancanza, e mi rimprovero di non aver centellinato con parsimonia i suoi incalzanti capitoli. Del resto non avrei potuto: sono state 666 pagine (un caso? Siete proprio diabolici :)) di emozione, divertimento, tensione, riflessione, sorpresa. Che dire? In primis, ho fatto un viaggio in un periodo di storia stranamente assente dalle mie cronache famigliari e che non sapevo come interpretare: in casa i miei genitori (io tra un paio d’anni tocco i miei primi ‘anta) hanno spesso raccontato episodi relativi agli anni del fascismo o a quelli della guerra, per poi zompare a pie' pari verso i fabulous sixties, rivolgendo poche attenzioni ad un periodo che pur li vedeva nel pieno della gioventù. Mah. Dal punto di vista puramente letterario, invece, ho goduto nel ritrovare un libro che mi ha ridato le stesse inattese sollecitazioni del vostro Q (che ai tempi ho personalmente promosso con un tam-tam da vero piazzista a decine di amici). Certo, i due romanzi di analogie ne hanno solo alcune (cito come esempio il mitico Gert dal pozzo in qualche modo rievocato nel partigiano Ettore), e tuttavia condividono la sapienza dell’intreccio, la titillazione intellettuale e politica del lettore, la cura certosina del’environment storico (forse in questo punto Q dà esiti un tantino più robusti), il gusto per la ricerca delle “zone d’ombra tra Storia e Mito”. In 54, però, passiamo da un romanzo a forza centripeta ad uno fortemente corale, dove la molteplicità dei registri espressivi e una certa, maggiore levità di tono rendono il lavoro ancora più godibile e assolutamente “variopinto”. Ogni capitolo è un piccolo racconto che ho trovato in perfetta armonia tematica con gli altri ma che vive di una personalissima identità espressiva, ora ironica, ora d’azione, ora addirittura toccante. Seguire le innumerevoli prospettive (cinematografiche?) che si intrecciano attorno all’unica protagonista, che è poi la Storia di quegli anni, densa e gravida come nubi grigie di temporale (un pò alla Serov, questa!) è stato avvincente come vedere muoversi in campo l’Olanda degli anni ’70 (altro real myth su cui lavorare), nessuna prima donna, tutti calciatori coi fiocchi ma interdipendenti, conta solo il modulo (appunto, la Storia). E comunque, bando alle ciance, quanto ho riso!, davvero come un pazzo, sia a Sipan, che a Cannes: ho riletto quelle pagine non meno di dieci volte, e dieci volte non sono riuscito a trattenermi, con i vicini in metropolitana che mi guardavano divertiti. Che dire, sono contento di avervi ritrovato, dopo la parentesi di “Asce di guerra” che non sono riuscito proprio a trovare all’altezza (troppa politica e poca letteratura, detto in breve). Con 54 ho letto uno dei più bei libri che mi siano capitati di questi tempi tra le mani, e certamente uno dei più magnetici.
G.B., 28 aprile 2002

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