Tolkien, il segreto del successo? L’universalità dei suoi eroi
di Wu Ming 4 [da: "l'Unità" del 1 aprile 2009]
“Non c’è simbolismo o allegoria cosciente nella mia storia. Allegorie del tipo ‘cinque stregoni = cinque sensi’ sono del tutto estranee al mio modo di pensare. Ci sono cinque stregoni ed è solo un aspetto del racconto. [...] Che non ci sia allegoria non significa, naturalmente, che non ci sia la possibilità di leggervene una. Questa c’è sempre.” (J.R.R.Tolkien, lettera 203)
Queste parole autografe spiegano perché il libro di Stratford Caldecott, Il Fuoco Segreto – La ricerca spirituale di J.R.R.Tolkien (Lindau Editore, € 19) riesce al contempo a illustrare la spiritualità sottesa all’opus tolkieniano e a tradirne completamente la poetica. E’ un paradosso interessante, che merita di essere indagato.Caldecott, seguace di G.K. Chesterton, estimatore di don Giussani, e redattore della rivista Communio (fondata tra gli altri da Joseph Ratzinger), affronta i “testi sacri” con un intento dichiarato. L’opera di Tolkien, e in particolare Il Signore degli Anelli, viene vivisezionata per scovare dietro ogni personaggio un corrispondente evangelico, dietro ogni ricorrenza un simbolo cristiano. Caldecott si impegna a dimostrare come la dama elfica Galadriel simboleggi la Madonna, Frodo sia una figura pseudo-cristologica e lo stregone Radagast richiami niente meno che San Francesco. Ogni aspetto del romanzo è ricondotto al quadro di una più vasta visione teosofica di matrice neoplatonica e cattolica, di cui Tolkien diventa il vate.
Chissà se quando il vecchio professore scrisse che “Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica”, poteva immaginare che mezzo secolo più tardi il suo ammiratore l’avrebbe paragonato a San Filippo Neri.
Su quanto la fede e la devozione di Tolkien abbiano contribuito alla sua visione del mondo, del mito, della creazione fantastica, è già stato scritto tanto. Ma Caldecott vuole spingersi oltre, vuole blindare una grande opera letteraria dentro una sola chiave di lettura. Guai a proporne un’altra, come ad esempio quella junghiana, prontamente contestata nelle Appendici (e seguita da una sviolinata filo-monarchica e neo-arturiana!). Così Caldecott lascia le proprie migliori intenzioni in ostaggio dello zelo religioso, finendo per trasformare Il Signore degli Anelli in quello che Tolkien non avrebbe mai voluto diventasse: un’allegoria chiusa, un romanzo a tesi.
La faccenda non era di poco conto per Tolkien, che non ha mai condiviso la scelta dell’amico C.S.Lewis, nella cui narrativa fantastica i personaggi ricalcano pedissequamente le figure evangeliche e le storie hanno un evidente intento apologetico. L’unica allegoria che Tolkien era disposto ad accettare era quella aperta, la cui universalità non è dovuta all’autorevolezza del messaggio a cui allude, bensì alla complessità e profondità del messaggio stesso di cui la storia si fa latrice.
La faccenda non è di poco conto nemmeno per noi, perché è precisamente questa apertura che ha fatto del Signore degli Anelli il libro più letto del XX secolo dopo la Bibbia. A sessant’anni dalla pubblicazione non si può ignorare che è proprio l’accessibilità dell’allegoria interna ad avere reso possibile anche a lettori non cattolici e non cristiani di ritrovarsi in quelle pagine, e a sancirne appunto l’universalità. E non mi riferisco alla puerile interpretazione tradizionalista che ha voluto darne certa destra italiana, ma esattamente al suo contrario. Quello è il romanzo del superamento della teoria nordica del coraggio, nel quale l’eroismo non è più prerogativa di una élite di prescelti, ma dei piccoli e degli ultimi: chiunque può essere un eroe. Un’idea senz’altro di matrice cristiana per Tolkien, ma non per questo estranea ad altre tradizioni culturali. E non è il caso di dimenticare che Il Signore degli Anelli è anche un inno all’unità di popoli e razze diverse per lottare contro un nemico tirannico. Ma soprattutto, per citare le parole del suo autore, è un romanzo che “tratta della morte e del desiderio di immortalità. Che è come dire che il racconto è stato scritto da un uomo!” (L 203). Un tema che accomuna credenti e non credenti di qualunque epoca e luogo. Per questo chiudere a doppia mandata l’allegoria serve a portare acqua a un solo mulino, non certo ad alimentare il fuoco segreto.
Aprile 5th, 2009 at 12:51
Sulle presunte inclinazioni di Tolkien ne abbiamo lette di tutti i colori: ricordo distintamente articoli su Panorama (all’epoca dell’uscita del primo film) nei quali lo si definiva talvolta un “teorico dell’estrema destra”, talaltra un “comunista silvano” (sic), addirittura un “antesignano dei Verdi e degli Hippies”. Insomma, “parlare a schiovere”, si direbbe a Napoli. Immagino che il segreto, per non cadere in fandonie interpretative, sia proprio essere aperti. E tentare di dare sempre interpretazioni “di massima” o tutt’al più “dominanti” senza mai cadere nel dogmatismo ermeneutico. Ma manco nell’arbitrio.
Aprile 5th, 2009 at 13:09
Hai ragione, il professore è stato tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra. Quello che i cattolici stanno cercando di fare negli ultimi anni è infatti partire da questa constatazione per giustificare una riappropriazione dell’autore alla loro schiera. “Ve lo diciamo noi chi era Tolkien in realtà e cosa ha scritto…”. Praticamente cercano di farlo passare per un teosofo, una specie di romanziere militante devoto alla causa di Santa Romana Chiesa, cioè quello che è stato C.S. Lewis per la Chiesa Anglicana. Non ci sono dubbi che Tolkien fosse un cattolico devoto, ma le letture di una grande opera del XX secolo come Il Signore degli Anelli sono assai più articolate ed aperte di quanto i ratzingeriani vorrebbero farci credere. Il loro è “dogmatismo ermeneutico”, come lo chiami tu, così come quello della Nuova Destra è “arbitrio” (e non perché travisa l’intenzione dell’autore, ma perché travisa i contenuti del romanzo, ribaltandoli nel loro contrario).
Aprile 6th, 2009 at 17:30
[...] La recensione completa potete leggerla qui. [...]
Aprile 7th, 2009 at 10:22
Beh, ci siamo abituati: non è un certo Gianfranco Ravasi che fa di Pinocchio, opera di un mangiapreti di prim’ora, una delle più alte figrazioni della vicenda cristiana? Quanta noia! Non per il tuo articolo, ma per quelle posizioni.
Aprile 7th, 2009 at 12:27
Be’, non è sorprendente: la Chiesa non è mai stata così asfittica; è diventata ormai una via di mezzo tra un super-consultorio e l’ufficio politico di una lobby; la maggiore conseguenza di questa deriva, è che la Chiesa è diventata totalmente incapace di parlare al suo popolo dei suoi miti fondativi.
La morte e la resurrezione della carne, il rapporto tra corpo e anima, il valore conoscitivo della sofferenza e della debolezza, la strana bellezza e la grandezza della condivisione fraterna di una via di inenarrabile travaglio in nome di un disegno che, pur riuscendo a individuarne solo poche, scarne tracce visibili, si ri-conosce non tanto e non solo superiore, quanto decisivo e indispensabile per una compiuta realizzazione del Sé individuale e comunitario.
È diventata incapace di farlo, essenzialmente perché non ci crede più nemmeno lei.
Però la Chiesa si rende conto di questo deserto ideologico, della propria incapacità di comunicare il Mito, e dell’inadeguatezza degli apparati di propaganda convocati per sostituire questo mutismo; e ne ha paura.
Non è sorprendente, dunque, che la Chiesa cerchi pedestremente di usurpare e far propri i luoghi in cui, invece, questi temi sono trattati in maniera così straordinaria, accattivante e popolare. Perché i Miti sono il petrolio dell’economia dell’Anima.
In pratica, penso, quello che tu chiami giustamente “dogmatismo ermeneutico”, probabilmente, non è altro che il sintomo di una sorta di gravissima (fatale?) carenza vitaminica culturale.
Aprile 7th, 2009 at 14:15
@ Vittorio
Credo che la tua analisi sia corretta. Intendo infatti scrivere qualcosa anche su un catto-tolkieniano nostrano, Andrea Monda, che ha pubblicato l’anno scorso “L’Anello e la Croce”. E’ un libro più accorto e documentato di quello di Caldecott, ma sulla stessa lunghezza d’onda. Monda insegna religione a scuola e sostiene che il Signore degli Anelli è un’ottimo viatico per introdurre i giovani d’oggi alle tematiche religiose passando per un medium molto pop. In sostanza ha trasformato il romanzo in una sorta di breviario o summa teologica.
Questo conferma la tua tesi. Non riuscendo più a tenere il passo con i tempi, e con un frontman respingente come Benedetto XVI, i cattolici le provano tutte. Ribadisco che per quanto riguarda il SDA la loro analisi non è falsa, tutt’altro, ma è limitata, chiusa, pretenziosamente sistematica. Soprattutto non è problematizzante, come invece è il romanzo in questione.
Aprile 7th, 2009 at 16:29
…mi correggo: la loro analisi non è falsa *in linea di massima*. Ovviamente contiene anche diverse forzature risibili. Da questo punto di vista il libro di Monda riserva alcune perle.
Ciò che mi stupisce comunque è l’acriticità con cui i fan di Tolkien accettano ed esaltano qualunque testo parli della sua opera. E’ possibile che non ci sia un tolkieniano “laico” che dica qualcosa?
Aprile 7th, 2009 at 18:01
@WM4
Credo che molti “fan di Tolkien”, soprattutto della mia generazione (io ho 45 anni), soprattutto se l’hanno letto sfidando, allora, la diffidenza dei compagni, soffrano ancora di una sorta di complesso di inferiorità; che, ancora, purtroppo, per molti di essi il piacere che Tolkien sia oggetto di dibattito “alto”, e il sollievo che questo dibattito si sia liberato dalla (puerile! bello! è vero!) cappa del sanguigno misticismo neofascista, prevalga ancora, in generale, sull’attenzione per la qualità del dibattito medesimo.
Ad ogni modo, per fortuna, tu sei un tolkieniano laico, e hai ben detto qualcosa!
Aprile 8th, 2009 at 00:10
Solo che mentre in ambito anglosassone avrei alle spalle gente come Tom Shippey e Peter Jackson, cioè il Settimo Cavalleria, qui in Italia è piuttosto uno scenario da spaghetti western… cioè più o meno io contro tutti
Scherzi a parte, ti ringrazio per l’apprezzamento.
Aprile 8th, 2009 at 14:43
“Ovviamente contiene anche diverse forzature risibili. Da questo punto di vista il libro di Monda riserva alcune perle”.
Eeeh, una frase così solletica subito la mia curiosità, non ti va di raccontare almeno una di queste perle?
Aprile 8th, 2009 at 23:03
Beh, una delle “perle” più spassose è quando Monda sostiene che nella scena della morte di Boromir il regista Peter Jackson avrebbe colto qualcosa che – a suo dire – Tolkien aveva lasciato implicito. Vale a dire che secondo Monda il gesto che nel film Aragorn compie quando Boromir gli muore tra le braccia richiamerebbe “chiaramente” il segno della croce. Siccome nel romanzo questo dettaglio non c’è, si tratterebbe di una libera ma giusta interpretazione di Jackson.
Quando ho letto questa cosa mi sono cacciato a ridere da solo. In quella scena Aragorn (Viggo Mortensen) non fa altro che portarsi il pugno alla fronte, poi alle labbra, infine accarezza il viso del caduto e lo bacia sulla fronte. Ora se un cattolico come Monda vuole vederci “chiaramente” l’allusione al segno della croce, padronissimo, purché consenta a qualcun altro di vederci altrettanto “chiaramente” qualsiasi altra cosa!
Questo aneddoto è emblematico del problema degli interpreti cattolici del SDA (cioè di certi intepreti cattolici, come appunto Monda, Manni, Caldecott). Loro partono con una visione preconcetta in tasca e vanno a cercarne conferma nelle pagine del romanzo punto per punto, spesso e volentieri, tra l’altro, ricorrendo al biografismo. In questo modo spingono ogni elemento della trama dentro le maglie della rete che hanno precedentemente tessuto. E tutto quello che avanza resta fuori, è come se non ci fosse. Un altro esempio di questa attitudine ideologica? Secondo questi signori le ultime enclaves elfiche nella Terra di Mezzo sarebbero “chiese” e le funzioni degli stregoni sarebbero di tipo “clericale”. Domanda: quindi Saruman cosa sarebbe, l’antipapa? )))))))))
Aprile 9th, 2009 at 11:09
Alla faccia delle forzature risibili! Con una sola di queste “perle” ci verrebbero fuori almeno 40 puntate di Voyager !!
Aprile 9th, 2009 at 14:45
Naturalmente, come dici tu, queste interpretazioni “tengono fuori” un sacco di dati testuali eccentrici: per esempio, l’amplissima diffusione, tra i “buoni”, della pratica del consumo dell’erba-pipa (“induce la pazienza necessaria per ascoltare bestialità senza arrabbiarsi”, dice Gandalf descrivendone gli effetti).
E anche il fatto che i “cattivi” come Saruman biasimino l’uso di consumarla, e ne critichino gli effetti psicotropi, salvo poi farne uso a loro volta di nascosto (c’è la bellissima scena di Saruman, ridotto a un viandante stracciato, che chiede un po’ di erba pipa agli Hobbit di ritorno nella Contea). Se proprio vogliamo fare del LOTR un romanzo allegorico, perché non pensarlo come un’allegoria anti-proibizionista, comprendente la messa in scena dell’ipocrisia e della pericolosità sociale dei supposti campioni di moralità?
Senza contare la celebrazione dell’anarchismo e della mancanza di gerarchie fatta con la descrizione delle strutture politiche e sociali della Contea, priva di capi, di carceri e di polizia: voglio dire, se c’è una struttura del tutto incompatibile con l’anarchismo agerarchico è proprio quella della Chiesa cattolica.
Vabbè, è inutile ripetere sempre la stessa cosa: il problema è quello che sottolinei tu; un’opera universale può essere ricondotta a infinite interpretazioni, purché non si pretenda, davvero “puerilmente”, di pretendere la definitività e la completezza della propria.
Aprile 10th, 2009 at 13:11
Però se non sbaglio l’allegoria è veramente una figura retorica chiusa. Non sono sicurissimo, ma mi sembra di ricordare dai tempi delle superiori che un’allegoria è simile a una metafora che non ammette interpretazioni, ma puo’ essere compresa in modo univoco da chi possiede una chiave di lettura. Forse il signore degli anelli non è proprio un’allegoria.
Aprile 11th, 2009 at 10:17
@ Quint
quella è una concezione dell’allegoria molto riduttiva e pedestre, che non la distingue a sufficienza dalla metafora e dal simbolismo, ne fa perdere di vista la specificità. Precede la grande riconsiderazione di quella figura retorica avvenuta in età moderna e contemporanea (da Goethe a Benjamin a Jameson etc.) L’allegoria è più complessa, nasce da uno “spreco” di materiale poetico o narrativo, da un’abbondanza di riferimenti che diventa eccedenza, così c’è sempre qualcosa che “sfugge” alla chiave. Anche se Tolkien avesse voluto scrivere una “allegoria a chiave”, cioè una metafora estesa, non si potrebbe trascinare una metafora estesa per così tante pagine senza generare eccedenze, “scarti” che fanno sbordare l’interpretazione e la aprono, al di là delle intenzioni dell’autore. Questo nel simbolismo non può avvenire, perché il simbolo è terribilmente semplice e statico: vedo un cuore, significa amore; vedo un leone, significa coraggio. Corrispondenza biunivoca tra immagine e significato. Idem per quanto riguarda la metafora: se ti dico “come sei caduto in basso!”, il significato è subito chiaro. L’allegoria, invece, non è immediata, ha bisogno di un mio atto interpretativo. E anche dopo che avrò interpretato, qualcosa rimarrà sempre fuori, irriducibile al sistema di riferimenti che ho individuato e applicato. Non so se mi sono spiegato bene…
Aprile 13th, 2009 at 23:23
@ Vittorio e Quint
Non ci sono dubbi che il Signore degli Anelli sia un romanzo con una fortissima impostazione cristiana e cattolica. Ma quello che (per ovvi motivi) gli studiosi cattolici dell’opera di Tolkien non sono disposti ad accettare è che il cristianesimo è soltanto l’ultima declinazione storica di temi mitici assai più risalenti. Ovvero il cristianesimo rappresenta sì uno scarto qualitativo – e per chi ha fede addirittura una realizzazione storica del mito, una modificazione definitiva del destino umano – e tuttavia non giunge dal cielo su una tabula rasa. Per affermarsi e realizzarsi il critianesimo ha fatto propri un’infinità di temi mitici preesistenti che sono con noi da molto più di duemila anni.
Quello che voglio dire è che uno scrittore devotamente cristiano come Tolkien non è – direttamente o indirettamente – meno debitore alla mitologia classica o pre-classica di me che non sono credente. Tanto più quando sceglie di ambientare la propria storia in un ipotetico passato pre-cristiano in cui paganesimo e prerequisiti di cristianesimo dialogano dall’inizio alla fine (altro aspetto che i commentatori cattolici negano, pretendendo di eliminare ogni contraddizione dal racconto).
Ecco dove sta il limite di certe letture che io definirei “tautologiche”, prima ancora che ideologiche.
L’allegoria presente nel SDA è invece assai più vasta, al di là delle intenzioni dell’autore, come suggerisce il mio socio WM1. Tanto più che Tolkien ha sempre rifiutato ogni attribuzione di intenzionalità e la sua riflessione su quanto aveva scritto si è protratta fino all’ultimo dei suoi giorni.
Ad ogni modo io non sono interessato tanto a polemizzare con i cattolici, da cui mi separa una diversa concezione della storia umana, e che trattano il SDA come se fosse la Divina Commedia, quanto a ricercare letture “eccedenti” dell’opera, elementi allegorici irriducibili all’ideologia, o se vogliamo, per plagiare Ernst Bloch, il paganesimo nel cristianesimo del SDA. E, ripeto, non perché io creda che il SDA sia un romanzo neo-paganeggiante, ma perché sono contrario al riduzionismo.
Tutto questo discorso, una volta inserito in un contesto più ampio, spero poi di riuscire ad articolarlo in maniera più lineare, se non più compiuta in un testo pubblicabile.
Aggiungo che il tema di cui stiamo parlando ha più a che fare con la figura di Lawrence d’Arabia di quanto non possa sembrare. Anche su questo, in futuro, mi piacerebbe tornare a riflettere e raccontare.
Aprile 17th, 2009 at 15:15
@ Wu Ming 1
Sei stato chiarissimo. Ma a questo punto vorrei capire che cosa voleva fare secondo te Tolkien quando ha scritto Il Signore degli Anelli. Ha tentato di fare una lunga allegoria a chiave e tutto quello che noi percepiamo come dissonante rispetto alla chiave interpretativa è uno “scarto”, oppure aveva in mente il modello moderno e “aperto” di allegoria di cui mi hai parlato ? E’ possibile dedurlo semplicemente leggendo e interpretando il testo ?
Aprile 17th, 2009 at 20:49
@ Quint
Ti rispondo io, dato che nel collettivo sono l’unico lettore assiduo di Tolkien. Prometto di non farla troppo lunga.
Tolkien ha scritto racconti che sono allegorie chiuse e come tali li ha riconosciuti, ma non appartengono al ciclo della Terra di Mezzo. Non è infatti il caso de Il Signore degli Anelli, rispetto al quale Tolkien ha sempre rifiutato le letture a chiave che ne sono state fornite, e ha sempre dichiarato di non avere scritto il romanzo con un’intenzione apologetica, didattica o pedagogica. In altre parole è stato Tolkien stesso ad affermare che il SDA non è un allegoria chiusa, ma semplicemente la storia che voleva raccontare. Secondo i cattolici questa era una posizione dettata dalla “modestia”, perché in realtà avrebbe scritto un romanzo-manifesto della concezione cattolica della vita, del mondo e della storia. Ma questa lettura sta in piedi solo se si escludono parti e personaggi importanti del romanzo, che non sono affatto eccedenze casuali, ma costituiscono metà della vicenda. Perché nel SDA il dialogo tra paganesimo e cristianesimo è costante e si protrae per tutte le 1300 pagine. Non ci sono “scarti”, quindi, ma una riflessione più articolata e una vicenda più complessa di quanto qualcuno pretenda di leggerci.
Detto questo Tolkien non avrebbe mai usato l’espressione allegoria “aperta”, perché per lui l’allegoria era solo quella del primo tipo, cioè stretta, a chiave (e appunto non gli interessava). Tuttavia è un dato di fatto che il SDA – messa da parte la visione ideologica dei papisti – è un’allegoria aperta, e delle più complesse, con molti rivoli e articolazioni. Ed è senz’altro possibile dedurlo leggendo (e rileggendo) il testo con attenzione. Testo che Tolkien ha elaborato nel corso di almeno un quindicennio. All’apparenza sembra una storia lineare, mentre invece è una miniera di stratificazioni mitiche, figure archetipiche, princìpi pagani e prìncipi cristiani, riflessioni etico-filosofiche, e via dicendo.
Aprile 24th, 2009 at 16:05
per WM4:
Ho scoperto su wikipedia che alla battaglia di Little Big Horn partecipò un grande capo dei Cheyenne, che si chiamava “Stella del Mattino”…
Aprile 24th, 2009 at 16:52
Credo che esista anche un romanzo omonimo su un indiano con quel nome, ma non so se si tratta dello stesso personaggio…
Maggio 11th, 2009 at 14:47
Da buon ultimo, e con colpevole ritardo, scopro questo brano ed è con sollievo che leggo queste pagine; da anni si ricerca un po’ di ossigeno in quello che è una panorama praticamente monopolizzato da due visioni delle opere di Tolkien, forse tra loro in contraddizione, oforse complementari.
Da una parte quella “cattolicizzante”, dall’altra quella Tradizionale (e la T maiuscola è d’obbligo).
Responsabilità di questa situazione è anche di chi ha pubblicato le opere di Tolkien, e della scelta di far scrivere a Elémire Zolla l’introduzione al romanzo, dando così una sorta di patente di nobiltà Tradizionale a un’opera che non pretendeva di averne. Non solo, ma penso che anche la traduzione, opera per carità meritoria, induca a visioni del tipo allegorico: un tono sostanzialmente contrassegnato dalla mancanza di varietà nei registri linguistici e sempre mantenuto su un livello aulico non aiuta a vedere al di là del salvifico, dello ctonio e di altri aggettivi cari a certi “critici”.
Maggio 11th, 2009 at 15:00
Sacrosante parole, Fernando. Aggiungo che purtroppo anche le pubblicazioni più recenti di Tolkien per i tipi della Bompiani vedono commentari e paratesti affidati a personaggi come Principe e De Turris, il cui unico contraltare è rappresentato dalla gang della Gregoriana (Manni, Monda, Simonelli, etc.).
Io credo che sia giunto il momento di incunearsi tra questi due poli e restituire il SDA a se stesso, cioè in realtà ai lettori che continuano a leggerlo senza per forza trovarci dentro un manifesto tradizionalista o teologico.
Sulla traduzione del SDA con me sfondi una porta aperta. Nemmeno la recente revisione sotto consulenza della Società Tolkieniana Italiana riesce a rendere le sfumature del testo e per molti quel romanzo rimane connotato da una lingua piatta e monocorde. Meglio leggerselo in inglese, per chi ci riesce.
Maggio 12th, 2009 at 00:33
Beh, sarebbe interessante vedere come il libro è considerato, dal punto critico, in altri paesi. Che io sappia l’accoglienza critica di Lord of the Rings all’estero è stata diversa, no? Mi sembra che nel mondo anglosassone non sia molto radicata l’interpretazione “teologica”.
Una piccola osservazione che non c’entra una minchia: in svedese Lord of the Rings è stato tradotto come Sagan om Ringen. La parola “saga”, in svedese, è molto particolare, perché indica sia la fiaba per bambini, sia la saga epica, sia i racconti riguardanti la mitologia.
L’impressione che ho, dalla mia conoscenza penosa dello svedese e dalle discussioni con amici, è che nella cultura nordica – o meglio, svedese, visto che qui vivo e questa realtà conosco – Il Signore degli Anelli sia molto meno esotico che ai nostri occhi, soprattutto nelle sue sfumature “pagane”. Forse perché si tratta di una cultura in cui il cristianesimo è arrivato tardi e non ha mai cancellato del tutto ciò che esisteva in precedenza.
Maggio 12th, 2009 at 09:12
Sì, sapevo che in Svezia il SDA è considerato un libro per ragazzi, e può darsi che il motivo sia proprio l’assenza di esoticità di un romanzo del genere a quelle latitudini. Del resto anche in Italia non è che la situazione sia molto migliore e forse per il motivo opposto, ovvero che è un romanzo “esotico”, quindi d’evasione, bla bla bla.
Certo, a partire dagli anni Novanta e poi con l’uscita della trilogia di Jackson, qui da noi c’è stato un certo fiorire di saggistica, anche tradotta, ma è rimasta retaggio di piccole case editrici e affidata all’iniziativa personale dei singoli curatori (nella migliore delle ipotesi cattolici). Sull’operato dell’editore italiano di Tolkien ho già detto nel commento precedente. Per quanto riguarda il mondo anglofono, posso dirti che i libri come quello di Caldecott sono del tutto marginali. La massima autorità accademica su Tolkien è il prof. Tom Shippey, che è stato suo allievo, e che non è affatto un cristiano militante, bensì un filologo. La sua interpretazione infatti è tutta incentrata sul legame tra filologia e narrazione nell’opera di Tolkien. I commentari e i saggi di Shippey sono una pietra miliare che cattolici e fascisti non possono certo smuovere. Ma del resto lo stesso Jackson nei suoi film, da buon anglosassone si è tenuto alla larga da una lettura ideologica del romanzo. Infatti è proprio questo il punto: in Italia ci sarebbe bisogno di liberare Tolkien – o almeno il ciclo dell’anello – dalle incrostazioni che si sono sedimentate nel corso di trent’anni. Così almeno lo stato del dibattito potrebbe mettersi alla pari degi altri paesi.
Maggio 15th, 2009 at 10:55
[Per errore abbiamo cancellato un commento di Ferruccio, rieccolo:]
La soluzione a questa “incrostazione” critica italiana potrebbe stare anche solo in una semplice questione generazionale.
Io SdA l’ho letto per la prima volta sette o otto anni fa – ho 26 anni – e dell’approccio “fascista” o “cattolico” (uff, ‘ste virgolette…) non sapevo praticamente nulla. Scoprire, dopo la lettura del libro, che la destra aveva adottato Il Signore degli Anelli come libro della gioventù fascistoide è stato più o meno come scoprire che la tua professoressa di italiano recita in dei porno nel tempo libero.
Proprio non riuscivo a conciliare quello che avevo letto nel libro con le idee della destra italiana.
Forse anche per merito di Jackson, secondo me è oggi sempre più difficile dare un’interpretazione così riduttiva e chiusa di Tolkien. Certo è un peccato che la corrente filologica non sia maggiormente considerata in Italia. Quando ho letto The Children of Hurin in inglese sono stato travolto dalla ricchezza del linguaggio di Tolkien. Sotto la densità aulica c’è una ricchezza e una varietà veramente sorprendente, che non credo sia stata mai resa del tutto nelle traduzioni italiane.
Maggio 15th, 2009 at 13:04
Intanto, bell’articolo e bella discussione…premetto che ho letto il SdA un paio di volte prima di vedere il film quindi potrei (con mia somma vergogna) confondermi; nel caso chiedo venia.
Una cosa che ho notato e che ritengo rilevante, anche se non ho avuto occasione di discuterne con molti: Nel SdA c’è un tema (fra i moltissimi), che è relativamente sottinteso, il deicidio. Se non ricordo male Sauron è un Maiar, un dio minore, servo del dio maggiore malvagio eccetera. Ora, la struttura teologica, e qui riprendo il Silmarillion, ricorda il passaggio dal politeismo al monoteismo: c’è Eru Ilùvatar, l’Uno (YHWH in pratica), poi tutta una serie di divinità maggiori e minori con le loro aree di influenza eccetera (per farla breve).
Insomma, Sauron è sì il signore del male, diciamo l’Avversario, se vogliamo usare riferimenti giudaico-cristiani… ma è comunque *tecnicamente* (se così si può dire) un Dio, non mi ricordo di aver letto da qualche parte della sua “caduta” o di una correlata perdita di potere o di status o che altro. Il che mi pare getti una luce… strana, insolita sulla dinamica della sua distruzione, contando poi il fatto che sancisce la fine di un’Era e l’inizio di un’altra, la Quarta, in cui la “magia” e il “soprannaturale” (non mi venivano termini migliori) cominciano a svanire: gli elfi salpano tutti verso Ovest dai porti grigi (e se non sbaglio anche gli Istari, i maghi); insomma con l’uccisione di un Dio comincia un’epoca relativamente più simile alla nostra… non so, è tutta una forzatura mia o ha qualche fondamento oggettivo su cui si potrebbe discutere?
Maggio 15th, 2009 at 13:41
@ Nikitas
“tecnicamente” non credo si possa dire che Sauron è un dio. Se gli dèi sono i Valar, allora i Maiar non sono tanto “dèi minori”, come dici, ma piuttosto aiutanti dei Valar nella costruzione del mondo, loro emissari, essenze angeliche che prendono forme umanoidi. Gandalf e Saruman sono Maiar, ad esempio, e così anche Sauron e i Balrog lo erano prima di essere corrotti e trasformati in demoni. Il dio che li ha corrotti, Melkor, in effetti viene sconfitto già alla fine della Prima Era, quindi non credo che la caduta di Sauron possa essere letta come una detronizzazione divina. Ma sicuramente, come dici tu, l’eucatastrofe finale del SDA sancisce la fine dell’elficità e della storia mitica nel mondo, quindi l’inizio della storia umana. E’ come se gli uomini dovessero dimostrarsi capaci di affrontare il male e sventarne la minaccia, per potere ereditare la terra. Ma come spesso viene fatto notare, non si tratta di una vittoria definitiva, poiché il male non è estirpabile dal mondo o dall’animo umano. La lotta continua… ma senza più aiuti dall’esterno.
Maggio 16th, 2009 at 17:18
Mi permetto di introdurmi nel vivace dibattito a cui anche io, incoscientemente, ho contribuito con la pubblicazione del mio saggio L’Anello e la Croce. Significato teologico del Signore degli Anelli (Rubbettino). Si tratta di un secondo saggio su Tolkien (il primo era del 2002: Tolkien, il signore della fantasia – Frassinelli). Il “problema” che inevitabilmente crea L’Anello e la croce è dovuto al fatto di essere il testo della mia tesi di laurea in Scienze Religiose discussa all’Università Gregoriana nel 2005. Non è un libro “a tesi”, ma è proprio una tesi. Consiglio quindi a chi ha “allergie cattoliche” il mio primo saggio del 2002. A parte questo, e ringraziando per l’attenzione che date al mio lavoro, vorrei precisare un paio di cose (quasi tutte scritte ne L’Anello e la Croce, ma repetita juvant, specie per quei lettori che Tolkien chiamava “frettolosi”):
1) ho letto il SdA a 12 anni e pur essendo cattolico di educazione, non ho capito nulla del cattolicesimo intrinseco del romanzo. E l’ho riletto tante volte ma solo tanti anni dopo ho colto questa “vena” sotterranea che mi ha come “allargato” il senso, la comprensione e il gusto per il romanzo. Questo per dire che non ho un’idea preconcetta in cui voglio ingabbiare Tolkien. Al contrario è Tolkien che è entrato dentro di me e ha allargato le gabbie (non cattoliche) in cui avevo rinchiuso il suo romanzo, le gabbie che me lo riducevano solo ad una splendida e malinconica opera fantasy.
2) per me la grandezza del romanzo è nel suo essere “universale” e questo vale per ogni opera d’arte che si rispetti. E lo dico da cattolico che per me vuol dire due cose: “laico” e “universale” (e qui è anche l’etimologia greca della parola che mi aiuta). E’ un libro che lascia libero il lettore ciò di cui egli è capace, come diceva Wittgenstein;
3) continuo a rileggere Tolkien da 30 anni e nel frattempo, avendo studiato teologia e altre cose simili, ad ogni rilettura mi sono scoperto più “capace”, più “capiente”, insomma ho gustato più a fondo il romanzo nei diversi livelli e infiniti significati. Non penso di avere l’esclusiva, non sarei appunto “cattolico”, ma è come quando uno impara e bere il vino, crescendo lo apprezza sempre di più e poi magari fa anche un corso di sommellier e lo apprezza nel profondo, con maggiore consapevolezza, oppure quando uno va a sentire un bravo violinista essendo violinista anche lui. Io e Tolkien siamo cattolici apostolici romani entrambi.. e così apprezzo delle cose che dice, come le dice, le “riconosco”. Da questo punto di vista la mia tesi è stata questa: leggere il Tolkien scrittore alla luce del Tolkien lettore di se stesso. Le sue lettere per me sono una delle più belle letture spirituali della mia vita. Proprio perchè lui non è mai “didattico” o “predicatorio” e non amava l’allegoria.
4) quando ero ragazzo e poi da grande quando ho conosciuto la Società Tolkieniana italiana ho capito che la mia riflessione da lettore educato cattolciamente non era apprezzata, perchè in Italia c’era qualcuno che aveva messo il marchio e riteneva di avere l’esclusiva sull’esegesi di Tolkien. Ho scritto il mio primo saggio per “liberare” Tolkien dalla gabbia.
Leggendo le vostre riflessioni ho avuto l’impressione che vorreste rimetterlo in gabbia, al di là delle belle dichiarazioni. Ma forse mi sbaglio, non penso che siate le stesse persone che per anni non apprezzavano il mio lavoro di lettore di Tolkien e del suo epistolario. Giusto?
Un saluto cordiale e cattolico, cioè a tutti, ciao!
andrea monda
Maggio 17th, 2009 at 01:25
@ Andrea Monda
Gentile professor Monda,
in questa discussione si è dato in realtà poco spazio al suo libro più recente, cioè alla sua tesi di laurea presso l’Università Gregoriana. Ad esso io ho fatto soltanto accenni e ho fornito un esempio spassoso di come il fatto di indossare certi “occhiali” porti a vedere la Croce (il segno della Croce, nella fattispecie) anche dove non c’è.
Non è necessario quindi buttarla sul personale. Non è mia abitudine fare processi alle intenzioni e non ho motivo di dubitare che le sue fossero e siano le migliori. Ho chiamato in causa il suo libro “L’Anello e la Croce”, mettendolo in relazione con quello di Caldecott, valutando semplicemente quello che vi è scritto. Né avrei potuto fare altrimenti.
Come lei stesso afferma, ha scelto di sostenere una tesi, e – aggiungo io – di ri(con)durre i molti temi, la complessità e le contraddizioni che vivono nel Signore degli Anelli, ad una sola chiave di lettura, a un quadro coerente e conchiuso, al fine di dimostrare la tesi stessa.
Nel suo libro la celeberrima citazione dalla lettera 142 – “Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica” – è un ipse dixit ripetuto per ben OTTO volte. Di contro, il discorso del maggiore critico vivente dell’opera di Tolkien, Tom Shippey, viene liquidato come “non del tutto convincente” (che significa?) e “troppo filologico” (espressione invero curiosa per un ammiratore di Tolkien).
Questo è solo uno spunto esemplare dell’approccio del suo libro. Si potrebbe continuare chiedendo dove si collochino “teologicamente” i personaggi di Tom Bombadill e Baccador; o come sia compatibile il finale dolente e malinconico che connota il personaggio di Frodo, rilevato da tutti i commentatori, con la Resurrezione; o come si possa affermare che i protagonisti del romanzo confidano nella divina provvidenza a fronte delle loro stesse manifestazioni di pessimismo prima dell’eucatastrofe finale (con l’unica esclusione di Gandalf, forse); o ancora come si possa avallare l’incredibile affermazione di Franco Manni secondo cui “legittimamente possiamo parlare di religione e, anzi, che questa religione della Terra di Mezzo sia molto vicina e molto fedele a quella degli ebrei e dei cristiani” (sic!). Più in generale viene da chiedersi come sia possibile presentare il SDA come un romanzo rigidamente cattolico, quando è un’opera pregna di riferimenti al paganesimo e centrata proprio sul dialogo, il conflitto e l’osmosi tra paganesimo e prerequisiti di cristianesimo.
Potrei continuare a lungo, ma non ho motivo di dubitare che nel suo libro precedente, a cui lei stesso rimanda, sia possibile trovare soddisfazione alle suddette perplessità. Perplessità che ovviamente lei è liberissimo di considerare frutto di “allergia al cattolicesimo”, anziché di una conoscenza della letteratura primaria e secondaria, nonché del suo testo (anche se questo – se lo lasci dire – non è elegante da parte sua).
Ad ogni modo porrò rimedio alla lacuna leggendo il suo libro precedente quanto prima.
Purtroppo però qui stiamo parlando de “L’Anello e la Croce”: un testo ideologico e di parte, che in modo articolato e appassionato tratta solo una faccia del Signore degli Anelli, pretendendo così di escludere ogni contraddizione interna. Contraddizioni che invece, come da anni non si stanca di spiegarci Tom Shippey, rappresentano l’anima del romanzo, il vero segreto della sua universalità, e che sono poi le questioni che hanno appassionato Tolkien per tutta la vita. La questione del Male, la questione del Potere, della Morte, dell’agire e dell’eroismo, etc. Ad esse nel romanzo non viene data una risposta rigidamente dottrinale, né definitiva, bensì problematica, come sono spesso le risposte intelligenti. E questo tanto più perché Tolkien, come lei stesso rileva, non intendeva insegnare niente a nessuno (eccetto forse l’inglese antico).
Viene quindi da chiedersi che senso abbia liberare Tolkien dalla gabbia in cui è stato abbandonato per decenni soltanto per chiuderlo dentro un’altra, magari meno maleodorante, magari anche dorata, o perfino santa, come vorrebbe Caldecott, ma pur sempre gabbia.
Peggio di quelli che lei definisce lettori “frettolosi” ci sono soltanto i lettori “faziosi”.
Lei sostiene di avere voluto “leggere il Tolkien scrittore alla luce del Tolkien lettore di se stesso”. Ciò che è contestabile è al fondo proprio questo. Pretendere cioè di leggere un’opera letteraria leggendovi dentro le intenzioni dell’autore, anziché la molteplicità di temi e stratificazioni che la rendono immortale. Identificarsi con l’autore di un romanzo è un esercizio pericoloso, e troppo spesso sviante, anche quando il suo epistolario è una lettura di prim’ordine. Ancora di più lo è percepire l’autore come un’autorità indiscussa sull’opera e usarlo come una sorta di pontifex ex cathedra (magari ripetendo le stesse citazioni come un mantra). Ma questa riflessione mi porterebbe troppo lontano. Magari un’altra volta.
Per concludere e per conoscerci meglio: io ho letto il Signore degli Anelli la prima volta a 15 anni, e sono un lettore di Tolkien da appena vent’anni. Confido però di riuscire a mettermi in pari
Grazie per il suo contributo alla discussione.
Alla prossima.
Maggio 17th, 2009 at 09:24
Gentile Wu Ming,
La ringrazio per la pronta e appassionata risposta. Ovviamente non la penso come Lei su tanti punti e direi di fare così: Lei vive a Roma? Perchè non ci vediamo? Sarebbe troppo lungo e complicato, per iscritto, risponderLe punto per punto. Meglio l’oralità e il faccia a faccia, a volte.
Comunque così, al volo, posso dire questo:
1) la linfa cattolica che fa vivere il romanzo non è l’unica linfa, e non ho mai sostenuto che il romanzo sia “solo” religioso e cattolico. C’è molto paganesimo, c’è molta letteratura, c’è molto molto ’900. Ma non si può escludere la matrice cattolica, si perderebbe il senso del romanzo;
2) apprezzo molto il lavoro di Shippey che “media” tra paganesimo e cristianesimo e indica le varie “fonti” della poetica tolkieniana. Inoltre Shippey si spinge molto in là (e lì non lo seguo) quando parla del mistero dell’Incarnazione presente (anche se in modo allusivo) nel romanzo (vedi Shippey in L’Autore del secolo p.232) oppure quando parla del canto del gallo nel momento del cambio del vento dell’assedio di Minas Tirith e fa il riferimento al canto del gallo del rinnegamento di Pietro. Cioè, il “laico” Shippey legge molto più cattolicamente il romanzo del cattolico Monda. Secondo me troppo. Come secondo me Peter Jackson fa nel suo film dove il famoso segno della croce di Aragorn su Boromir agonizzante (che è la fonte della derisione di cui sono stato fatto oggetto) è da me criticato, nel senso “filologico”: non c’era nel romanzo e mi ha colpito il fatto che nel momento di fare un film il regista abbia messo lì un gesto (croce o non croce) ma che ha il sapore tipico della religiosità, della preghiera… tutte cose che Tolkien ha volutamente espunto dal romanzo, con qualche eccezione. Cioè io non seguo allegoricamente in modo chiuso, il romanzo;
3) il finale del romanzo, con la partenza di Frodo, è intriso di malinconia perchè tutto il finale vedere al centro Sam, ma è proprio un finale cristiano. Questo lo spiego anche nel mio vituperato lavoro di tesi universitaria (L’Anello e la Croce): il paganesimo è rappresentato da Sam, che torna a casa come Ulisse; il cristianesimo da Frodo che invece va oltre, supera la terra per andare “in cielo”, per superare la ciclicità del globo terraqueo e proiettarsi verso la Beatitudine di Valinor. Rimando quindi al mio testo, anche l’ultimo;
4) dico di leggere Tolkien scrittore alla luce delle sue lettere, il che vuol dire che sono io, lettore, che mi faccio aiutare da una luce, ma non pretendo di far parlare Tolkien imponendogli cose che non dice o altro. Tra l’altro, mi pare di averlo anche scritto, non penso nemmeno che l’autore sia quello che ne sa più di tutti, non è quindi la fonte più autorevole. E anche questo lo dice Tolkien nelle sue lettere: “solo Dio e l’angelo custode conoscono il mistero che lega un’opera al suo autore”. Ecco io la penso così, anche qui sono d’accordo con Tolkien. Insomma: io ho letto un bel romanzo, che mi ha fatto piangere di felicità per oltre 30 anni, volevo ringraziarlo ri-raccontandolo con tutti i miei limiti. QUando una cosa piace molto a molti è inevitabile che nascano “irritazioni”, perchè ognuno lo tira a sè. Io ho cercato di “tirarlo” verso Tolkien stesso e cercando di spiegare, a me innanzitutto e poi agli altri, cosa c’è di così bello in questa storia. Anch’io come Tokien sono devoto di Maria “su cui si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza sia come maestà sia come semplicità”, e questo, forse, dico forse, mi ha aiutato a gustare più nel profondo la bellezza del romanzo; ripeto: non lo so, lo spero.
E ripeto che sono d’accordo con quanto detto all’inizio di questo dibattito: è una storia universale, avviene cioè che il lettore, leggendolo, viene letto, scopre cioè che la favola parla di lui, della sua vita profonda, di quell’epica quotidana che è la nostra esistenza su questa terra.
Mi dispiace se non sono stato elegante, se ci incontriamo di persona cercherò di rimediare.. la posso invitare ad un tè con biscotti, un po’ come fece Bilbo con Gandalf all’inizio dello Hobbit?
Cordiali saluti in salsa hobbit (e di questi ometti dovremmo parlare un bel po’), a presto!
Andrea Monda
Maggio 17th, 2009 at 13:47
@ professor Monda
Purtroppo no, non vivo a Roma, e non mi capita nemmeno molto spesso di passarci. Ma chissà.
Sia chiaro che non pretendevo una risposta punto per punto alle mie obiezioni, tanto più che io stesso le ho esposte in maniera sommaria, per fare capire a grandi linee quali sono le macroscopiche differenze tra il mio e il suo pensiero.
Rispetto a quanto lei sostiene mi concedo anch’io alcune precisazioni:
1) Che la linfa cattolica che fa vivere il Signore degli Anelli non sia l’unica linfa è quanto lei sostiene qui e forse nei suoi libri precedenti. “L’Anello e la Croce” invece tratta esclusivamente della linfa cattolica e presenta il SDA come un’opera rigidamente religiosa, con corrispondenze e allegorie strettissime sia rispetto ai personaggi sia rispetto ai concetti teologici e di fede rintracciati nel testo. Non dubito che il suo pensiero su Tolkien e sul SDA sia assai più articolato e obiettivo, ma non è il taglio che lei ha dato al suo libro in questione.
2) Non è affatto vero che “il laico Shippey legge molto più cattolicamente il romanzo del cattolico Monda”. Shippey, infatti, laicamente pone in forma di quesito la presenza di un riferimento all’Incarnazione nel dialogo tra Gimli e Legolas nell’Ultima Discussione. In sostanza formula un’ipotesi (azzardata, in questo concordo con lei), ma non cerca affatto di dimostrare una tesi. C’è una bella differenza. Detto questo, è evidente che lei non può concordare con Shippey, poiché quell’episodio – in cui due esseri senz’anima parlerebbero dell’Incarnazione che verrà come qualcosa che non li pertiene – è inconciliabile con l’idea di un SDA romanzo cattolico e cristiano.
Quanto poi all’episodio del canto del gallo e dei corni dei Rohirrim che gli fanno eco è proprio un esempio del discorso non ideologico di Shippey e delle sue convinzioni di fondo: e cioè che uno dei temi portanti del romanzo sia il dialogo tra paganesimo e cristianesimo, ovvero addirittura tra cristianesimo e post-cristianesimo. Tra il professor Monda e il professor Shippey quindi, il primato cattolico rimane saldamente nelle mani del primo, come è giusto che sia.
Quanto infine al gesto di preghiera di Aragorn nel film di Jackson, è evidente che lei è libero di vederci ciò che vuole. Non c’è niente di male in questo, purché non si pretenda che il cristianesimo abbia l’esclusiva dei gesti di preghiera. Perché non parlare del gesto di Aragorn immediatamente precedente, quando mette la spada in mano a Boromir per concedergli di morire con la propria arma? Non erano i paganissimi vichinghi a credere che questo fosse un buon viatico per il Valhalla? E che dire del funerale riservato al caduto, simile anch’esso a un rituale vichingo, con la barca come bara, abbandonata alla corrente. E’ evidente, professore, che il vizio (o la trave) è nell’occhio di chi guarda.
3) Che il finale del SDA sia cristiano è in buona parte vero, ma non nel senso che sostiene lei ne L’Anello e la Croce. “Il Signore degli Anelli contiene al suo interno tracce del messaggio cristiano, ma si rifiuta assolutamente di ripeterlo. I miti della Terra di Mezzo inoltre rifiutano con determinazione un qualsiasi senso di estrema salvezza” (Shippey, Tolkien autore del secolo). Non v’è una sola parola in tutto il romanzo che avalli anche solo vagamente l’idea di una Resurrezione. Non vi è Gioia. L’abbandono della Terra di Mezzo da parte di Frodo, Bilbo, Gandalf e soprattutto degli ultimi Elfi non ha nemmeno lontanamente l’aspetto di un ricongiungimento col Padre, bensì di un addio definitivo, di una scomparsa, della fine di un mondo mitico destinato a essere sempre più relegato alla dimensione leggendaria. Ancora una volta quello che lei vede nella figura e nel destino di Frodo è ciò che lei vuole vedere (o che la fede personale di Tolkien le suggerisce), non certo quello che traspare dalle pagine del romanzo.
4) Sì, è vero, lei ha scritto che l’autore non è la fonte più autorevole. Ha anche scritto che il SDA non è un’allegoria, ma solo un bellissimo racconto. Peccato però che il suo libro, dall’impostazione di fondo fino all’ultima citazione, sostenga il contrario. Per tutto il libro lei continua a portare Tolkien (l’epistolario privato) a difesa delle sue tesi sul romanzo; continua cioè a leggere il SDA non già come un bellismo racconto, ma come un’allegoria della fede del suo autore. In questo modo la fortissima devozione di Tolkien diventa tautologicamente conferma della cattolicità del romanzo. Io contesto e contesterò sempre questa metodologia, sia essa applicata a Tolkien o a qualunque altro autore, credente o non credente che sia.
Detto questo, vorrei essere molto chiaro. Nonostante le mie dure critiche, io ho apprezzato il suo libro. Esso contiene spunti interessanti – a prescindere che io li condivida o meno – e passaggi che trovo risibili. Nel complesso sono contento di averlo letto, come ho letto il libro di Caldecott (l’ho perifno recensito), perché questo mi dà la possibilità di confrontarmi criticamente con letture molto diverse dalla mia. L’universalità di un’opera produce questo, suppongo, ed è giusto che sia così.
Quanto al tè con biscotti, la ringrazio per il cortese invito, ma temo che per il momento, data la distanza, dovrò declinare. Se le dovesse capitare di passare da Bologna, la città in cui vivo, sarà mio piacere ricambiare l’offerta. Ma solo se promette di non lasciare segni sulla mia porta di casa
A presto
Federico Guglielmi (Wu Ming 4)
Maggio 17th, 2009 at 22:23
Gentile dott.Guglielmi (è più bello di Wu Ming – e cosa vuol dire Wu Ming?),
La ringrazio perchè discute con me, in genere trovo molto difficoltà quando provo a parlare di Tolkien con persone che dissentono con me (difficoltà che gli altri sollevano), mentre io penso che il dissenso sia il punto di partenza per il dialogo. Quindi grazie. Poi:
1) da molti anni scrivo di Tolkien e in genere tratto della linfa cattolica
del SDA ma non perchè penso sia l’unica linfa, ma perchè è quella che conosco meglio e che è stata arricchita dalla lettura dei libri di Tolkien. Cioè: Tolkien non solo mi ha fatto gioire come lettore, ma mi ha anche fatto “crescere” come cattolico, mi ha fatto appronfondire la mia fede che, dice S.Agostino, deve anche essere “pensata”. In particolare in quest’ultimo saggio (che ripeto è una tesi discussa in Scienze Religiose) mi sono soffermato su tale linfa per esaminarla nel dettaglio ma questo non esclude che ci possano essere altri ingredienti nel minestrone-Tolkien, non capisco perchè Lei nega che io la pensi così: ci sono altri ingredienti, li lascio allo studio di quelli più bravi di me. Devo dire che ciò che ho letto non mi ha convinto molto, eppure io amo molto la mitologia pagana, nordica o greca che sia. Ad esempio il saggio di Passaro-Respinti su “Paganesimo e cristianesimo in Tolkien” mi ha lasciato insoddisfatto (da entrambi le parti). Il punto semmai è che il cattolicesimo non è solo un altro “ingrediente” da accostare agli altri, come appunto in un minestrone. Il cattolicesimo riguarda anche la perizia con cui il cuoco cucina, riguarda la vita di quella persona e tutto di quella vita (se è un bravo cuoco) passa in modo misterioso anche nel minestrone.
2) siamo quindi d’accordo sulle ipotesi “azzardate” di Shippey. Bene.
Io non concordo non con lo Shippey “laico o pagano” ma con lo Shippey “cattolico”, perchè esagera nel chiudere le allegorie. E mi sembra che anche Lei, volendo fare il cattolico, le chiuda enormemente: che c’entra il fatto (non provato nè provabile) che Gimli e Legolas sarebbero due “esseri senz’anima”, ma chi lo ha detto?
Per me il cattolicesimo non è un’ideologia ma anzi ciò che ci libera dalle ideologie: il cristianesimo non è un’idea, ma l’incontro con una persona: Cristo. In questo mi permetto di rinviarla a leggere l’incipit della Deus Caritas Est di Benedetto XVI.
Sul gesto di preghiera di Aragorn: a me ha ricordato il segno della croce, a lei? Sono d’accordo che in fondo ognuno è libero di vederci ciò che vuole.
A me ha colpito perchè non c’era nel libro e invece Jackson lo ha aggiunto, perchè? Sì, può darsi che ci sia molto di paganesimo nordico nella morte di Boromir, così come nel personaggio di suo padre Denethor che si suicida sulla pira, una pira molto pagana. Già Faramir è molto diverso.
Ma direi di uscire dalla classifica degli elementi cattolici e pagani, lei che ne pensa? Ripeto: mi indichi una frase dove io sostengo che il SdA è solo cattolico e non può essere accostato a nessun altra cultura.. magari l’ho scritto, mi è sfuggita questo errore, se me lo segnala vado a correggere. Penso (ripeto) che sia un albero con la linfa cristiana e la corteccia pagana per scelta voluta esplicitamente dall’autore che ha tolto dalla corteccia ogni traccia di religiosità, quindi mi permetto di indicare anche il mondo che pulsa oltre la corteccia.
3) Non c’è Resurrezione nel SdA perchè non c’è incarnazione, checchè ne dica Shippey. In questo mi fido più di Tolkien, che esclude che nessun uomo potrebbe “inventarsi” una storia così sublime e divina come quella dell’Incarnazione. Certo il ritorno di Gandalf ricorda la resurrezione, così come il viaggio finale di Frodo ricorda il Purgatorio e quindi il Paradiso, ma si tratta di analogie, con tutta la bellezza e la pregnanza delle analogie.
Mettono in moto l’immaginazione, per questo TOlkien dice che il cattolicesimo è intrinseco al simbolismo della storia.
Lei scrive che nel romanzo “Non vi è Gioia”. Qui sarò reciso: NO. Il romanzo è ricco di Gioia, è animato dalla Gioia dalla prima all’ultima pagina. Altrimenti perchè le è piaciuto? Una volta volevo scrivere (poi ho accantonato il progetto ma a questo punto devo riprenderlo) un articolo analizzando le tantissime esplosioni di gioia (evidenziata dallo scoppio del riso) dei personaggi del romanzo, Gandalf in primis. E’ un inno alla Gioia, direi. E la Gioia (con la G maiuscola) non è opposta alla malinconia, la malinconia tolkienana ovviamente (che è appunto ricca delle trafitture della Gioia). Le dice qualcosa la parola “eu-catastrofe”?
Quindi dopo tutto quello ha fatto, Frodo secondo lei sarebbe condannato ad un esilio triste, disperato e insensato? Quando l’ho letto a 12 anni, un’età molto “pagana”, piansi molto perchè mi sembrava appunto così.. ma poi
sono cresciuto (“Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato” 1 Cor 13,11). Lo so, il lieto fine,la resurrezione è difficile da “digerire”, è appunto il Vangelo, la lieta notizia che gli uomini spesso rifiutano.. ma verso cui, nel profondo, anelano. Ha letto il saggio di Tolkien On Fairy-Stories? è scritto tutto lì e nel finale di quel saggio.
4) Di nuovo: mi indichi dove ho sostenuto l’allegoricità del romanzo.
La fede dell’autore non è automaticamente la fede dell’opera. Penso che fior di cristiani hanno realizzato opere molto poco cristiane e fior di non-cristiani hanno realizzato opere piene di “cattolicesimo implicito”. In questo è interessante leggere i saggi di Greene e di Rahner. Per me “cattolico” e “umano” sono quasi due sinonimi. Cristo è vero Dio e vero uomo.
La ringrazio infine perchè dice di aver apprezzato il suo libro, non mi era del tutto chiaro in effetti, la “derisione” non mi appare, in genere, come segno di apprezzamento. E infatti le chiedo di segnalarmi i “passaggi risibili”, magari lei ha ragione e in fase di seconda edizione provvederò a modificarli. Non c’è ironia, ma solo auto-ironia, credo come Borges che il dubbio sia “uno dei nomi dell’intelligenza”. Mi aiuti a scrivere cose meno risibili. Anch’io sono grato a chi mi dà la possibilità di confrontarmi criticamente con letture molto diverse dalla mia. Ripeto quanto detto all’inizio: il dissenso è l’inizio del dialogo. Ho provato a dialogare con i lettori di Tolkien “di destra”, paganeggianti, ma spesso mi è parso che si fermassero alla corteccia senza scendere al livello della linfa. Mi sembra che lei non appartiene a questo tipo di lettori, spero di vederci giusto (senza troppe travi nell’occhio).
Dovrei passare da Bologna, dove ci sono alcuni lettori di Tolkien molto vispi, anche loro cattolici (anzi proprio religiosi, preti e monaci) ma questo non dovrebbe essere, nel 2009, motivo per ostracismo o emarginazione, e quindi, venendo a trovarli ci si potrebbe vedere magari in una sala da tè per i famosi biscotti di un vero unexpected party. A presto!
Andrea Monda
Maggio 18th, 2009 at 01:21
@ prof. Monda
Una preghiera: tralasci il “dottore”, mi fa pensare ai medici, ed io non lo sono proprio. La laurea (in filosofia, non in medicina) del resto è troppo lontana e troppo inutile perché possa volermi fregiare di quel titolo. Wu Ming significa “anonimo” in cinese mandarino ed è semplicemente il nome del collettivo di scrittori di cui faccio parte e che cura il sito su cui questo blog è ospitato. Questo giusto per sapere a casa di chi è capitato.
Una seconda preghiera: non mi attribuisca cose che non ho detto. Io ho detto che non dubito che nei suoi libri precedenti lei abbia trattato le molte linfe che alimentano l’albero del SDA. Il fatto che lei non le neghi dimostra la sua onestà intellettuale, e tuttavia ciò non traspare dal suo libro “L’Anello e la Croce”, dove vengono presi in esame soltanto certi elementi presenti nel romanzo a discapito di altri, producendo una lettura univoca. E’ evidente che lei non ha mai scritto che “il SdA è solo cattolico e non può essere accostato a nessun altra cultura”. Però ha fatto ben di più: ha scritto un libro che rappresenta perfettamente questa tesi. Dal nostro scambio deduco che forse lo ha fatto inconsapevolmente, ma tant’è.
Ora, è certamente suo pieno diritto scrivere un libro in cui fornisce una chiave di lettura del SdA basata su corrispondenze speculari tra i personaggi del romanzo e le figure della teologia e della tradizione cristiana e cattolica; un libro in cui ogni elemento viene ricondotto a un’uniforme e coerente visione teosofica. Ed è mio diritto criticare tale interpretazione non già per la sua falsità, ma per la sua parzialità e limitatezza. E’ precisamente ciò che ho fatto.
Una terza preghiera: io non mi metto a darle lezioni di scrittura, ergo per favore lei non si metta a darmi lezioni di religione. Ognuno si tenga i propri vizi professionali e sono convinto che il confronto non potrà che guadagnarne.
Una quarta preghiera: Se Shippey è troppo rigido quando si mette a fare il “cattolico” e la sua ipotesi circa la presenza nel testo di un riferimento all’Incarnazione è poco convincente, mi spiega come mai ne “L’Anello e la Croce” lei si riferisce a tale ipotesi come a “un’altra felice intuizione di questo studioso” (pag.176) e la definisce “condivisibile” (pag.177)?
Una quinta preghiera: cerchi di non fraintendermi. Non ho scritto che nel SdA non c’è Gioia (sarebbe una scempiaggine). Mi riferivo al finale del romanzo. Certo che c’è un’eucatastrofe, ma c’è anche un post-eucatastrofe. E come lei sa meglio di me è quello il vero finale del romanzo, la progressiva acquisizione di consapevolezza da parte di Frodo che il mondo gli è ormai estraneo e di non avere più nulla “da godere, da vivere, da fare”. Non è un finale gioioso e Frodo, sconfitto, non se ne va con una speranza di rinascita nel cuore.
Lei mi chiede: “Quindi dopo tutto quello che ha fatto, Frodo secondo lei sarebbe condannato ad un esilio triste, disperato e insensato?”. A questo il romanzo non fornisce risposta. Si può forzare un’interpretazione cristiana, come fa lei (utilizzando fonti esterne al testo) o invece vedere Frodo non già come una figura pseudo-cristologica, bensì come un Cristo mancato, perché ancora in mezzo al guado, perché ancora pre-cristiano. Si può in sostanza vedere in quel finale la tragedia pagana. E siccome io credo che sia proprio questa bipolarità a permeare le 1300 pagine precedenti, credo anche che Tolkien abbia fornito un finale coerente e non un happy end.
Lo so, la tragedia è difficile da “digerire”, è il dilemma degli antichi… e dei contemporanei – nostri e di Tolkien. Ho il presentimento che la fede di Tolkien fosse assai più criticamente, problematicamente, e appassionatamente vissuta di quanto non fosse quella di Manzoni, e penso che proprio di questo ci parli il SdA con il suo “tragico” finale, cioè del parallelismo tra paganesimo e post-cristianesimo. Tragico poi solo a metà, ovviamente, perché il vincitore morale e materiale sappiamo bene essere Sam. E’ lui che – cristianamente, lui sì, – eredita la terra, gli affetti, il presente e il futuro.
Il finale del saggio “Sulle Fiabe” si adatta quindi alla sua lettura del SdA perché ancora una volta è lei che vuole sovrapporre l’uno e l’altro, cioè interpretare il romanzo alla luce di quanto è scritto altrove.
Sesta ed ultima preghiera: non guardi il dito invece della luna. Io non ho detto che lei ha sostenuto l’allegoricità del SdA. Ho detto che nel suo libro lei ha prodotto una lettura allegorica del SdA, mentre negava di volerlo fare. E per di più lo ha fatto utilizzando allegorie molto strette. Frodo, Gandalf e Aragorn sarebbero tre immagini di Cristo. Alternativamente Gandalf potrebbe anche essere San Paolo o perfino lo Spirito Santo (!). Gollum sarebbe Giuda, Sam sarebbe paragonabile a Cireneo, Galadriel sarebbe una figura della Santa Vergine, le Montagne Nebbiose rimanderebbero al Sinai, Granburrone e Lothlorien a chiese (magari cattedrali?). Senza dimenticare che lei attribuisce a padre Sommavilla il titolo di “lettore più acuto di Tolkien, in Italia”, ricordando che ha cercato di far corrispondere gli episodi del SdA a episodi della Bibbia!
Raramente ho letto una versione più strettamente allegorica del SdA di quella fornita ne “L’Anello e la Croce”. Lei si è talmente lasciato prendere da questa ricerca dell’allegoria “baciata” da scrivere alla figlia di Tolkien per domandarle se suo padre avesse una qualche particolare devozione verso la Santissima Trinità, perché sospettava che il capitolo del SdA intitolato “In tre si è in compagnia” contenesse un riferimentoi trinitario. La risposta che ha ricevuto è uno di quei momenti “risibili” a cui accennavo (anzi, senza offesa, ammetto di essermi fatto proprio una grassa risata). Priscilla Tolkien infatti le ha candidamente risposto che il titolo in questione si riferisce a un vecchio gioco di parole inglese caro a suo padre: “in due si è in compagnia, in tre si è una folla”. Lunga vita a Priscilla e che possa fermare ancora il sacro fuoco allegoristico.
Concludo con una rassicurazione. L’ostracismo e l’emarginazione li riservo in effetti a certa destra estrema che ha malamente bazzicato i testi di Tolkien, indisturbata per troppo tempo. Con essa, ahimé, temo di non potere fare altro che confliggere. Tuttavia non è una grande perdita, perché certe interpretazioni puerilmente tradizionaliste del SdA forse non meritano nemmeno che ci si perda troppo tempo. Altro discorso, come credo di avere dimostrato, sono le letture e i lettori cattolici.
Questa è la più lunga disquisizione su Tolkien che mi sia mai capitato di fare. Nonché una delle pochissime. Vorrà pur dire qualcosa, no?
Maggio 18th, 2009 at 14:45
Gentile prof. Monda,
Mi rendo conto che nella mia precedente risposta potrebbe celarsi un apparente equivoco. Doverosamente faccio ammenda e spiego meglio cosa intendo rispetto alla questione allegoria/simbolismo.
Per fare questo però ho bisogno di rifarmi al significato più antico e basilare dei due termini, quello appunto che utilizzava Tolkien, e di prescindere dal dibattito più recente.
Il dizionario definisce Allegoria un “procedimento retorico con il quale i concetti vengono rappresentati in figure concrete di persone, animali o cose dotati di significato autonomo.” L’etimologia del termine deriva dal greco “allos” = altro + “agorein” = parlare. Dire una cosa per intenderne un’altra.
Tolkien ha sempre negato di avere scritto la sua storia animato da questa “doppiezza”. Ovviamente non negava la possibilità di rintracciare l’allegoria nel suo romanzo, e men che meno sosteneva che fosse illegittimo farlo, ma chi voleva procedere su quella strada non avrebbe trovato in lui un collaborazionista. A mio avviso questa attitudine non era dettata da un eccesso di modestia, ma dalla saggezza. Io credo che fosse ben consapevole, infatti, che la pedissequa ricerca di corrispondenze allegoriche avrebbe rischiato di ridurre la portata e la complessità di ciò che aveva scritto. Avrebbe cioè trasformato il suo romanzo da opera “fondamentalmente religiosa e cattolica” – cioè basata su fondamenta che poggiavano sulla sua stessa fede – in manifesto dottrinale e teosofico (o addirittura politico, come accadde). Il rischio, in buona sostanza, era che il SdA venisse letto come la Divina Commedia.
Ebbene sappiamo che Tolkien ha altresì riconosciuto la presenza del simbolismo religioso nel SdA.
Il solito dizionario ci dice che il Simbolo è un “elemento concreto, oggetto, animale o persona, a cui si attribuisce la possibilità di evocare o significare un valore ulteriore, più ampio e astratto rispetto a quello che normalmente rappresenta.” Il termine viene dal greco “symballein”, composto da “syn” = insieme + “ballein” = gettare. Mettere assieme, accostare due o più cose, una delle quali concreta e l’altra astratta.
Il simbolismo rimanda quindi a concetti, immagini e temi, più ampi e più aperti. Il SdA infatti è pieno di momenti di personifcazione e tematizzazione del Male, del Potere, della Tecnologia, della Libertà, della Grazia, della Provvidenza, etc.
Il punto è cosa c’entri questo con la stretta corrispondenza ricercata tra i passi/personaggi/luoghi del SdA e i passi/personaggi/luoghi biblici o neotestamentari. Procedendo in questo modo, quello che si pretenderebbe essere simbolismo si riduce fino a ritrovarsi in scala 1:1 con il racconto, cioè si avvicina molto a una narrazione parallela, o sottotraccia che disvelerebbe il “vero” significato della storia, cioè a un’allegoria. Nella definizione del vocabolario, l’allegoria viene infatti definita anche come “interpretazione della Sacra Scrittura secondo la quale gli avvenimenti descritti nell’Antico Testamento prefigurano momenti della vita di Cristo e della storia della salvezza.” Ecco, io definirei questo modo di leggere “corrispondenzialista”.
Ora, voglio precisare una volta per tutte che in ciò non trovo nulla di illegittimo, purché si sia disposti ad ammettere che su questo livello esistono allora molte corrispondenze possibili. Per Lei Aragorn si fa il segno della Croce, e poco importa che un attimo prima abbia garantito l’ingresso nell’Aldilà a Boromir offrendogli di morire con la spada in pugno. Un neo-pagano appassionato di croci celitiche darà invece più risalto a questo secondo gesto, traendone tutt’altro spunto. Ecco perché, secondo me, a Tolkien non interessava questo livello di corrispondenza, ma appunto, il simbolismo alto, inerente i temi universali comuni a paganesimo e cristianesimo (ma soprattutto al post-cristianesimo), nonché i rispettivi modi di affrontarli.
Ecco, spero di essermi spiegato meglio.
Maggio 20th, 2009 at 10:30
mi scuso per il ritardo ma sono “travolto” dalla preparazione dello spettacolo teatrale che ho messo in scena con i miei studenti, ispirato a Sunset Limited di Cormac McCarthy che si svolgerà il 25 e 26 maggio.
Le piace McCarthy? a proposito di epica.. A me piace tanto e anche ai miei studenti di religione cattolica (è questo il mio mestiere quotidiano per i licei di Roma) è piaciuto tanto al punto che abbiamo deciso di rappresentarlo.. se passa da Roma lunedì o martedì prossimo potrebbe venire a vederci!
Appena questo “tornado” sarà passato prometto di risponderLe e grazie per la pazienza che dimostra nei miei confronti. Cari saluti.
Andrea
Maggio 20th, 2009 at 10:53
Non si preoccupi, professore, qui nessuno ha fretta. Tanto più che non stiamo certo dibattendo per convincerci vicendevolmente, dato che le nostre posizioni appaiono con ogni evidenza inconciliabili. L’utilità di dibattere su un blog pubblico piuttosto che davanti a una tazza di tè è che eventuali terzi possano trovare spunti di riflessione e farsi un’idea nel merito dell’argomento trattato. I nostri gusti letterari invece sono simili: anch’io amo molto Cormac McCarthy. Peccato che gli impegni lavorativi e famigliari al momento non mi consentano trasferte.
A presto.
Maggio 20th, 2009 at 19:39
@Wu Ming 4
Sono un eventuale terzo .
Hai ragione, nella vostra discussione ci sono valanghe di spunti di riflessione, soprattutto per chi, come me, non ha conoscenze approfondite su Tolkien.
Ho letto il SDA (in italiano) come introduzione al genere Fantasy, ma ammetto di non esserne rimasto colpito, anzi, ricordo solo di essere rimasto deluso dalla piattezza delle caratterizzazioni dei personaggi, e questo ha affossato il resto. Mi sembravano più figure, simboli che persone.
Eppure… eppure capivo che c’era qualcosa che andava oltre ma che non ero in grado di raggiungere. Così mi son detto che prima o poi l’avrei riletto. Non l’ho ancora fatto, ma sono post come questi che offrono altri livelli di lettura — e che comunque tempo di non cogliere completamente, per mia ignoranza — e che invogliano a rimettersi in gioco, a slittare un punto di vista per fare spazio ad un altro, magari più illuminante.
Quindi, Wu Ming, Andrea, grazie.
Alex.
Giugno 3rd, 2009 at 19:28
Grazie per il grazie, caro Alex. Mi scuso per il ritardo nella mia risposta, ma prima il teatro, poi la parte finale della scuola (insegno religione in un liceo classico di Roma) mi hanno “travolto”. Arieccomi qui, quindi.
Provo a ricapitolare, sottolineando soprattutto “quello che ci unisce”:
1) siamo d’accordo, io e Federico Guglielmi, sul fatto che Tolkien è un grande scrittore del ’900, uno dei maggiori (altrimenti non saremmo qui a discuterne con tanto amore e passione);
2) siamo d’accordo che Tolkien è stato anche un fervente cattolico;
3) siamo d’accordo che il suo romanzo ha incrociato il gusto e la sensibilità di milioni di lettori da oltre 50 anni e in tutto il mondo, il che fa pensare che Tolkien sia riuscito a raccontare temi universali “in modo universale”;
4) l’ispirazione di Tolkien attinge a piene mani dalla Bibbia ma anche dal mondo delle leggende e delle mitologie europee pre-cristiane.
Aggiungo ora le mie personali opinioni, a rischio di ripetermi; non so bene se Guglielmi sarà d’accordo su tutto o in parte.
5) io sono un lettore cattolico. Il che vuol dire “anche” pagano: perchè nel cattolico c’è anche il pagano (un paganesimo che viene superato dal messaggio di Cristo ma che appunto c’è, anche se superato) mentre nel paganesimo c’è solo l’ombra, l’anticipazione pallida del cristianesimo;
6) cattolico vuol dire “universale” e infatti per me vuol dire “umano”. Per me Cristo rivela all’uomo l’uomo, rivela il suo mistero più profondo, porta l’uomo al suo compimento. Quindi per me va benissimo dire, come nel titolo dell’articolo di Guglielmi sull’Unità, che Tolkien è uno scrittore universale che riesce a parlare a tutti gli uomini. Sottoscrivo;
7) sottolineare gli elementi cattolici del romanzo di Tolkien, era lo scopo della mia tesi, non voleva e non vuole escludere che ci siano altri elementi ma significa appunto sottolineare il fatto che oltre agli “ingredienti”, e l’intero “sapore” ad essere cattolico (non esclusivamente, ma, appunto, il cattolicesimo è la religione dell’inclusione, dell’et et non del aut aut), così come spiega bene Tolkien che ha volutamente eliminato gli elementi più esteriori relativi alla religiosità (vedi la famosa lettera del ’53);
8) in particolare mi sono soffermato su un elemento che non è un “fronzolo”, un dettaglio, ma secondo me il cuore del romanzo: gli hobbit.
Se non ci fossero gli hobbit Tolkien non sarebbe stato quel caso che è stato, sarebbe stato l’autore di una qualsiasi saga fantasy. E gli hobbit, secondo me, sono gli anawìm di cui parla la Bibbia e il Magnificat del vangelo di Luca. Anawìm, cioè “umili, ultimi, miti e marginali, piccoli, bassi, chi si umilia che verrà esaltato”. Nel suo significato c’è proprio l’idea di “bassezza” e quindi il riferimento agli Hobbit, i MezziUomini è stato facile.
Quest è il cuore della mia tesi: Tolkien è il poeta degli hobbit, gli hobbit sono non eroi ma santi, i santi delle beatitudini. Molto di questa “poetica degli hobbit” era già presente anche prima di Cristo, ma il cristianesimo “è”
questa cosa qua: la pietra scartata che diventa testata d’angolo, è il rovesciamento della prospettiva del mondo, è la kenosi di Dio, è la debolezza e la stoltezza che diventa forza rivoluzionaria. Nel mondo pre-cristiano ci sono barlumi di questo, anticipazioni ma appunto pallide. Il cristianesimo, che parte da un bambino avvolto in fasce in una mangiatoia è la religione dei bambini, dei piccoli, degli ultimi, degli hobbit;
9) questo è il cuore della mia tesi. Non mi sono soffermato a lungo, ma ho solo citato, altri esempi più di cornice, di “fronzolo” appunto, come l’accostamento Galadriel-Maria, Lembas-Eucaristia, Gollum-Giuda, Sam-Cireneo… etc etc perchè non mi intrigano più di tanto, li ho citati perchè sono tutte cose anche plausibili ma non fondamentali. Non mi sono soffermato per esempio sul canto del gallo (vedi rinnegamento di Pietro) che colpisce tanto Shippey, colpito anche dalla data della fine di Sauron (25 marzo, l’Annunciazione), ma appunto non sono andato nei “dettagli” della storia perchè il rischio poteva essere appunto quello di “chiudere”, come dice Guglielmi, tutto nella gabbia dell’allegoria. Sono andato invece al cuore della storia. Se cito ad esempio (e da qui la derisione di cui sono stato fatto oggetto) il segno di croce di Aragorn su Boromir (che è nel film non nel romanzo!) è appunto per dire che altri possono aver visto altre cose che a me sono sfuggite (per esempio altri hanno visto, proprio nella morte di Boromir, che cade e si rialza tre volte, un riferimento al rinnegamento di Pietro) come mi è sfuggita l’atmosfera “pagana” che Guglielmi vede, a buon diritto mi pare, nella scena del film di Jackson, che appunto come noi dà un’interpretazione al testo di Tolkien, acuendo gli aspetti ora pagani ora cristiani ora entrambi nella stessa scena;
10) per me il cattolicesimo non è una gabbia nè un’ideologia, ma questo mi sa che si è capito già nei punti 5,6 e 7.
Spero che questo messaggio serva a fare chiarezza e a progredire nel nostro (per me utile, prezioso e fecondo) dibattito. Vi ringrazio quindi perchè mi permettete di mettere a fuoco cose che sento ma ancora non del tutto comprendo (ma questo è, secondo me, tipico delle cose che hanno a che fare con l’arte, o, per meglio dire, con la Sub-Creazione). ciao
Andrea
Giugno 4th, 2009 at 22:30
Ciao a tutti
mi permetto di gettare un po’ di idee alla rinfusa – sperando possan esser utili alla discussione.
Per me il Signore degli Anelli non ha una “chiave di lettura” e neppure ne ha mille. Non ne ha bisogno. Secondo me è chiaro.
E’ un romanzo che adoro. E che credo di apprezzarlo principalmente perché è pieno di temi importanti; tra gli altri l’importanza della pietà e della speranza (ovvero del non di-sperare), il “coraggio nordico”, l’amicizia e l’apertura verso gli altri, del sacrificio, degli umili, l’impossibilità di usare il male a fin di bene e l’importanza della scelta, del libero arbitrio. Che è il tema che preferisco. “The doom of choice” come dice Aragorn a Eomer. L’importanza della scelta. E di come le scelte possano avere effetti enormi, nel bene o nel male. Penso a molte scelte di Turin, o alla pietà di Frodo; penso a Sam che “impedisce” a Smeagol di redimersi – il passo più tragico del libro, secondo Tolkien. E di come sia male chiunque cerchi di imporre il suo pensiero, la propria volontà a discapito di quella altrui.
Ciò detto, trovo positivo ogni tentativo di analizzare anche solo alcuni dei temi dell’opus tolkieniano. A me è capitato in passato di ragionare sul ritorno di Frodo “come reduce”. E non perché ritenessi che altri elementi (per esempio la sua crescita in saggezza, rilevata anche da Saruman) fossero meno importanti, ma perché volevo analizzare *quel* particolare aspetto. E ne son uscite interessanti discussioni.
Pertanto sul giudizio di Wu Ming 4 sui libro di Monda
L’Anello è la Croce mi è piaciuto perché l’ho trovato molto ben argomentato, pieno di riferimenti al testo di Tolkein a supporto delle sue affermazioni. Non sono stato d’accordo su tutto ciò che ha scritto Andrea – ma tutto ciò che ha scritto mi ha fatto pensare, riflettere, riconsiderare le mie idee. E questo lo trovo sempre cosa assai positiva. Per cui è un libro che consiglio – e non certo perché conosco personalmente Andrea Monda
Il libro di Caldecot invece non è piaciuto neanche a me. Non mi è piaciuto perché molte sue tesi erano, a mio avviso, assai mal argomentate. Inoltre, sempre secondo me, cercava ti tirare – come poco burro su un grossa fetta di pane – il testo di Tolkien per “coprire” le sue affermazioni
E ciò non mi va bene.
proprio no, tesssorooo
Buona serata a tutti
E grazie a tutti dell’interessante discussione
Giugno 4th, 2009 at 22:33
Ohps, malgrado n riletture, mi è sfuggito almeno un errore
Errata
Pertanto sul giudizio di Wu Ming 4 sui libro di Monda
Corrige
Pertanto dissento da Wu Ming 4 riguardo il libro di Monda
Scusate
Giugno 5th, 2009 at 13:55
@ Norbert,
solo per chiarire.
Non ci sono dubbi sul fatto che, a parità di approccio “confessionale”, il libro di Caldecott sia assai più scarso – per agomentazioni e trattamento dei temi in questione – de “L’Anello e la Croce”. Ci tengo a precisare che io non ho detto che il libro di Andrea Monda è male argomentato, anzi, a parte certe forzature che mi hanno fatto sorridere, le argomentazioni sono sostenute in maniera fin troppo coerente. Infatti ne ho criticato la parzialità, la blindatura dell’approccio che a mio avviso produce un’elisione delle contraddizioni dialettiche interne al romanzo. Anche se non ne condivido per nulla l’impostazione generale, anch’io ho ritenuto importante e interessante leggere L’Anello e la Croce.
Giugno 5th, 2009 at 15:57
@ Andrea Monda
Un inciso, forse un po’ OT. Lei scrive:
“nel paganesimo c’è solo l’ombra, l’anticipazione pallida del cristianesimo”
Io trovo questa asserzione quantomeno maldestra da ogni punto di vista: etno-antropologico, mitologico-comparatistico, di filosofia della storia, anche di etica della convivenza tra culture.
A dispetto della dichiarata tensione all’ecumene, all’universalità, a un pensiero che abbracci la più vasta comunità umana (meglio ancora: degli esseri senzienti), questa frase – ripeto: forse soltanto maldestra – mi sembra testimoniare di un’ottica ristretta, anzi, angusta. Angusta nello spazio, perché eurocentrica, poco rispettosa delle culture altre. Angusta nel tempo, perché tutta tesa a giustificare quel che esiste qui adesso.
La trovo un’asserzione eurocentrica, perché rimuove dal discorso le parti del mondo in cui gli antichi politeismi NON sono stati soppiantati né tantomeno superati dal cristianesimo. L’induismo, ad esempio, è una religione politeistica (un “paganesimo”) tuttora esistente, con millenni di sviluppo alle spalle, praticata ogni giorno da vastissime moltitudini. All’interno di quella cultura esiste una filosofia morale molto sviluppata.
Cos’è successo, dunque, in India? C’è stato un… ritardo nel passaggio dal “pallore” del paganesimo alla compiutezza della fede cristiana? Oppure *quel* paganesimo non era pallida anticipazione di alcunché, bensì una religione già compiuta e complessa e degna a suo buon diritto?
Forse soltanto i paganesimi europei furono anticipazioni di cristianesimo? Ma se si parla di ecumene, di universalità, di afflato planetario, perché restringere le proprie vedute all’Europa?
In secondo luogo: dire che i “paganesimi” non furono che mera anticipazione (per giunta “pallida”) di un culto successivo e ritenuto superiore mi sembra sminuire le credenze, le aspettative, le idee, i sentimenti e la percezione del tempo e del cosmo di innumerevoli generazioni di uomini e donne (all’incirca 188.000 anni di Homo Sapiens), le cui vite ebbero dignità autonoma e le cui concezioni del mondo non vanno considerate “pallide” rispetto a quelle di chicchessìa, perché non è pallida l’esistenza di nessuno di noi. Scusi, ma io trovo molto arrogante sostenere che tutte quelle persone vennero al mondo, vissero, amarono, odiarono, trepidarono o coltivarono speranze al fine di “anticipare” (pallidamente!) le convinzioni religiose di Andrea Monda e di chi la pensa come lui. Se affermiamo questo, ne facciamo degli inferiori, dei subalterni, li riduciamo ad “anelli mancanti” culturali. Li guardiamo con una condiscendenza che, se fosse espressa nei riguardi di nostri coevi, sarebbe subito – e non a torto – considerata razzistica, colonialistica.
L’etica che vale per il prossimo nostro coevo, dovrebbe valere anche per chi c’era in passato. Per me la comunità umana trascende le epoche, include tutti quelli che sono stati vivi sul pianeta.
Inoltre, sono da tempo superati gli stereotipi sulla “ignoranza” di antichi e primitivi: l’umanità ha eretto sistemi di pensiero evoluti sotto l’aspetto scientifico, etico, filosofico e civile anche in formazioni sociali “pagane”, in tempi molto remoti e a latitudini dove il cristianesimo non si è affermato nemmeno oggi.
Del resto, mi sembra che anche la chiesa cattolica abbia rimesso in questione l’ipotesi del “limbo”, sorta di CPT d’oltretomba dove confinare persone anche onestissime e buone di cuore, non colpevoli di nulla se non di una minima “infrazione amministrativa”, ossia di esser nate – non per loro volontà – prima che sul pianeta prendesse forma il cristianesimo. Trovo giusto che tale concetto sia stato messo in questione, perché profondamente discriminatorio.
Giugno 5th, 2009 at 18:23
Oddio, chiedo scusa per l’uso dell’aggettivo “pallido”, non sapevo di scatenare ire così furiose al punto di darmi (quasi) del razzista e del colonialista. Con quel “pallido” volevo dire che nel paganesimo, venuto prima dle cristianesimo, ci sono delle anticipazioni, splendide e toccanti, di quella realtà che in Cristo trova una realizzazione storica (io penso che Gesù Cristo sia un personaggio storico), il che non vuol dire che il cristianesimo non sia stato spesso un esecutore molto “pallido” di quella realizzazione storica. Non conosco bene la teologia delle religioni e non conosco bene il mondo dell’induismo, che mi appassiona proprio per il politeismo e mi viene da pensare come Lewis che il politeismo è religione splendida per la poesia. Quindi non volevo mancare di rispetto verso nessuno, ma solo dire che il cristianesimo viene “dopo” e quindi ricomprende e, secondo me, supera il paganesimo, mentre questo non può, almeno in Europa e dove il cristianesimo non è arrivato soppiantando, dire lo stesso, ma può dire, in piedi e ad alta voce, che contiene in sè delle punte altissime di umanità, pietà e dignità. Un bel saggio su questo è “Saggezza greca e paradosso cristiano” di C.Moeller (Morcelliana). Ma soprattutto vorrei dire che secondo me i più “fichi” di tutti sono quegli uomini preistorici che per migliaia e migliaia di anni hanno preceduto non solo l’avvento di Cristo ma anche l’avvento della storia. In questo un punto di riferimento è il saggio di Chesterton “L’uomo eterno” di recente pubblicato da Rubbettino. Nel mio corso di insegnante di liceo di religione, uno dei miei punti fermi e far riflettere i ragazzi di oggi sull’importanza, per la loro esistenza quotidiana, di tutto quel bagaglio immenso (di storie, sguardi, suggestioni, riflessioni, scoperte etc etc) che si è accumulato nei millenni e milleni di preistoria, quel lungo periodo per nulla buio dove l’uomo, tra le altre cose, seppelliva i morti e dipingeva splendidi graffiti sulle pareti delle caverne. L’arte e la religione. Mi fermo qui perchè pensare a questi miei antichi progenitori mi tocca profondamente. Il mistero dell’uomo è qualcosa di grande, immenso.
Ripeto: se “pallido” ha dato scandalo, lo cancello prontamente, non volevo offendere alcuna sensibilità, e preciso e ripeto che i cristiani sono spesso pallidissimi imitatori (anzi, deformatori) di quel modello di luce che è Gesù. Per me Gesù è una luce. Non è l’unica luce, grazie a Dio, che splende nella storia umana, ma penso anche di non essere io l’unico a pensare Cristo come luce e splendore dell’umanità.
Ritorno invece, al volo, sul romanzo che ha scatenato questa discussione.
Nel mio ultimo messaggio avevo parlato del “cuore” del romanzo, gli hobbit e avevo dimenticato l’altra metà del cuore: l’anello e la strana ricerca di questo oggetto. La Quest è qui infatti rovesciata, il viaggio Frodo lo fa non per affermare se stesso, per conquistare un regno o un talismano, ma per rinnegare se stesso, per rinunciare al potere e gettare il talismano del potere. Questa “rivoluzione” della trama classica, questo ribaltamento mi appare pieno del profumo inconfondibile della santità cristiana. E quindi sono d’accordo con Tolkien quando parla della “santificazione” di Frodo come aspetto centrale e commovente del romanzo. Ringrazio infine l’amico Norbert per le belle parole espresse. A presto, ciao!
Andrea
Giugno 5th, 2009 at 19:03
“nel paganesimo c’è solo l’ombra, l’anticipazione pallida del cristianesimo”.
Come far ribaltare nella tomba G.Dumézil e J.P.Vernant…
Giugno 5th, 2009 at 19:14
@ Andrea Monda
Eh sì, come vede, prof., ha urtato la sensibilità di alcuni… quindi la ringrazio per la sua precisazione.
Giugno 5th, 2009 at 19:50
allora è vero come dicono dei kattolici che non frequento nè apprezzo, che la società è fortemente neo-paganizzata! scherzo ovviamente e rinnovo la mia precisazione. Alla quale mi piacerebbe una vostra precisazione che prima del cristianesimo non era tutto oro ciò che brillava… o no? Può sembrare ovvio, ma, si sa, meglio precisare, no? Infine: non parliamo più di Tolkien?
Giugno 6th, 2009 at 03:02
Mi sembra che Wu Ming continui ad ostinarsi a non capire che “L’Anello e la Croce” E’ una tesi. E quando si fa una tesi (ma d’altra parte anche quando si scrive un saggio) si *sceglie* UNA chiave di lettura e si cerca di
interpretare l’opera alla luce di questa.
Non ha senso fare un saggio (e ancor meno una tesi) che esplori TUTTE le possibili chiavi di lettura: è impossibile, oltre che fuorviante. Qualunque saggio (e, ripeto, a maggior ragione una tesi di laurea) trasceglie ciò che è funzinale ad illustrare e dimostrare la particolare chiave di lettura scelta (la “tesi”, appunto). E’ semplicemente stupido lamentarsi che una tesi cerchi in tutti i modi di dimostrare la sua tesi!
Anche Shippey sceglie UNA chiave di lettura, ossia quella filologica. Sicuramente una chiave più ricca di sfumature e di spunti “aperti” di riflessione di quella della “cattolicità”. Ma pur sempre UNA. Così come ne sceglie UNA la Flieger. Così come ne scelgono UNA i sostenitori della “Tradizione” (con la T maiuscola!)
Di cosa discutiamo, quindi, qui? Della legittimità o meno di scegliere una chaive di lettura dell’opera di Tolkien piuttosto che un’altra? Ci sono chiavi che hanno maggior “diritto di cittadinanza” di altre? A mio parere ciò che importa è semplicemente: una certa chiave intepretativa può essere sostenuta da valide argomentazioni? E’ possibile trovarne prove all’interno dell’opera? In quale misura? E tali prove possono essere interpretate in modo diverso? In che misura?
Se le prove ci sono e le argomentazioni sono valide, allora perché rifiutare la possibilità di utilizzare una certa chiave interpretativa, anche qualora non la si condivida? L’unica cosa che si può fare è dimostrare, testo alla mano, come quelle stesse prove possano essere diversamente interpretate.
Ma, se un testo è ricco di stratificazioni come quello tolkieniano (a differenza di Lewis, ad esempio, proprio perché questi ha già a priori coscientemente scelto UNA chiave di lettura/scrittura) è probabile che l’una interpretazione non escluda l’altra e che esse siano valide in egual misura e addirittura sovrapporsi. Un paradosso molto cristiano, tra l’altro… Ma non vi è nulla di strano nello scegliere l’una o l’altra per un proprio saggio o tesi, poiché questo è impliito nel genere “saggistico”.
Giugno 6th, 2009 at 14:10
@ Claudia
Qui nessuno ha negato legittimità a nessuno. Anzi, una premessa accettata da tutti è che il SdA è un’opera estremamente stratificata che si presta a interpretazioni plurime. Ciò non toglie che le tesi si discutono. E se per sostenerne una non si tiene conto delle “sfumature” – soprattutto quando queste sfumature sono parte importante dell’anima di un romanzo – è sacrosanto che qualcuno lo faccia notare. Io non ho affatto negato la possibilità che Monda interpreti il SdA a modo suo, ho motivato perché la sua interpretazione non mi convince e perché non mi convince la sua modalità argomentativa (cioè utlizzare gli scritti privati di un autore per leggerne l’opera). Si chiama confronto di idee e di tesi, ed è più o meno la ragione profonda di qualunque discussione. Tra l’altro la discussione sviluppata in questi commenti dimostra come non ci sia alcuna intrasingenza da parte di chi la anima.
@ prof. Monda
Precisazione per precisazione: no, prima del cristianesimo non era tutto oro quel che brillava, è evidente.
Rispetto a Tolkien. Questo post ha ormai raggiunto quota 47-48 commenti e tra l’altro è ospitato in un blog dedicato a un romanzo in cui Tolkien è uno dei personaggi. Forse da un lato in questa sede la discussione dovrebbe focalizzarsi sul romanzo stesso, dall’altra un confronto così specifico su Tolkien meriterebbe invece di trovare un luogo e una modalità più adatte, non crede?
Giugno 6th, 2009 at 15:42
“non sapevo di scatenare ire così furiose”
Chiariamo una cosa, per sgomberare il campo da trucchetti ed espedienti, visto che l’ars retorica la conosciamo tutti. Intendo la buona retorica, non quella dei mezzucci, e in questo Agostino dovrebbe essere maestro comune di tutti noi. “Ire furiose”, qui, io non ne ho percepite. Forse giusto un po’ di “piccatezza” nei commenti di qualche “supporter”, ma finisce lì. Professor Monda, se uno non è d’accordo con quel che lei scrive, o giudica maldestra una sua affermazione, non vedo perché mettere in dubbio il suo stato di quiete e serenità. Scrivo oggi in uno stato non dissimile da una buddhica atarassia.
Accetto la sua precisazione, che relativizza e spiega un’asserzione altrimenti davvero tranchante e urtante. Questo passaggio ritengo fosse necessario. Come ricordavo a proposito del limbo (colonia penale sub-infernale dov’erano immaginate rinchiuse, a espiare non si sa bene quale colpa, persone del calibro di Parmenide, Socrate, Siddhārtha Gautama, Mahavira, Bodidharma etc.), la chiesa stessa si è posta il problema. Del resto, se καθολικός significa “universale”, è davvero cattolico chi accetta che esistano altre fedi e rivelazioni, altre vie per la salvezza, altre ontologie e vie spirituali. Già nel seicento La Peyrère sosteneva che l’esempio di Cristo in croce era rivolto solo al mondo euro-mediterraneo, e non ad esempio alla Cina, dove erano stati altri i modi. La Peyrère si spingeva a dire che il peccato originale riguardava solo noi europei. Di recente, in un suo libro-conversazione con Umberto Eco, Jean-Claude Carrière ha riportato in auge un importante quesito filosofico: se esistono altri mondi popolati da esseri simili a noi, Dio padre ha mandato il proprio figlio anche là? C’è stato in ogni pianeta un ciclo di nascita, predicazione, passione, morte e risurrezione di un Cristo? E se non c’è stato, come mai Dio ha scelto solo il terzo pianeta del nostro sistema solare, questo minuscolo sasso che ruota in uno spazio vastissimo?
Giugno 6th, 2009 at 15:45
Sono d’accordo col mio collega di collettivo. Perché non ripartire dal romanzo a cui questo blog è espressamente dedicato? In fondo, per leggerlo non c’è nemmeno bisogno di acquistarlo: si scarica gratis da questo stesso sito
Giugno 6th, 2009 at 15:49
C’è scritto “Admin” perché scrivo dal pannello di controllo, ma sono io, Wu Ming 1.
Giugno 7th, 2009 at 17:23
Salve e complimenti per l’interessante discussione. Mi scuso per la poca eleganza e la molta autorefeenzialità del mio intervento, ma desiederavo segnalare che, per quel che riguarda l’attuale stato degli studi tolkieniani italiani, esiste anche una collana (da me e da altri amici diretta e coordinata) edita da Marietti 1820, che si prefigge di tradurre in italiano i volumi più importanti scritti su Tolkien e gli Inglings. Tra gli altri sono stati già tradotti:
- Tom Shippey, “La Via per la Terra-di-mezzo”
- Verlyn Flieger “Schegge di Luce”
- Garth “Tolkiene la Grande Guerra”
- Rosebury “Tolkien, un fenomeno culturale” (di imminente uscita)
- e tra saggi inediti in Italia di J.R.R. Tolkien dedicati a “La trasmissione del pensiero e la numerazione degli elfi”
Il criterio selettivo della collana vorrebbe per quanto possibile seguire un criterio selttivo basato sulla “seriatà” degli studi, e non sulla loro coloritura ideologica (bianca, rossa, nera o verde che sia), che paraltro è sempre e inevitabilmente presente in ogni autore.
Giugno 7th, 2009 at 19:28
Se vogliamo continuare altrove la discussione su Tolkien – come *mi sembra* suggerisca Wu Ming 4 – suggerisco il newsgroup it.fan.scrittori.tolkien
Buona domenica
Giugno 7th, 2009 at 20:20
farò la figura dello sciocco, ma confesso che non avevo compreso che questo blog era dedicato solo al romanzo “Stella del mattino” di Wu Ming4 e quindi dedicato a Lawrence. Mi dolgo quindi di aver contribuito ad allungare il brodo su Tolkien e mi fermo qui. Non sono un navigatore di blog e perdonerete quindi, spero, la mia goffagine. Avevo visto che si parlava di Tolkien e del mio saggio-tesi (e vi ringrazio per quanta attenzione gli avete dedicato) e che c’era una bella foto di Tolkien e quindi pensavo di muovermi “a casa” di Tolkien. Sul libro di WuMing4 (la copertina è già molto bella) ritornerò solo dopo la lettura, estiva, del suddetto. Ringrazio Claudia per le parole spese a favore della mia tesi che, in quanto tale, è solo una tesi. Come non conosco il libro “padrone” di questo blog, ignoro anche le sottigliezze teologiche (il Limbo, La Peyrere…) a cui allude WuMing4 e quindi in termini pokeristici “passo”, proprio come Buster Keaton in Sunset Boulevard. L’atarassia buddhica mi inquieta profondamente ma io sono cattolico, vivo la religione del fuoco, della croce, dell’inquietudine e dello scandalo e quindi è meglio che taccia per non accendere appunto altri fuochi (e poi ha ragione mia nonna: chi parla non fa, chi fa non parla). Saluti hobbit e domenicali a tutti, ciao!
andrea
Giugno 7th, 2009 at 22:27
@ Claudio Testi
Considero la collana su Tolkien dell’editrice Marietti un’impresa encomiabile. Vi state assicurando di tradurre i saggi più importanti sulla materia, aggiornando il dibattito italiano che è indietro di decenni. Tanto di cappello.
A questo punto è duopo ricordare anche l’importante lavoro di “importazione” di testi su Tolkien che svolgono Franco Manni e la redazione della rivista “Endòre”. Personalmente non condivido in toto l’interpretazione di Manni – come ho già avuto modo di accennare in questo dibattito con giudizi forse troppo trancianti – ma ritengo il suo lavoro onesto e seminale per gli studi tolkieniani in Italia. Attualmente ho in corso una corrispondenza piuttosto animata anche con lui…
@ prof. Monda
Non c’è da dolersi, la discussione ci stava. Però è vero che l’interesse condiviso per Tolkien non può portarci a monopolizzare il dibattito su un blog che è pur sempre dedicato a un romanzo e non a Tolkien. Considerando la popolarità di Tolkien, mi chiedo: è una mia impressione o “voi” tolkienologi avete relativamente pochi luoghi nei quali discutere a un certo livello di approfondimento?
E così rispondo anche @ Norbert:
Sarò molto lieto di continuare a discutere nel newsgroup che segnali (e che in parte conosco), ma possibilmente non nell’immediato. Io e i miei soci stiamo finendo di scrivere il nostro romanzo, il tempo a disposizione è poco e quindi preziosissimo. Da metà estate le cose miglioreranno.
Intanto, per chi fosse interessato, ecco l’indirizzo della lecture che ho tenuto qualche mese fa su La battaglia di Maldon, in cui faccio largo uso di Tolkien: http://www.carmillaonline.com/archives/2009/03/002966.html#002966
A presto
Giugno 7th, 2009 at 23:10
Monda, sono convinto che il romanzo del mio collega le piacerà e le farà venire nuove idee. Detto ciò, mi scusi ma voglio precisare un’ultima cosa. A volte apprezzo la diminutio auctoris, purché non si trasformi in… “diminutio rēi”, e quindi in “diminutio interloquentis”. Spesso si sminuisce un argomento per schernire colui che lo ha introdotto. Spero non sia stata quella la sua intenzione, poiché dubito che lei ignori il dibattito teologico sull’esistenza o meno del limbo, ovvero: dubito di essere ferrato più di lei in materia di teologia cristiana! Alla faccia della “sottigliezza”, il limbo è una questione cruciale e rivelatrice. Al limbo – come lei ben sa essendo insegnante di religione – è dedicato il canto IV dell’Inferno:
“[...] Tu non dimandi / che spiriti son questi che tu vedi? / Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, / ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, / non basta, perché non ebber battesmo, / ch’è porta de la fede che tu credi”,
Gli ultimi pronunciamenti della chiesa (e dell’attuale pontetice) sul limbo sono recentissimi, meno di due anni fa, e ne parlarono anche i giornali.
Il limbo, comunque, è anche una danza caraibica. Si balla passando sotto un’asticella che viene man mano abbassata:
E con questo chiudo
Giugno 10th, 2009 at 09:32
Sono più esperto (e mi piace di più) il limbo inteso come danza caraibica.
Dante è solo il più grande poeta di tutti i tempi, ed è un poeta-teologo, e secondo me è anche un mistico, ma non è il Magistero della Chiesa, grazie a Dio (anche se al grande popolo pagano-cristiano piace molto l’Inferno dantesco). Per fortuna la Chiesa si è affidata a persone come Ratzinger (che non a caso il Limbo lo ha “chiuso”) a suo modo anche lui un mistico e un poeta, ma d’altro tipo. Non voglio offendere nessuno e devo dire che mi colpisce il livello così alto e raffinato di questo blog ma ritengo che la storia teologica del Limbo non sia poi così cruciale: ci insegna soltanto che la Chiesa non ha verità in tasca ma è come ogni uomo, come dice SanPaolo, chiamata alla verità, quindi procede in un cammino di continua purificazione e illuminazione verso la verità. E quindi anche il Limbo, come tante altre cose, è stato ormai superato (e magari nel passato ha avuto una sua buona funzione). La Chiesa è molto più relativista e democratica di quello che si pensi dal di fuori. Ma qui mi sembra che siamo in argomenti anche fascinosi e ricchi di spunti letterari ma direi proprio off topic, sbaglio? Saluti.
Andrea Monda
Giugno 10th, 2009 at 15:52
@ Prof. Monda
Evito di commentare la frase “Per fortuna la Chiesa si è affidata a persone come Ratzinger” perché sì, andremmo decisamente OT e passo alla frase “devo dire che mi colpisce il livello così alto e raffinato di questo blog”.
La domanda è questa: se ho ben capito lei non conosceva il collettivo di scrittura Wu Ming prima di arrivare sul blog di *Stella del Mattino*… sono allora un po’ curiosa… ma come ha fatto ad approdare qui?
Giugno 11th, 2009 at 17:40
La mia frase non era (solo) un elogio a Ratzinger ma era riferita a Dante, sommo poeta e teologo, ma che per fortuna non ha mai avuto ruolo di governo della chiesa.Anzi il problema di Benedetto XVI è che è un teologo.
E’ come quando in politica si pensa di affidare il governo del paese non ai politici, uomini normali del popolo, ma ai “tecnici”…il disastro. Per dirla con le parole di un altro geniale scrittore inglese, Chesterton: “La leggenda è fatta generalmente maggioranza, sana, degli abitanti di un villaggio; il libro è scritto, generalmente da quello, fra gli abitanti del villaggio, che è matto”, diffidare dagli specialisti. Chiudo perchè altrimenti andiamo davvero off topic.
No, non sapevo se non cose molto vaghe del collettivo Wu Ming, anche se, come ho scritto, l’amico e collega di avventure letterarie Saverio Simonelli mi aveva parlato bene di questo libro scritto da uno dei Wu Ming su Lawrence in cui si parlava anche di Tolkien. Ma del blog non ne sapevo nulla. Poi un mio amico mi ha detto che su questo blog mi avevano criticato e deriso e così mi sono incuriosito. E ho trovato questo bel salotto di alto livello, ripeto. Che ringrazio per l’accoglienza, e la pazienza. Ecco come sono approdato qui. Saluti.
Andrea Monda
Giugno 12th, 2009 at 10:07
Grazie, la mia curiosità è appagata. Per ciò che riguarda *Stella del mattino*, non mi resta che augurarle una buona lettura.
Luglio 8th, 2009 at 10:38
ed è stata in effetti una buona lettura, molto piacevole e a tratti avvincente. I miei complimenti quindi a Wu Ming 4 per questa bella miscela esplosiva (Lawrence, Tolkien, Lewis, Graves…). Mi sono andato a rileggere anche la lunga recensione dell’amico Saverio Simonelli e concordo con quanto da lui scritto, non mi dilungo quindi e rinvio alle sue acute e dotte parole. Certo, si sente un po’ forte la “pianificazione certosina”, il rischio è quello della ricerca dell’effetto e della scrittura come puro gioco, ars combinatoria, insomma a volte il caleidoscopio (che affascina) rischia anche di soffocare il lettore. Questo per essere severi, in realtà mi sono molto divertito (ho sofferto un po’ per il buon Lewis così strapazzato e per l’ottimo Churchill dipinto come un mostro della politica più cinica) e ringrazio di cuore l’autore, la letteratura è uno dei nomi della felicità (diceva di Borges riferendosi con gratitudine a Chesterton), quindi, grazie! saluti.
Andrea
Luglio 8th, 2009 at 18:58
Sulla “pianificazione certosina” accetto la critica e rilancio dicendo che secondo me SDM soffre di un meccanismo troppo complesso, a orologeria, che pretende di tenere assieme tante cose e si nutre di un’infinità di riferimenti che rischiano di essere “soffocanti”, appunto.
Ho “strapazzato” C.S. Lewis basandomi soprattutto sulla biografia scritta da Michael White, C.S. Lewis -The boy who cronicled Narnia (Abacus 2005), che è forse la meno reticente sul complicato rapporto tra Lewis e Janie Moore e che ho usato come contraltare all’autobiografia spirituale del nostro, Surprised by Joy (un testo scritto magistralmente, ma ancora più interessante per ciò che omette di raccontare).
Riguardo all’ “ottimo” Churchill posso dire che lo ritengo senz’altro “un mostro della politica più cinica” quanto un mostro di acume politico. Innegabilmente un gigante del XX secolo, con intuitività incredibile, grande coraggio e grande consapevolezza, ma anche con responsabilità gravissime e con una mentalità smaccatamente imperialista. Troppo spesso lasciamo che il Churchill eroico del 1940 cancelli il Churchill del 1915 (sbarco dell’ANZAC a Gallipoli) e del 1920-21 (repressione delle rivolte in Medio Oriente). Io non potevo certo pretendere di rappresentare la complessità di un personaggio del genere con la breve comparsata che fa in Stella del Mattino.
A seguire, a mo’ di appendice, un florilegio dalla corrispondenza ministeriale di Churchill dell’epoca:
“Penso Lei debba assolutamente procedere con il lavoro sperimentale sui proiettili a gas, soprattutto il gas vescicante, il quale causerebbe un intenso dolore ai nativi recalcitranti senza tuttavia infliggere loro gravi lesioni”. (Churchill al Capo della RAF Sir H. Trenchard, 29 agosto 1920, a proposito della repressione della rivolta in Mesopotamia).
“Non riesco a capire perché si dovrebbe giudicare legittimo uccidere delle persone con le pallottole, e barbaro farle starnutire”
(W. Churchill a proposito della repressione delle manifestazioni antisioniste in Palestina con il gas asfissiante, 24 novembre 1921)
“Si dica quel che si vuole, ma il gas è letale. Può arrecare danni permanenti alla vista, e perfino uccidere bimbi e persone cagionevoli, soprattutto se coloro sui quali vorremmo usarlo non hanno la conoscenza medica necessaria per somministrare le cure”.
(rapporto del Col. Meinertzhagen a Churchill, a proposito dell’utilizzo di bombe al gas asfissiante contro la popolazione civile irachena, 14 dicembre 1921)
“Sono pronto ad autorizzare l’immediata fabbricazione di queste bombe. Si deciderà sul loro uso quando se ne presenti l’occasione. Dal mio punto di vista, si tratta di un esperimento scientifico per risparmiare vite che non dovrebbe essere ostacolato dai pregiudizi di chi non pensa con lucidità.”
(risposta di Churchill, 16 dicembre 1921)
Luglio 9th, 2009 at 09:53
Una mentalità imperialista al cubo, direi. Il cinico florilegio comunque riflette bene lo spirito di quei tempi, a cavallo tra i 2 conflitti mondiali.
Luglio 10th, 2009 at 10:38
Su Lewis: non mi riferivo tanto al rapporto con la sig.ra Moore ma a quella parte che termina nella scena in cui minaccia con la pistola Lawrence con intenti punitivi e moralistici. Una scena che mi ha colpito.
Su Churchill sono d’accordo con la risposta dli Wu Ming4. Aggiungo che ricordo diverse “battute” del nostro mostro che me lo rendono inguaribilmente simpatico, vero humour inglese! (per me l’umorismo e l’umiltà, che vanno a braccetto anche etimologicamente, sono due virtù essenziali per vivere in modo pienamente umano). Complimenti ancora per questo bell’affresco, saluti.
Dicembre 18th, 2009 at 12:04
Ieri sera a Pegognaga non ho avuto il modo e l’occasione di complimentarmi con te in modo particolare per “Stella del mattino”, libro che ho avuto la fortuna di incontrare al momento giusto e che non solo ha camminato con me, ma mi ha seguito nella scelta della direzione dei miei passi.
Grazie
Daniele