L’orizzonte condiviso del Deserto. Trauma e Mitopoiesi: Lawrence d’Arabia e Stella del mattino di Wu Ming 4

di Emanuela Piga*

Intervento a Oriente e Occidente. Temi, generi e immagini dentro e fuori l’Europa, Convegno dell’Associazione per gli studi di teoria e storia comparata della letteratura, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, 13 novembre 2008.

Si potrebbe continuare a pensare il deserto, ma a ogni chilometro è pronto a divorare l’osservatore, è piu’ forte di tutte le immagini che siano mai entrate nell’occhio.
Ingeborg Bachmann, Libro del deserto

Nuit, nuit blanche – ainsi le désastre, cette nuit à laquelle l’obscurité manque,sans que la lumière l’éclaire.[...]Si le désastre signifie être séparé de l’étoile, il indique la chute sous la nécessité désastreuse.
Maurice Blanchot, L’écriture du désastre

Fin dall’antichità, dalla cultura egizia a quella latina, Venere, l’astro più luminoso in cielo dopo la Luna, è segnato dalla duplicità: la Stella del mattino e la Stella della sera, Vespero e Lucifero, angelo caduto dal cielo ma portatore di luce. Sulle rifrazioni di questo doppio legame il romanzo Stella del mattino di Wu ming 4 ci narra il ritorno di Thomas Edward Lawrence a Oxford — all’indomani della grande delusione della Conferenza di Parigi del 1919 — e l’incontro con John Ronald Reuel Tolkien, Clive Staples Lewis e Robert Graves, reduci dalle trincee della Somme e ognuno alle prese con i propri fantasmi [1].
T.E. Lawrence, passato alla storia con il mito di Lawrence d’Arabia, è una figura segnata dalla duplicità, da un lato incarna l’eroe guerriero istigatore della rivolta araba, dall’altra è l’eroe britannico in cui si incarna la grande narrazione funzionale all’Impero per il suo progetto di controllo del Medio Oriente.
Prima di diventare guerriero beduino e colonnello delle forze britanniche, colui che sarà chiamato dagli Arabi El Urens nasce come archeologo, inviato dal British Museum per compiere degli scavi sulle rive dell’Eufrate, a Karkemish, fra Siria e Turchia. In breve, il più affascinante degli orientalisti. In Orientalism [2], Edward Said ricorda come per Napoleone la conquista dell’Egitto fu un progetto che prese forma a partire da esperienze appartenenti al regno delle idee e dei miti, provenienti dunque da una dimensione testuale. Fa l’esempio della Grande armée in Egitto, il cui trionfo era stato preparato da tempo, grazie al bagaglio di conoscenze messe a disposizione da vaste schiere di orientalisti. Inoltre mette in evidenza come Jean-Baptiste Joseph Fourier, nella Description de L’Egypte (1809-1828), nel giustificare l’impresa napoleonica come qualcosa di necessario, non abbandoni mai un registro drammatico e concentri la narrazione intorno alla costruzione della figura dell’eroe (Napoleone), unico in grado di strappare l’Egitto alla barbarie di allora per ricondurlo alla grandezza di un tempo [3]. Sempre seguendo Said, salvare un evento dall’oblio equivale per la mentalità orientalista a trasformare l’Oriente in un teatro dove rappresentare il “proprio” Oriente. Ed è proprio illustrando la messa in scena della rappresentazione teatrale, allegoria della costruzione mitopoietica occidentale della figura di Lawrence, che inizia Stella del mattino. Si solleva il tendone e si dispiega l’immaginario orientalista, con iscritte sul corpo attoriale le tracce stesse dell’identità dell’occhio osservatore.

Le odalische avevano le lentiggini.
Ancheggiavano al suono stridulo del flauto, stagliate sul fondale dipinto: il Nilo, le piramidi, una falce di luna argentea. Il canto tenorile del muezzin seguiva la melodia.
Un colpo di grancassa e l’uomo in tight guizzò fuori da una nuvola di fumo. Odore d’incenso investì le prime file, qualcuno tossì. L’uomo accennò un inchino e sfiorò il leggìo con la grazia di un direttore d’orchestra che controlla lo spartito.
- Seguitemi, signore e signori, nelle misteriose terre d’Oriente, ricche di storia e di avventura, dove il Giordano trascina le sue sacre acque nel Mar Morto e ancora oltre, tra le oasi e le dune del deserto.
Il genio della lampada aveva baffi sottili, capelli neri divisi in due onde dalla brillantina, un forte accento americano. Ritardava le parole, trattenendole in bocca quanto bastava a pregustarne l’effetto prima di mandarle a segno.

Incastonato nello scenario orientalista, appare Lawrence, annunciato dalla voce narrante intradiegetica dell’uomo in tight, delegato dall’autore attraverso una costruzione metanarrativa a raccontarci il mito del Principe della Mecca costruito da Lowell Thomas per il grande pubblico [4].

Quella che vi racconteremo non è una storia di guerra e di massacri, ma di un uomo a cui vennero attribuiti poteri divini. Un giovane cavaliere, che da solo creò un esercito e liberò l’Arabia Santa, e che passerà alla storia al pari dei personaggi più grandiosi e pittoreschi. Di lui si canteranno le gesta nei secoli a venire, come fu per Achille, Sigfrido o il Cid.
La musica toccò l’apice, mentre uno stendardo verde e oro scendeva dall’alto.
- Lawrence d’Arabia.

Said ricorda come la specifica preparazione degli orientalisti veniva posta direttamente al servizio del colonialismo e come nel momento in cui l’orientalista doveva decidere da che parte stare, il suo cuore e il suo operare restassero fedeli agli interessi dell’Occidente conquistatore [5]. Nel caso di T.E. Lawrence, a differenza dell’orientalista dipinto da Said, possiamo dire che, nonostante le ambiguità e le sfaccettature della sua figura, il suo cuore e le sue azioni furono per la causa araba. E l’eroe, anche letterato, contribuì a costruire la sua figura mitica con la scrittura dell’opera epica ed autobiografica Seven Pillars of Wisdom [6]. Con uno scopo diverso, tuttavia: il superamento del trauma della guerra e del ruolo e delle responsabilità avute all’interno di quella vicenda segnata dall’accordo segreto Sykes-Picot del 1916 finalizzato alla spartizione dell’Impero Ottomano tra Francia e Inghilterra.
Se la narrazione romanzesca dei dialoghi di personaggi realmente esistiti sullo sfondo di accurate ricostruzioni storiche fa di primo acchito pensare a una collocazione del romanzo nell’orizzonte della historiographical metafiction, l’afflato epico ed etico dell’opera eccede i confini delineati da Linda Hutcheon nel suo Poetics of Postmodernism [7]. A questo riguardo, l’opera sembra convergere maggiormente verso quel genere di opere posteriori agli anni Sessanta definite da Amy Elias in Sublime desire con il termine di metahistorical romance, sottogenere e evoluzione del romanzo storico [8]. In questo senso la triangolazione tra letteratura storia e mito situa l’opera lontano da quello svuotamento della significatività della Storia causato dall’uso distaccato dell’ironia e del pastiche individuato nel postmodernismo da Frederic Jameson[9]. Restringendo l’obiettivo a quanto accade in Italia, considerazioni convergenti con Amy Elias sono state formulate da Wu Ming 1 nel suo recente saggio New Italian Epic in riferimento a una nebulosa di opere narrative pubblicate dopo il 1993, all’apparenza difformi ma con profonde affinità. Tra le caratteristiche comuni individuate in questa galassia, nel cui spazio condiviso “si leva” Stella del mattino, figura, appunto, l’abbandono, pur nel mantenimento di alcune tecniche stilistiche, di quella tonalità del postmodernismo individuabile nel distacco della rappresentazione e nella instabilità del posizionamento narratoriale.

L’ambiguità della figura di Lawrence ci viene restituita nel romanzo dall’incrocio dei punti di vista degli altri personaggi. Ognuno di questi vede in Lawrence qualcosa di diverso, chi l’eroe, chi un mistero, chi il traditore al soldo del governo inglese. La raffigurazione multiprospettica del personaggio mostra in parte delle affinità, dal punto di vista formale, con Medea, Stimmen di Christa Wolf, romanzo polifonico nel quale la figura di Medea è resa dall’intreccio della sua voce con le voci degli altri personaggi [10]. Non esiste una verità unica su Medea, “colei che porta giovamento” – come vuole la radice del nome med – o barbara infanticida, ogni versione è vera e falsa al tempo stesso, visione parziale e irrimediabilmente determinata dalle passioni di chi la osserva. Così in Stella del Mattino non c’è la pretesa di raccontarci chi fosse in realtà T. E. Lawrence. L’approccio multifocale ci rende la complessità del personaggio e l’irriducibilità del suo mito ad un unica narrazione, insieme al rimbalzo del posizionamento di chi osserva. Ancora una volta, l’oggetto della rappresentazione, l’Altro, diventa specchio dello sguardo osservante, restituendo frammenti di identità, proiezioni, desideri e frustrazioni.
Quando la voce ritorna a Lawrence, la narrazione rimbalza con movimenti analettici e flussi di coscienza dal cuore dell’Impero –dall’atmosfera sospesa delle stanze di Oxford, tempio della cultura dell’Occidente – allo stagliarsi delle ombre dei cavalieri sulle dune del deserto nelle periferie dell’Impero. L’irruzione della Memoria nei capitoli sotto la voce “Lord Dinamite” narra tutta la soggezione al fascino dell’Oriente idealizzato e rappresentato dalla coscienza occidentale secondo le modalità lucidamente descritte da Said, ma implicitamente anche il lato oscuro e generatore di orrore insito in questa tensione. L’orizzonte condiviso del deserto, con il suo portato di sogno utopico e fratellanza tra guerrieri, fa trasparire in controluce il crinale oscuro in cui l’epopea precipita a causa dell’hybris eroica, facendo si che l ’immagine sovraesposta dello snodarsi sensuale delle dune nel Nefudh rimandi, su altre latitudini, all’oscurità che avvolge lo scivolare delle anse del fiume verso il cuore della foresta primordiale, verso la stazione di Kurtz [11].

Il tema del ritorno si affianca a quello della rielaborazione del trauma e del valore terapeutico della scrittura. In relazione al perdurare del trauma post-bellico nella coscienza dei personaggi del romanzo, cito un brano tratto da una lettera scritta da Lawrence a Graves e pubblicata in T.E.Lawrence to his biographer, Robert Graves [12]: “What’s the cause that you, and S.S [Siegfried Sassoon, N.d.R.] and I can’t get away from the War? Here are you riddled with thought like any old table-leg with worms: S.S yawing about like a ship aback: me in the ranks, finding in squalor and maltreatment the only permitted existence: what’s the matter with us all? It’s like the malarian bugs in the blood, coming out months and years after in recurrents attacks.”[13]
“Stai scrivendo la storia della rivolta. Anche questo è combattere” sono le parole di conforto del Graves di Stella del Mattino a un Lawrence oppresso dal senso di colpa e di fallimento (p.136). E qui ritorniamo alla forza della parola, nell’istante in cui il volto si rivolge al passato, o meglio il passato balena sotto forma di immagini e sogni nella coscienza traumatizzata. La ricomposizione delle rovine passa attraverso la rappresentazione della storia, e la ricerca di redenzione passa attraverso la parola e la costruzione di mondi. Il mito precipita nella Storia generando il memoriale epico di Lawrence, la poesia mitologica di Graves e le cosmogonie di Tolkien e Lewis.
“Che ci piaccia o no, camminiamo rivolti all’indietro. [...] Chi ricostruisce mondi perduti può essere capace di immaginarne di nuovi” sono le parole di Hogarth, il direttore del Ashmoleam Museum, a Tolkien, di fronte alla teca contenente gli Anelli (Stella del mattino, pp.86-87). La quotidianità nella Oxford del 1919, “piano inclinato della Storia, del mondo e dell’anima” [14], diventa l’epica dell’uomo comune, personaggio tragico [15] nel suo interrogare la Storia per riuscire a saldare l’inaccettabilità dell’esperienza traumatica con quella riserva di forza creatrice all’origine del gesto mitopoietico. Ed è questo il nodo centrale del romanzo: la riflessione sul valore terapeutico della parola e sulla creazione mitopoietica come conciliazione con la Memoria e apertura verso il presente e accoglienza dell’Altro [16]. Il sondare degli altri personaggi la superficie prismatica di Lawrence, allegoria dello sguardo sul mito, diventa un processo dinamico e plurale verso la conoscenza di sé.
Se la Stella del mattino è impersonata nel romanzo da Lawrence, con la sua capacità di trasformare il quotidiano in straordinario, portando la guerriglia al college All souls e l’epica negli ordinati giardini di Oxford, l’estetica del romanzo si esprime attraverso il personaggio di Tolkien, consapevole, da filologo qual era, della forza evocatrice della lingua. “Le parole danno significato alle cose. Usare un linguaggio è costruire un mondo. Credo sia questo il segreto” (Stella del mattino, p.52) è la frase che resta a Lawrence dall’incontro con Tolkien.
«Qui tratteremo del fare nel suo insieme e nelle sue forme, quale finalità abbia ciascuna di esse, e come si debbano comporre i miti affinché il fare vada a buon fine». L’incipit della Poetica di Aristotele inaugura il terzo capitolo del romanzo, trasportando il lettore nel vivo di una lezione di greco del prof. Gilbert Murray all’università. Nella traduzione letterale di Murray le parole greche mythos e poiesis diventano “miti” e “fare”, in controtendenza con la traduzione corrente che optava per “trame” e “poesia”. Attraverso il personaggio del Prof. Murray parla una concezione estetica che riporta al centro della riflessione la forza della parola e la sua capacità di creare l’evento. Per dirla alla Blumenberg, dove c’e evento, contingenza, imperfezione non puo non esserci il mito [17]. Il processo mitopoietico compare in due momenti: all’origine dell’evento, costruendo la narrazione capace di generare l’evento collettivo, che si tratti di guerre di conquista o di insurrezioni popolari, o come cura alla sindrome chiamata in ambito anglosassone post traumatic stress disorder.
La mitopoiesi dunque anche come reazione all’orrore, strategia di resistenza all’angst, gesto creativo che sottrae la Storia a una lettura unica e frena l’erosione di significatività, articolando la memoria post-traumatica. Sempre prendendo a prestito la riflessione di Hans Blumenberg, il mito rende l’Unheimlich Heimlich, “l’inquietante familiare e accettabile”. Per sfuggire all’angoscia si dà nome e significato all’accidentalità, come necessità a posteriori. Il cortocircuito tra il presente e il passato, incarnato in una Memoria segnata dall’esperienza traumatica, produce la scrittura del disastro [18], la memoria privata e collettiva come condensato di quell’Unheimlich menzionato da Blumenberg. Nelle curve di questo movimento sinusoidale, si apre quello spazio del pensiero all’origine dello scarto visivo, l’angolo di inclinazione dello sguardo si sposta dal cumulo delle rovine per abbracciare un orizzonte più ampio, che cessa di divorare l’osservatore. La nuit blanche [19] lascia il posto alla parabola mitica di Eärendel, al suo attraversare il deserto d’acqua e farsi stella luminosa, gesto e ispirazione.

Lucifero. Venere. Le avevano dato molti nomi, senza riuscire a ridurla al potere dell’oscurità né a quello del giorno. Solitaria, senza genere, unica favilla di una divinità indecisa. La sua virtù era ciò che possedeva: una luce tenue, un coraggio duraturo. Quello che sarebbe servito per attraversare la Terra di Nessuno, vasta quanto il secolo che si estendeva davanti. E per trovare la strada del ritorno (Stella del mattino, p. 375).

Attraverso il divenire psicologico dei personaggi di Stella del Mattino, il Tragico, continuamente in metamorfosi e devoluzione, e dunque profondamente legato alla Storia, si scioglie in un’Epica moderna, le cui trame si intrecciano alle maglie del romanzo. Wu Ming 4 ci narra in chiave allegorica il precipitare del Mito nella Storia, come forma di articolazione della coscienza storica, forza creatrice e libera ricerca di senso. E nella dialettica di questa mise en abîme, ciò che resta profondamente legato al presente è il valore terapeutico della parola, con la sua trasformazione dell’Unheimlich in heimlich, e la sua istanza utopica generatrice di desiderio e immaginario.


Note

1. “I personaggi storici che ho usato come protagonisti del mio romanzo erano stati anche guerrieri, avevano vissuto la Grande Guerra sulla propria pelle, si erano addentrati nella tragedia cantata da Omero. Insomma, si trovavano nella situazione particolare di essere protagonisti viventi e cantori di un evento epocale, il crollo delle grandi illusioni moderne.”Wu Ming 4, da un’intervista alla trasmissione radiofonica “Fahrenheit”, Radio 3, 11/06/2008.

2. Edward W. Said, Orientalism,Vintage Books USA, 1979 (Tr. It., Edward W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano, 2002).

3. Ibidem, pp.89-90.

4. Nel 1919, alla Albert Hall di Londra, Lowell Thomas – giornalista americano che seguì sul campo le imprese di Lawrence in Arabia — presentava e commentava Travelogues, racconto di viaggio sotto forma di conferenza-spettacolo.

5. Edward Said, Op.cit., p.86.

6. Thomas Edward Lawrence, Seven Pillars of Wisdom, The Complete 1922 Text, Fordingbridge, Castle Hill Press, 2003 (tr.it: T.E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza, Bompiani, 2000).

7. Cfr. Linda Hutcheon, A poetics of postmodernism. History, theory, fiction, Routledge, London, 1988.

8. A. J. Elias, Sublime Desire: History and Post-1960s Fiction, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2001. Ringrazio Claudia Boscolo per avere segnalato questo libro importante per il dibattito sul romanzo storico.

9. Fredric Jameson, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Fazi, 2007.

10. Christa Wolf, Medea, Stimmen, Deutschen Taschenbuch Verlag, Műnchen, 1996. (Tr.it. di A. Raja, Medea, Ed. e/o, Roma, 1996).

11. Cfr. Joseph Conrad, Heart of Darkness & Other Stories. Wordsworth Editions Ltd (tr.it. Joseph Conrad, Cuore di tenebra, Rizzoli, Milano, 1989).

12. Robert Graves, ed., T.E Lawrence to his Biographer Robert Graves, London, Faber and Faber, 1938. In questo libro Graves raccoglie e commenta il carteggio con Lawrence precedente alla pubblicazione di Lawrence and the Arabs, la biografia di Lawrence che Graves scrisse in pochi mesi nel 1927.

13. Graves, Op.cit., p.31. La lettera non è datata, ma è collegata a un’altra del 1925.

14. Come ha scritto Tommaso De Lorenzis nella sua bella recensione apparsa sul quotidiano “L’Unità” dell’11 maggio 2008.

15. «[Dans la Modernité] l’héros légendaire a cessé d’être un modèle et il est devenu un problème”, in Jean-Pierre Vernant, Pierre Vidal-Naquet, Mythe et tragédie en Grèce ancienne, François Maspero, Paris, 1973, p.14.

16. “Da metà romanzo in poi mi sono reso conto che stavo scrivendo un libro sul valore terapeutico della scrittura. Una terapia non solo privata, personale, ma anche pubblica e sociale, visto che scrivere significa già condividere, interagire con il mondo. Del resto, solo attraverso la narrazione l’umanità è in grado di riconoscersi e fare i conti con la propria esperienza storica e ideale”, Wu Ming 4, in “Il folletto del mondo. Come nasce Stella del mattino”.

17. Cfr. Hans Blumenberg, Arbeit am Mythos, Suhrkamp, Frankfurt, 1979. Tr it: Elaborazione del mito, Il Mulino, Bologna.

18. Cfr. Maurice Blanchot, L’écriture du désastre, Gallimard, Paris, 1980. “Le désastre est du côté de l’oubli; l’oubli sans mémoire, le retrait immobile de ce qui n’a pas été tracé – l’immémorial peut-être; se souvenir par oubli, le dehors à nouveau”, p. 10.

19. Ibidem.

* Emanuela Piga è dottoranda in letterature comparate all’Università di Bologna. Nel 2008 è stata visiting scholar all’Institute of Germanic and Romance Studies della University of London, dove ha portato avanti un lavoro di ricerca su cultura e memoria.  Si è specializzata in letterature comparate all’università di Paris 3 – Sorbonne Nouvelle, con una tesi su alterità e rappresentazione della violenza nella rielaborazione delle figure femminili del mito in Christa wolf.  Attualmente si occupa di memoria e storia nel romanzo europeo dopo la seconda guerra mondiale. Un suo saggio su Manituana di Wu Ming è presente sul “Livello 2″ di manituana.com.

2 Responses to “L’orizzonte condiviso del Deserto. Trauma e Mitopoiesi: Lawrence d’Arabia e Stella del mattino di Wu Ming 4”

  1. Paola Di Giulio Says:

    Giuro che è veramente bello sentir parlare di Lawrence, ed è particolarmente divertente vedere come si sono evoluti la percezione e l’apprezzamento negli anni, e come la sua epopea sia uscita dal chiacchiericcio più o meno erudito e appartato per approdare alla mitopoiesi e al New Italian Epic! Soprattutto una cosa: tutto questo non è algido, non è distaccato, e non è pettegolo. Dietro tutto questo c’è una percezione finalmente indovinata (per me) del personaggio che ha innescato un meccanismo di ampio respiro. Finalmente.

  2. and Says:

    volevo solo dare due piccole indicazioni, sulla questione medio-orientale…l’egitto in particolare…due piccoli spunti: capitolo 3 di V di Thomas Pynchon e “Sotto la rosa” all’interno della raccolta “Un lento apprendistato” sempre ti T.P.

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