Valentina Desalvo su Repubblica Bologna
martedì 17 novembre 2009
Altai, torna il fantastico mondo Wu Ming
Il collettivo bolognese di scrittori esce con il sequel di “Q”
VALENTINA DESALVO
Se avete amato Q, travolti da una passione spessa e da un’ostinata dipendenza per quel romanzo monumentale, respirate forte e riprendete la lettura: Altai, il seguito della storia, da oggi in libreria, è stato scritto per voi. Dieci anni dopo, il Tedesco è tornato. Wu Ming, scrittore collettivo, multiplo, plurale e bolognese, ha costruito un racconto che nasce dalla fine di Q e comincia a Venezia, molti anni dopo. E il nuovo libro non ci lascia orfani.
Senza rimpianti e nostalgie, accostatevi con fiducia. Sarete ricambiati. Q era uscito nel 1999: dieci anni hanno cambiato molte cose, «quello che abbiamo attraversato – spiegano sul loro sito i Wu Ming – è stato il nostro periodo più difficile». Hanno cambiato il nome del gruppo (allora Luther Blissett) e la loro formazione (uno se ne è andato, passaggio doloroso e complicato per chi ha ri-costruito l’autore su una polifonia di voci, di intenti e anche di vita comune) ma non hanno compromesso la loro forza vitale. Perché quella capacità di raccontare che negli ultimi anni era stata un po’ stordita dalla complessità, riaffiora e stravince. Ritornare sul luogo diletto è spesso un peccato veniale che procura delusioni e nostalgie mortali. «Sapevamo di rischiare – spiegano – ma abbiamo scelto di ripartire proprio da lì, dal nostro inizio». Una scelta anche simbolica e probabilmente terapeutica. In più. I sequel sono una maledizione, il ‘dopo’ spesso è meglio non saperlo. Stavolta invece no.
Ovviamente manca la sorpresa dell’Opera Prima visto che Q fu miracoloso cult e bestseller involontario. L’Einaudi, editore totem, della Ginzburg e di Calvino, scelse di puntare su un libro scritto da un anonimo collettivo bolognese che si chiamava come un bizzarro calciatore inglese, un volume sterminato, sulle guerre di religione in Europa, intitolato con una sola lettera dell’alfabeto, difficile da scrivere in copertina, con un protagonista senza nome. Operazione apparentemente da controcultura anni settanta e decisamente contro natura per il nobile marchio torinese. Eppure questo memorabile intrigo, fuori dall’Abc del successo funzionò. Oggi siamo alle 500mila copie vendute.
Dopo tutto questo, era difficile riprendere il gioiello di famiglia. Più facile non tentare il confronto, pareva una dissacrazione. Invece, dopo un anno e mezzo di clausura bolognese, stretti in casa a leggere e scrivere, è arrivato Altai. Che deve il suo nome a una specie di falco. Questa volta la vicenda, del 1569, si sposta a sud e racconta, con fervore documentale e passaggi anche lirici, storie di ebrei sefarditi, di musulmani e di veneziani. Storie di guerra e amori (persino erotismo, sì). Perché la vera scoperta di Altai sono le donne: da sempre defilate e marginali per i Wu Ming, qui sono decisive, perché chi non le capisce perde la battaglia.
Altai è anche una storia di sconfitte, tra Venezia e Istanbul. E «Venezia ricorda vagamente Istanbul» è l’omaggio sotterraneo che i Wu Ming hanno voluto fare a Battiato, che nel loro hyperuranio sta stretto insieme a Braudel. Sono, quelle di Altai, storie di un altro sogno, dopo quello di Q. Lì c’erano gli anabattisti e l’utopia distrutta a Munster, stavolta Giuseppe Nasi, ebreo di Costantinopoli, vuole costruire la Nuova Sion a Cipro.