Svarioni storici in Altai? “Botta” del Corriere del Veneto, risposta di Wu Ming
[Si comincia a entrare nel merito, e noi ci andiamo a nozze! :-)
Sul Corriere del Veneto di oggi, 17 dicembre 2009, Beppe Gullino recensisce Altai. Lo recensisce positivamente dal punto di vista letterario, ma lo critica dal punto di vista ideologico, ed elenca alcune presunte sviste ed errori storici. Su un punto di natura lessicale ha ragione, e siamo d'accordo con lui. Su tutti gli altri punti, lo svarione non è nostro bensì, temiamo, del recensore. Ecco l'articolo e, a seguire, la risposta che abbiamo spedito al giornale.]
LA SERENISSIMA DI ALTAI E GLI SVARIONI STORICI
L’analisi del romanzo di Wu Ming sull’ «11 settembre» dell’Arsenale
Qualche giorno fa, su queste pagine, c’è stata un’intervista all’autore del recente, fortunato romanzo Altai. Ho detto autore, ma in realtà si tratta di un collettivo di quattro bolognesi che un tempo si firmavano «Luther Blisset» e ora «Wu Ming», forse in omaggio all’antica sentenza per cui «nemo propheta in patria», oppure all’incoercibile esterofilia di noi italiani. Ho letto questo romanzo perché parla della guerra di Cipro (1570-1573), di Bragadin, di Lepanto. Tutte cose che non possono non interessare a un veneziano, senza dimenticare che Cipro è questione europea, visto che, dopo la caduta del muro di Berlino, l’ultima cortina di ferro che resiste sul nostro continente è, appunto, il muro che divide in due l’isola di Caterina Cornaro: da una parte la Cipro greca, dall’altra quella turca.Altai è incentrato sul progetto di un ebreo portoghese realmente vissuto, João Miguis, fuggito prima a Venezia e poi a Costantinopoli, dove assume il nome di Yossef Nasi. Divenuto ricco e potente, amico del sultano Selim II sarbosh (l’ubriaco), cui procura dei vini che vorrei avere anch’io, sembra aspirasse a diventare re di Cipro, per insediarvi una colonia di suoi correligionari. Donde, secondo l’autore uno e quadruplo, gli sforzi abilmente perseguiti da esso Miguis-Nasi, e finalmente riusciti, di superare la resistenza del partito filoveneziano facente capo al gran visir Mehemet Sokollu; quindi indurre il sultano a dichiarare guerra, conquistare Cipro, farsela assegnare in feudo e insediarvi la terra promessa al popolo eletto. La vicenda si dipana dall’incendio dell’arsenale di Venezia del 1569 e si protrae sino al 1571, portandoci dalla Serenissima a Cipro a Costantinopoli; vivissima nella sua crudezza la descrizione dell’assedio di Famagosta, sì che ti pare di avvertire il lezzo del sangue rappreso, il fetore degli escrementi, l’orrore dei corpi martoriati; implacabilmente dettagliato il supplizio di Marcantonio Bragadin, voluto dal comandante ottomano, l’eunuco La la Pascià; realistica la rievocazione della battaglia di Lepanto, verosimile il conseguente fallimento dell’utopistico, nobile progetto di Nasi.
Il romanzo è ben costruito, avvincente, esposto con felicità espressiva, sicché si legge d’un fiato. Come romanzo. Se poi vogliamo verificarne l’impianto storico, qui il giudizio non può essere altrettanto positivo. Intendiamoci: il quadro complessivo degli avvenimenti è reale o quantomeno credibile; ma perché parlare di «schei», quando è noto che il termine appartiene alla dominazione austriaca, ossia al XIX secolo? E perché dar vita a un improbabile «Consigliere» Nordio, visto che per legge i membri del Consiglio dei Dieci erano patrizi, mentre il cognome di cui sopra suona inequivocabilmente popolano? Ancora: Filippo II è definito «il Cattolicissimo», laddove il superlativo spettava al re di Francia; e poi facciamo fatica a pensare che Martin Lutero abbia affisso le sue 95 tesi in una chiesa di Vienna piuttosto che a Wittenberg, no? Contribuisce al successo del libro un calibrato dosaggio criptico, a cominciare dal titolo; gli Altai sono una catena montuosa che si trova fra la Mongolia e la Siberia. Appurato questo, che c’entra col testo? Nulla, tranne il fatto che: 1. fra quelle desolate alture vive un falco bravissimo a cacciare altri uccelli, con gran contento dei loro padroni; 2. un personaggio del romanzo che compare una sola volta, tale Hassan Agha, ne possiede uno.
Per finire, l’impressione di chi scrive è che questa rilettura della guerra di Cipro, vi sta non già dalla tradizionale angolazione cristiana o musulmana, ma con gli occhi di un ebreo (cosa che poteva costituire una costruttiva novità); la ricostruzione storica, dicevo, soffre di una larvata pregiudiziale anticattolica e antiveneziana (ah, questo leone di San Marco occhiuto e azzannante, «con le fauci socchiuse e le grinfie sul Vange lo»); una serpeggiante riserva mentale, insomma, inficia l’apparente obiettività del racconto. Chissà, forse il maggior cruccio di questi bolognesi che si firmano «Wu Ming» è di non esser nati cinesi o arabi o almeno turchi. Coraggio ragazzi, purtroppo nessuno è perfetto.( Wu Ming, Altai, Einaudi, Torino 2009, pp. 411, € 19,50).
Beppe Gullino
[WM:] Ringraziamo Beppe Gullino per l’attenzione con cui ha letto il nostro romanzo Altai, e per l’apprezzamento del romanzo dal punto di vista letterario. Sulla lettura, diciamo così, “ideologica” del romanzo, sul nostro “anti-venezianismo” e anti-cattolicesimo, nonché sul rimpianto di non esser nati arabi o turchi, ciascun lettore potrà farsi un’idea direttamente sulle pagine, come sui significati del titolo e sull’importanza simbolica del falco che appare nel libro e in copertina.
Riguardo alle sviste che Gullino elenca, su un punto ha ragione, sugli altri temiamo di no.
Ha ragione, ovviamente, sulla parola “schei”. E’ una delle pochissime licenze terminologiche che ci siamo concessi perché la lingua di Nordio suonasse “veneziana” alle orecchie dei lettori contemporanei. Oggi la riteniamo una scelta non felice, anche perché in contrasto con le scelte lessicali fatte per l’italiano (abbiamo cercato di scartare ogni termine non esistente nel 1569).
Sull’espressione “Cattolicissimo”: l’appellativo era già associato alla figura del padre di Filippo, ossia Carlo V. Da lui il figlio lo ereditò. E’ proprio l’ambasciatore veneziano in Spagna, Alberto Badoero, a definirlo in un rapporto del 1578 “principe cattolicissimo, amatore delle cose divine”. Il re di Francia, invece, era usualmente definito “Cristianissimo” (come in “Franciscus I. D. G. Galliarum Rex Christianissimus”).
Sul titolo di “consigliere”: è sempre e soltanto utilizzato dal protagonista, Emanuele, nel suo flusso di coscienza, senza alcun riferimento a un’appartenenza di Nordio al Consiglio dei Dieci. Si fa invece continuo riferimento a un imprecisato “servigio segreto”, agenzia fittizia e romanzesca, che non corrisponde ad alcuna istituzione ufficiale.
Su Lutero e Vienna: sappiamo bene che Lutero affisse le sue tesi a Wittenberg e non nella suddetta città austriaca. Alle vicende della Riforma abbiamo dedicato un romanzo, che è stato pubblicato dieci anni fa e iniziava proprio a Wittenberg. Il capitolo di Altai da cui è tratta la presunta “svista” è interamente costruito su dicerie, leggende e versioni distorte della vita di un personaggio, Ismail al-Mokhawi. Anzi, l’intero capitolo è un resoconto “impazzito” del romanzo di dieci anni fa, Q. Tutte le informazioni sono false, c’è anche scritto che Lutero è morto a cent’anni.
Ad ogni modo, svarioni veri o presunti a parte, la cosa importante è che il romanzo emozioni e che, nell’emozionare, restituisca la ricchezza culturale e il plurilinguismo del Mediterraneo, la nobiltà dello slancio utopico dei personaggi, l’orrore e il fetore della guerra e degli “scontri di civiltà”. Gullino scrive che in Altai tutto questo c’è, e noi gliene siamo riconoscenti.