Giuliano Santoro su Carta
Il settimanale Carta, nell’edizione del 13-19 novembre, ha dedicato ad Altai uno speciale di 4 pagine, cogliendo l’occasione per ricordare Valerio Marchi (al quale il romanzo è dedicato ): «sociologo e analista delle culture metropolitane, libraio di strada e collaboratore di Carta, scomparso improvvisamente nel luglio del 2006.»
Di seguito riportiamo la conclusione del lungo articolo firmato da Giuliano Santoro.
La versione integrale, in formato PDF, si può scaricare da qui.
[...]Il passaggio dalle azioni spericolate di «Q» alle guerre combattute nella coscienza delle persone, prima che nei campi di battaglia di «Altai», si può leggere in diversi modi. C’è sicuramente lo spirito di questi anni, fatti di passaggi profondi eppure mai connotati da immaginari di «battaglia campale».
Le grandi masse di «Q» e il movimento dei movimenti lasciano il posto alle contaminazioni e alle riflessioni. L’armata di contadini è rimpiazzata da una ciurma di pirati baresi che imperversa nei mari del Levante.
Si tratta anche di una prova di maturità dell’atelier narrativo bolognese, un passaggio ulteriore lungo la corda tesa che si regge tra le due sponde del complesso equilibrio tra l’avventura e i grandi temi filosofici e politici, l’esplorazione del romanzo di genere e la riflessione su quella che Walter Benjamin avrebbe chiamato la «rammemorazione delle nostre sconfitte». I quattro senza nome continuano la loro avventura in mare aperto costruendo una gerarchia temporale che va oltre la storia a due dimensioni e che ricostruisce legami e connesioni nel tempo e nello spazio.
«Quello che manca in ‘Altai’, evidentemente, è una visione prometeica, apocalittica – dice ancora Wu Ming 4 – l’idea di una grande scommessa morale sulla Storia, che invece permeava tutte le pagine di ‘Q’».
Bisogna quindi tuffarsi in questo libro dieci anni dopo la fine del Novecento, Seattle, «Q», e nel bel mezzo della crisi del mondo come lo abbiamo conosciuto. Abbandonando i porti conosciuti, e persino rinunciando alla tentazione di fermarsi al primo approdo. «Solcare il mare è come attraversare il deserto. Sono spazi liberi, aperti a mille possibilità», dice Ismael a Manuel Cardoso interrogando il Mediterraneo con uno sguardo. «Eppure senza un approdo non si farebbe che andare alla deriva», obietta Cardoso. Ma non ottiene alcuna replica.